«Se mi guardo indietro, trovo i miei fallimenti. Fallisco spesso, come tanti, come i più. Ma, alla fine, con queste sconfitte cosa si può fare? Ho deciso di capovolgere la prospettiva e, con queste perdite, gioco, rido». Guido Foddis, giornalista, se ne intende di prospettive capovolte, pensate ad esempio al “Festival del ciclista lento”, da lui ideato, che si svolgerà, quest’anno, dal 28 al 30 ottobre a Ferrara. In una sua canzone, Foddis scrive: «Beati gli ultimi che la vita san goder». Questa è la filosofia del Festival: il primo, l’unico, non dedicato a chi va veloce, ai campioni e alle imprese nel senso classico del termine, ma alla lentezza.
«I più non riuscirebbero a fare le imprese dei ciclisti professionisti. In parte non ci riuscirebbero, in parte non ne sono nemmeno interessati. Però andare in bicicletta è anche per loro, per chi in bici va a prendere il pane e non è per nulla allenato. Negli anni quaranta, cinquanta, questa lentezza era riconosciuta con bonomia, alla lentezza si voleva anche bene. Serena Malabrocca me lo ha detto: “Mio nonno, andando piano, ha comprato casa”. E Malabrocca era un buon ciclista. Ma nella lentezza ha trovato la sua dimensione». Foddis ha letto e conosciuto Marco Pastonesi che, nel ciclismo, ha raccontato gli ultimi più dei primi, quasi fossero la sua squadra, il suo gruppo, e con Marco Pastonesi vive e racconta questa bellezza.
«Spesso la società ci porta a porre traguardi irraggiungibili o, anche se raggiungibili, fonte di poca soddisfazione perché poi non resta nulla. Forse non è davvero questo quello che si vuole. Ma ci si abitua, ci si adegua. L’ultimo, nel ciclismo fra amici, è colui che si sfila, che gode il paesaggio, che può assaggiare il cibo del luogo perché non ha fretta, è tranquillo, non deve rincorrere nessuno e, prima o poi, arriverà anche lui». Il “Festival del ciclista lento” capovolge le clsssifiche e i criteri: il primo è colui che va più lento, l’ultimo il più veloce. Ma andare lenti non è scontato, non è semplice. Bisogna allenarsi. Anche perché le prove sono molte: per esempio il record dell’ora al contrario. Chi farà meno chilometri, meno metri, in un’ora? L’anno scorso Davide Formolo e Maria Vittoria Sperotto hanno percorso 918 metri in sessanta minuti. Il dettaglio non da poco è che sulle bici utilizzate non ci sono freni.
«È difficile. Ognuno ha la sua tecnica. Sperotto riusciva ad andare pianissimo senza trucchi, Formolo frenava col collo del piede. Gilberto Simoni, per andare piano, “pinzava” la ruota con i guantini, fino a che i guanti non si sono consumati. C’è acido lattico anche nell’andare piano». La prima a stabilire questo record di lentezza è stata Serena Malabrocca. Memorabile è la volta in cui lo stabilì Bruno Zanoni, gregario di Baronchelli. «Quando seppe che Gibí aveva fatto questa prova, mi disse: “Un gregario non può essere più veloce del proprio capitano. Vengo anche io. Si allenó, riuscì a fare il record e fece talmente tanta fatica che finì in ospedale. Ma è ancora orgoglioso di quel giorno».
Si possono percorrere cinque chilometri in cinque ore e, per andare lentissimi, bisogna sforzarsi a tal punto che si arriva sempre in ritardo rispetto all’orario previsto, qualcuno perde il treno per tornare a casa, ma al “Festival del ciclista lento” bisogna metterlo in conto. «Di certo c’è che si divertono anche i campioni, anche se non riescono ad andare piano. Si divertono perché riscoprono il gioco, ridono di gusto, si sentono persone a tutto tondo, non solo atleti, non solo campioni».
E le biciclette migliori non sono quelle in carbonio ma quelle in acciaio, archeologia del ciclismo, prezioso perché figlio dei tempi, perché più pesante e quindi ideale per rallentare. «Giochiamo, giochiamo assieme e ridiamo di ciò che non siamo capaci di fare. Troviamo il sapore delle cose, di quelle che, a forza di correre, di voler essere primi e perfetti, abbiamo perso il ricordo”. Ferrara è lì per ritrovarlo quel gusto. Lentamente.
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