Aldo, ieri mattina, si è alzato presto ed è andato a comprare il giornale. Glielo ha insegnato suo padre, quando era ragazzo, e lui non l’ha mai dimenticato, nemmeno oggi che è un signore di quasi novant’anni. «Il giornale dei giorni prima della partenza del Giro d’Italia si compra e poi si conserva per tre settimane perché lì ci sono tutte le informazioni per seguire la corsa» dice convinto, mentre guarda da lontano i corridori nel parco del Castello del Valentino. Poi continua: «Molti di questi nomi non so nemmeno pronunciarli, ma va bene lo stesso».

Dal cancello d’ingresso al palco saranno cinquanta metri. Tutti fanno attenzione al modo in cui gli atleti si mostrano sul palco, eppure, forse, è in quella passerella che si capisce qualcosa in più di ogni ragazzo. C’è chi, per timidezza o giovane età, non riesce a guardarsi intorno e abbassa lo sguardo, chi vorrebbe abbassarlo ma teme di sembrare diverso, debole, invecchiato- ciclisticamente si intende- e allora va avanti fiero, ma dentro chissà a cosa pensa. Sì, qualcuno ci ha detto che gli è capitato: arrivare ad una grande gara, attesa da mesi, e dirsi che sarebbe stato meglio stare a casa. Vai a capire la mente ed i suoi inganni.

Dylan Groenewegen, forse, ha fatto questo pensiero qualche volta, immaginando il proprio ritorno alle gare. Ieri no, ieri ha alzato la mano e ha salutato convinto quando è stato chiamato. Chissà, magari anche a lui il padre ha detto che certe cose si devono fare, per educazione. Quella mano l’ha riabbassata insieme allo sguardo quando lo speaker ha ripreso a parlare: «Ha sbagliato, ha pagato, sono felice che sia qui». Perché alcuni errori non te li perdoni nemmeno se paghi. Ci sono Simon Yates e Vincenzo Nibali che arrivano al palco vestiti di un orgoglio antico, come chi sa quanto vale e al diavolo tutto il resto. C’è Egan Bernal che non vuole scuse: «Le persone che pretendono risultati non devono essere fonte di pressione. Chi ti chiede tanto è perché sa che puoi farlo. Ringrazio queste persone. Spero di farle divertire».

Da lontano, Aldo ci indica un muretto e annuisce: saranno quattro, cinque bambini, accovacciati a guardare. Sta parlando Remco Evenepoel, che sabato tornerà in gruppo dopo circa nove mesi. Sta dicendo che soprattutto è felice e che l’importante per lui è ringraziare chi lo ha aspettato, la sua squadra.

Non riusciamo più a vedere Aldo, ma lo immaginiamo mentre fa sì con la testa, come quando ha visto quei bambini. Già, perché sa anche lui che nel tempo i giornali sono cambiati e oggi si trova tutto su internet senza conservare nulla, ma non gli interessa ed il giornale lo compra lo stesso, come parla di ciclismo pur pronunciando solo i nomi italiani. Perché sia il giornale che il ciclismo lo fanno sentire atteso, aspettato, lo fanno sentire come un tempo anche se quel tempo è passato e questo non gli piace poi molto. Per questo Aldo è tornato al Giro. E forse per questo ci ha raccontato quella storia che sembrava non interessare a nessuno ed invece interessa a tutti.

Foto: ©Luigi Sestili