Il Giro d’Italia è un appuntamento. Uno di quegli appuntamenti per cui hai scritto tante lettere, a sera, ma non ne hai mai inviata alcuna. Perché, di fatto, non sai bene dove stia di casa: è un vagabondo che, però, ha la passione del ritorno, di tanto in tanto. Quelle lettere le hai rinchiuse in un cassetto, sperando, una mattina, forse nell’aria di vetro di Montale, che è, poi, quella di maggio, di incontrarlo fra le strade, per un caso che caso non è, perché pur di incontrarlo vai lontano da casa, e ti fermi a guardare. A guardare le biciclette, ad ascoltare la musica, ad assaggiare un cibo che fanno solo in quel paese, ad annusare un profumo, anche solo ad aspettare. E, se proprio non puoi andare a cercarlo, lo guardi attraverso uno schermo che sai che, ad una certa ora, mostrerà quello che mostra da anni a questa parte. Quello che cerchi da quando l’hai incontrato o l’hai sentito per caso, in una vecchia storia che ti raccontavano da bambino.
Il Giro d’Italia è un appuntamento fisso, potrebbe essere un venerdì sera o una domenica mattina, invece è ogni giorno della settimana per tre settimane. È forse anche dubbio, perché tutto cambia e come fai a quarant’anni ad avere la stessa voglia, lo stesso sogno, di quando ne avevi quindici? Con gli appuntamenti fissi accade di chiedersi se potrà mai finire, se, un giorno, non ti farà più quell’effetto, così appena torna, quel vecchio vagabondo, sei in una strada un poco più irrequieto, a cercarlo, per avere la tua conferma, come accadrà oggi a qualcuno, lungo la Costa dei Trabocchi. Moto, macchine, la carovana, le voci da un megafono, da un microfono, la stessa scia di vento e colore, e ti rendi conto che, sì, ogni anno probabilmente, crescendo, cambiando, invecchiando, qualcosa di diverso c’è, ma fai come da ragazzino. Tifi per la fuga, cerchi la maglia rosa, gridi di resistere a chi è caduto pochi chilometri prima, attendi la macchina dell’inizio gara per fare festa e quella del fine gara per attraversare la strada e cercare un’altra via in cui aspettarlo.
Il Giro d’Italia è un appuntamento a cui ognuno si presenta come crede. C’è ancora chi sceglie il vestito più bello che ha, come faceva una volta, per andare a bordo strada, c’è la signora che ha appena finito di preparare il pranzo e si affaccia ad un balcone con ancora il grembiule sporco di farina degli gnocchi, ci sono ragazzini sudati da una partita a calcio, nel campetto del paese, vespe e scooter, biciclette da corsa simili a quelle dei professionisti e vecchie Graziella di nonno e nonna. Anche passeggini e culle. Sì, il Giro è un appuntamento e come tutti gli appuntamenti può arrivare tardi o anticipare i tempi, mentre sei impegnato a fare altro, dopo tanti anni, però, hai capito che al Giro puoi andare anche con la vecchia divisa da imbianchino, con un cappellino fatto col giornale, dopo aver tagliato l’erba del giardino di casa o lavorato nell’orto. Non conta, al Giro vanno tutti, anche coloro che non lo conoscono eppure si sentono a proprio agio, per nulla intimiditi.
Forse quelle lettere avresti potuto spedirle a chiunque, a un amico, a un’amica, e ti avrebbero risposto qualcosa che anche il Giro potrebbe dirti. Il Giro è un appuntamento per pensare o per poter non pensare, e, quando un lunedì di fine maggio, o di inizio giugno, ti svegli e ricordi che l’hai già incontrato, che è stato bello, ma ora dovrai aspettare un anno, un poco ti prende male. Però il Giro è un appuntamento e i vecchi vagabondi come lui, anche se non ricevono lettere e non possono rispondere, agli incontri si presentano sempre.