C’era un padre, maresciallo di Polizia, a Palermo, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, la sua seicento e quella Graziella che caricava nel bagagliaio per portare il figlio a Villa Giulia, a pedalare. Per Domenico Romano, per tanto tempo, la bicicletta era il mezzo che gli restituiva papà, in quella Palermo difficile. E oggi, che anche Domenico è maresciallo della Guardia di Finanza, quei giorni sono ancora lì.
«La bicicletta è un modo di giocare anche da grandi, perché spesso è uno dei primi giochi da bambini e l’ultimo che si abbandona da anziani» dice così mentre si reca al lavoro in una mattinata dai contorni grigi nella sua città, Spadafora, in provincia di Messina. Da qualche giorno ha deciso che il 6 giugno partirà da Lampedusa verso Capo Nord: 7000 chilometri e trentacinque giorni di viaggio. Ha deciso e lo ha detto forte e chiaro «perché non sai quante cose pensiamo e progettiamo senza realizzarle. Credo accada perché non le diciamo a nessuno e, se nessuno le sa, ci sentiamo autorizzati a rimandare. Lasciamo la porta aperta dietro di noi per fuggire. Invece quella porta va chiusa».
Qualche anno fa, Domenico era partito dalla Sicilia verso Londra, sempre in bicicletta, per andare da suo figlio. L’aveva fatto per una scommessa, ma soprattutto per dire qualcosa ai suoi figli e ai ragazzi che hanno l’età dei suoi figli. «Tutti vogliamo stare meglio e avere più possibilità, fare carriera magari. La realtà è che tutti lo vogliamo ma pochi sono disposti a fare ciò che serve per arrivarci. Perché costa fatica». Romano dice che la fatica, spesso, non è ben vista nella società di oggi, sembra qualcosa che aggiunge un peso, che ti blocca perché «devi faticare. Vorrei sdoganare l’idea che la fatica può essere bella. Chiamiamola impegno, l’impegno che serve per arrivare a Calais in bicicletta o a Capo Nord. È bello perché sai che puoi arrivare. Nella vita di ogni giorno vale lo stesso, anche se spesso si fa fatica per cose più brutte, più difficili».
Quando ha pensato al viaggio a Capo Nord, ha pensato che sarebbe partito da Lampedusa «perché per tante persone in mare, purtroppo, è un miraggio quella città» e che sarebbe arrivato a Capo Nord «perché per chi pedala è un sogno arrivarci in bici». Il viaggio toccherà luoghi simbolo d’Europa, nel bene e nel male. «Saremo in due. Abbiamo allungato l’itinerario per passare da Auschwitz, il luogo in cui ogni valore umano è stato negato, ogni rispetto. Ma passeremo anche da Rovaniemi, dove c’è la casa di Babbo Natale, dove si crede al regalo come simbolo per rendere felice una persona. Alla sorpresa». Ci sarà la scoperta dei paesi e quella della condivisione, dell’incoraggiamento e dell’ascolto dei momenti di difficoltà altrui, consapevoli che serve davvero poco per fare coraggio.
Di problemi, in un viaggio così lungo, ce ne saranno. Domenico lo sa bene, ma non sopporta le lamentele: «Solo l’idea di partire per un viaggio comporta problemi: dal preparare il mezzo, alle borse, al meteo. Se ne affronta uno per volta e si cerca una soluzione e, visti singolarmente, quasi tutti i problemi sono risolvibili. Non ci sono altre vie».
Da questo viaggio, Domenico vorrebbe portare qualcosa alla sua terra. «In Sicilia c’è tutto ma, spesso, scegliamo di incatenarci a un pregiudizio, a ciò che viene raccontato. Nello scorso viaggio, all’imbarco di Calais, fra tanti stranieri ho trovato una famiglia di italiani, di Noto. Mi hanno lasciato passare davanti perché pioveva e con la bicicletta mi sarei lavato. Mi hanno cercato in mezzo a tutta la gente mentre ero seduto a terra, senza posto. Hanno diviso con me la loro pastasciutta, senza che chiedessi nulla. Vorrei portare questa consapevolezza, ciò che possiamo essere, se solo lo vogliamo».
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