«Non mi ha mai detto bravo. Se arrivavo in volata e vincevo mi diceva che avrei potuto partire prima, se partivo troppo presto mi spiegava che sarebbe stato meglio aspettare la volata. Non lo faceva per cattiveria, lo faceva per insegnarmi a non sedermi mai, a fare la vita del corridore. Mi diceva sempre: “Se vai in gara, devi correre. Altrimenti ti alleni e basta. Non si va in corsa per giocare”. Tutti i miei errori li ho capiti grazie a lui». Filippo Fiorelli parla così di Marcello Massini, il suo preparatore, lo definisce «un tipo strano ma in senso buono, uno di quelli che devi conoscere per capire».
Dopo le prime vittorie in Beltrami, Fracor e la convocazione in nazionale, è stato proprio l’incontro con Massini nel 2017, un anno difficile dopo la mononucleosi, a far scattare qualcosa in questo ragazzo di Palermo dai capelli rossi e dalle tante lentiggini. «Ha visto in me qualcosa che nessuno aveva mai visto e me lo ha tirato fuori. Lui e Paolo Alberati sono stati i miei appoggi: tanta sincerità e poche illusioni».
Il papà di Filippo era un amatore nel settore mountain bike e avrebbe voluto vedere suo figlio correre da subito in bici anche lontano dalla Sicilia. «Mia mamma era abbastanza preoccupata: sarei dovuto andare lontano da casa e avrei dovuto lasciare gli studi. Purtroppo in quei giorni papà ebbe un grave incidente ed io alla bicicletta non pensai più per diverso tempo». Sotto casa, però, ci sono dei locali di proprietà dei nonni e un anno il nonno affitta il negozio a un venditore di biciclette; lì accade qualcosa, lì la bicicletta torna nella vita di Filippo.
Questa volta è qualcosa di più serio, qualcosa che impone una decisione. Filippo decide di partire per andare in Toscana, c’è una squadra ad aspettarlo. «Ho passato una settimana a non dormire per l’entusiasmo prima della partenza. Sono partito con un amico: in treno abbiamo parlato tutto il tempo. Ci chiedevamo che vita ci aspettasse, è normale no? Ti chiedi sempre cosa ti aspetti. Le difficoltà le capisci dopo, quando sei solo e devi crescere prima, devi diventare grande più in fretta. All’inizio ero abbastanza scosso da questo tipo di vita ma la accettavo in quanto tale. Mi dicevo che se per fare il dilettante era necessaria, non potevo fare altro».
Filippo Fiorelli è un tutt’uno con la sua terra. «Non si parla solo di famiglia o parenti. Quando mi allontano, della Sicilia mi manca qualcosa che non si può nemmeno raccontare. Mi manca l’aria, mi mancano le sue strade, le sue estati e il gelato sul muretto con gli amici. Fatico a immaginarmi lontano dalla mia terra». Due settimane fa, Fiorelli era a Palermo con Giovanni Visconti. «Per noi è un esempio, un modello. Per molti ragazzini è la ragione stessa per cui iniziano a correre, perché vogliono essere come Giovanni. Ricordo benissimo cosa ho pensato la prima volta che l’ho incontrato in nazionale. Qualcosa che riprovo ogni volta che penso ora che siamo compagni di squadra».
Visconti racconta di parlare poco il dialetto siciliano ma quando è con Fiorelli, sì. «Dice che gli tiro fuori un lato caratteriale che manco lui sa di avere». Così giù a ridere e scherzare, la mattina a colazione o su un divanetto, la sera prima di tornare in camera.
L’altro giorno Fiorelli lo diceva ai suoi compagni: «Dai, sono stato anche fortunato». La fortuna di cui parla Filippo è quella che insieme alla determinazione lo ha portato a diventare ciclista, pur iniziando a pedalare tardi. Determinazione, perché a Fiorelli non piace proprio lamentarsi. «Quando sei in mezzo ad un problema, qualunque problema, devi cercare una soluzione. Non lo risolvi piangendoti addosso e tanto meno lamentandoti con te stesso o con gli altri». Poi una riflessione. «Quando inizi a pedalare seriamente a diciannove anni, non è come quando lo fai dai dodici anni o anche prima. Non è facile arrivare al professionismo. Però non mi pento di nulla. Sono felice delle scelte che ho fatto e credo anche siano state le scelte giuste».
Già perché Fiorelli del tempo ha capito la cosa più importante. «Diciotto anni li hai solo quando sei realmente diciottenne, non prima e non dopo. Non puoi riaverli a sessant’anni. Per cui è giusto che vivi in pieno i tuoi anni e fai tutto ciò che puoi fare. A costo di provare e sbagliare. Certe cose devi viverle perché, si sa, il tempo non torna più».
Foto: Paolo Penni Martelli