A Samuele Zoccarato guardarsi intorno interessa quanto basta. Se lo fa è per scegliere la fuga giusta, per attaccare, e per lui la fuga non è solo portare in giro lo sponsor, o farsi bello davanti alle telecamere. No, per lui è istinto, fame, distinzione.
Se Zoccarato si guarda intorno non lo fa per vedere case e monumenti, tifosi bizzarri che giocano a chi fa il più bizzarro; interminabili filari, colline impregnate di alberi, o il vento che si diletta con il verde dei campi dando il via a spettacolari giochi di onde. Zoccarato si guarda intorno per cercare la fuga giusta.
Tempo fa raccontò di sentirsi un guerrafondaio in bicicletta, uno di quelli che se va a picco si rialza: “fare watt” è una frase che usa spesso e quei watt non li usa mai a sproposito.
Al Giro ci sono due dei suoi punti di riferimento: De Gendt e De Marchi. Come loro sceglie la fuga per vivere meglio, che poi sia quella giusta lo imparerà strada facendo, d’altra parte lui è qui per la prima volta, perché solo da pochi mesi pedala nel ciclismo dei grandi.
Stamattina alla partenza era convinto: un po’ di tensione prima del via.
Si è scaldato in maniera intensa, la sua azione era tattica concordata sin dalla sera prima.
Stamattina alla partenza piove: scrosci violenti che non lasciano spazio a nessun malinteso ma che via via daranno tregua ai corridori. Zoccarato indossa una giacchetta ciclamino, si lancia in fuga e la alimenta come se le sue gambe fossero la materia prima di cui si compone l’avanguardia.
E si porta dietro un gruppo di guerrafondai come lui. C’è lo svizzero di Colombia Pellaud, che alla fuga dedica la sua vita. C’è il viaggiatore naïf van der Hoorn, che non indossa mai gli occhiali nemmeno sotto la pioggia violenta o con il sole che brucia gli occhi.
C’è il più giovane di tutti, Ponomar, che galleggia, sbaglia curve, poi sarà il primo a staccarsi: fatica che tornerà utile in futuro.
C’è Rivi con il compagno di squadra Albanese, anche loro si dedicano alla fuga, ma con uno scopo ben preciso: la maglia azzurra che Albanese indossa da ieri e che indosserà anche stasera. C’è Van den Berg, chiamato al Giro all’ultimo per sostituire Pinot, e infine Gougeard.
La fuga va, ma sulla carta non fa paura, appare segnata: il gruppo li tiene a tiro con Sagan e i suoi seguaci (ottimo Aleotti) che sgranano il gruppo e rosicchiano secondi su secondi ai battistrada come una goccia provoca uno stillicidio.
Velocisti saltano – Nizzolo, Ewan, Merlier – altri si aggrappano a ogni speranza mentre il cielo resta triste ma non piange e il gruppo si infila nella coreografia della Langhe. Li riprendono? Sì, li riprendono.
Restano in cinque, molla Albanese, poi lascia van der Berg. Restano in tre. Poi salta Zoccarato, mentre da dietro avanzano con uno schioppo Gallopin e Ciccone.
Restano in due: van der Hoorn e Pellaud. Resta da solo van der Hoorn. Non lo riprendono? No dai, lo riprendono sul traguardo.
Lo spingiamo virtualmente: 45”, 30”, 20” ecco l’ultimo chilometro. Taco è lì, il gruppo lo vede. 15”, 10” quando mancano duecento metri ormai è fatta. Taco vince, come quando qualche stagione fa batteva van Aert.
A Zoccarato, invece, stasera faranno male le gambe («ho avuto i crampi sull’ultima salita» dirà), resterà sulla sua pelle impresso l’odore delle Langhe. L’umidità, una leggera nebbiolina, e poi si guarderà di nuovo intorno e penserà a domani, a un altro giorno in cui andare in fuga, magari sarà di nuovo quella giusta, magari sarà il suo giorno, come oggi è stato quello di van der Hoorn.
Foto: Luigi Sestili