Ho provato una sensazione nuova, girando in bicicletta per Copenaghen. Una sensazione che difficilmente dimenticherò. Dovrebbe essere la normalità, ma l’ho provata solo lì, di tutte le città (città grandi, città trafficate, piene di persone) in cui ho pedalato: in nessun posto come tra le strade Copenaghen, mi è capitato di sentirmi al sicuro. Sicuro in tutto e per tutto, sui pedali senza timore alcuno; spensierato e felice avrei continuato a pedalare fino alla mattina seguente, se solo ne avessi avuto le possibilità.
Non c’è una circostanza particolare, un episodio che svetti sugli altri che mi abbia fatto pensare di essere davvero protetto, al riparo, in un ecosistema che si prende cura dei ciclisti: è stata una sensazione diffusa, valida per tutto il tempo (quasi cinque ore) che mi sono ritrovato a pedalare. E così dovrebbe essere, la normalità. Non ero solo, in realtà: un’amica che vive e lavora a Roskilde (poco fuori Copenaghen, sede di partenza della seconda tappa del Tour de France 2022) ha portato me e diversi altri amici non ciclisti in giro per la città. Alcuni di loro non toccavano una qualsiasi bicicletta da mesi e hanno accolto con grande sorpresa la notizia – comunicata loro dopo aver controllato su Komoot la registrazione dell’attività, che quasi avevo dimenticato di aver avviato – di aver già completato oltre 35 chilometri.
Solo muovendosi in città – per il brunch nel quartiere di Nørrebro, nella zona della Sirenetta e del Kastellet e davanti al castello di Rosenborg o alla tomba di Kierkegaard – avevamo pedalato 35 chilometri senza rendercene conto. Le piste ciclabili, a Copenaghen, sono dappertutto: sui ponti principali, a lato delle strade più trafficate, su e giù per i diversi parchi verdi che si susseguono in una città pensata per il trasporto su bici. Non sono riuscito a contare il numero di cargo bike che, guidate e messe in movimento soprattutto da donne, portavano bambini a scuola: esatto, due o tre bambini dentro il cassone della cargo bike. E via. Prima di tanti semafori una sbarra verde permette ai ciclisti di appoggiarsi per non smontare dalla bici: è un incentivo alla velocità, perché se vai in bici non per forza ci metti più tempo che prendendo la macchina, anzi.
L’ostello in cui abbiamo noleggiato le bici ne aveva circa 200 disponibili. Le piste ciclabili, oltre a portarti ovunque, sono vere piste ciclabili: separate dalla carreggiata, larghe diversi metri, asfaltate bene, sulle quali non si trovano macchine in sosta a ogni pedalata. Proprio mentre decidiamo di andare a vedere quella famosa pista da sci costruita sull’inceneritore nella zona del porto, inizia a piovere. Forte, come piove in Danimarca. E le persone come hanno reagito? Continuando ad andare in bicicletta. Verso il tardo pomeriggio chi pedalava con me ha preferito tornare in ostello. C’era ancora un’ora e mezzo di luce, i ciclo-cafè di Rapha e Pas Normal (il primo molto in centro, il secondo – addirittura un flagship store, qualunque cosa significhi – nella ricca zona nord) erano già chiusi e di chiudermi a mia volta in una piscina (non hanno un museo degno di nota ma gli ostelli con piscina sì, a Copenaghen!) non avevo voglia. Per cui, bicicletta e si punta verso nord. Avevo sentito parlare delle ciclabili che portano fino a un terzo ciclo-cafè, Cranks&Coffee, ben fuori dalla città. All’orario del mio arrivo in zona non sarebbe stato aperto neppure quello, ma l’importante per me era pedalare.
Anche uscendo dalla città, le piste ciclabili sono ugualmente curate e ben tenute. Quando l’arteria principale si affaccia sullo stretto di Øresund, che separa Danimarca e Svezia, la pista ciclabile non perde spazio, anzi ne acquista: tre o quattro metri di corsie sono riservati ai pedoni, altrettanti ai chi pattina a rotelle, altrettanti ai ciclisti. Piuttosto esterrefatto e ammirato, mentre mi godevo i riflessi del tramonto oltre le case del porto, pensavo che in Italia non sarebbero morte in media 217 persone ogni anno dal 2018 al 2021 in incidenti in bicicletta se esistessero più città di questo tipo. Ma perché più città, tutte le città dovrebbero essere così. «Eh ma [*inserire città a piacimento*] non è Amsterdam» non è più una scusa, come scrive Elena Colli su Valigia Blu. A proposito di Amsterdam, città che, come Copenaghen, è famosa per il suo andirivieni di biciclette: era intasata dalle macchine, fino a non troppi anni fa.
Non voglio lanciarmi nella proposta di soluzioni veloci: non esistono bacchette magiche. È una questione culturale, infrastrutturale, urbanistica, che riguarda abitudini e modi di vivere e molte altre cose ancora. È una questione politica, in ultima istanza.
Cito, in conclusione, un dato di fatto: in Italia le piste ciclabili sono molto poche. Una delle conseguenze è il fatto che a Milano, nel momento in cui scrivo, la concentrazione di PM2.5 (ovvero, in sostanza, le polveri sottili) è quindici volte (15!) superiore aI valore di guardia dell’Organizzazione mondiale della sanità. Mentre mi chiedo se uscire a pedalare oggi faccia bene ai miei polmoni o meno, io, e penso tante persone che leggono, ricorderò per sempre la prima volta che ho vissuto come le cose possano andare in un modo diverso.
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