È l’agosto del 2021. Dal volo per Tokyo, assieme alla nazionale italiana di ciclismo, scende uno chef: fra i suoi bagagli un insieme di fogli, pieni di ricette, trascritte e tradotte solo pochi giorni prima. Tanti fogli, un ricettario intero. La nazionale di ciclismo non alloggia nel villaggio olimpico, bensì in un albergo ed è proprio nella cucina di quell’hotel che quei fogli verranno depositati su un tavolo attorno a cui stanno conversando diversi chef giapponesi. L’albergo sarà adoperato esclusivamente dalla nazionale in quelle settimane e Mirko Sut, sì, il viaggiatore sceso da quell’aereo, ha voluto incontrarli subito e formulare una proposta: «Ascoltate: queste ricette sono vostre, ve le regalo con tutta la mia esperienza ed i piccoli segreti che metto nei miei piatti. Voi avrete altre cose da insegnarmi, cose che io non potrei mai imparare senza il vostro supporto: rinuncio ad ogni pomeriggio libero solo per apprendere le vostre ricette, le vostre abilità. Se siete d’accordo, è questo lo scambio che vi propongo». Uno scambio culturale, nulla di diverso. Quegli chef hanno accettato ed in quel mese Sut ha scoperto i segreti del sushi e non poteva immaginare nulla di simile. Il riso, ad esempio. La sua scelta avviene attraverso il raffronto di diverse tipologie di riso di varia età, prediligendo sempre quello più “vecchio” in quanto più consistente, più sfumato al gusto: qualcosa di simile a ciò che in Europa avviene con le farine, nella panificazione. Ora che Mirko Sut sa tutto questo, il sushi è spesso sulle tavole degli atleti di Lidl-Trek per cui cucina: in particolare gli Onigiri. Altre preparazioni non sono replicabili, perché mancano gli ingredienti da noi, ma quell’esperienza ha continuato a costruire allo stesso modo la professionalità dello chef veneto e degli chef giapponesi: «Mi hanno raccontato che i principi dietro la cucina italiana e giapponese sono simili: al centro c’è la materia prima, da ricercare con cura, e la preparazione, che deve essere minuziosa. Forse per questo, erano interessati alle crostate e alla pasta al pomodoro. Un piatto semplice, eppur complesso come tutte le cose semplici. Pochi ingredienti: la pasta, l’olio, il pomodoro, il basilico. Pochi passaggi. Basta un errore ed il risultato è compromesso, non si può rimediare». Avrebbe pensato a tutto questo un bambino cresciuto al tavolo di un’altra cucina, in Germania? Probabilmente no.
Eppure Mirko Sut passava tutti i suoi pomeriggi nella cucina in cui i suoi genitori lavoravano e ad ispirarlo è stato proprio suo padre, nonostante in famiglia i cuochi fossero molti, tre degli otto fratelli della madre. Tuttavia «ogni papà è una sorta di eroe negli occhi di un bambino, così nasce l’emulazione». Mirko Sut ha sempre pranzato in quella cucina e la sala da pranzo di casa l’ha vissuta ben poche volte. Disegnava, colorava, leggeva: il suo piccolo mondo era tutto fra quelle mura. È cresciuto in questo modo: da ragazzino, d’estate faceva la stagione tra Caorle e Bibione, in inverno, invece, era pizzaiolo. «La possibilità migliore che abbiamo è quella di creare qualcosa che ancora non c’è e con i cibi basta cambiare un accostamento per dare vita a qualcosa di nuovo, perché sono davvero mille le sfumature che si possono ottenere partendo dagli stessi ingredienti». Il ciclismo l’ha sempre amato, tuttavia è stato un giorno del 2009 a farglielo incontrare più da vicino, quando un manager di Liquigas, passando da quel ristorante, l’ha conosciuto e gli ha proposto di accompagnare la squadra alla Vuelta a España. Non ha avuto bisogno di pensarci molto prima di dire sì. «Era un’altra era per quanto concerne il mio lavoro. Non c’erano nutrizionisti con le squadre, solo i medici. Pochi gli chef. Ricordo che prima delle tappe di montagna mi chiedevano di preparare la carne rossa: oggi è quasi esclusa dall’alimentazione di un ciclista in una corsa a tappe. Forse due volte, prima del giorno di riposo. Non c’erano nemmeno bilance, oggi si pesa tutto e ne servono almeno due ad ogni cuoco». Già in quel momento, Sut avrebbe voluto che fosse quello il suo mestiere, avrebbe voluto cucinare per i ciclisti, per gli sportivi.
C’era un contratto firmato di mezzo, viaggi tra Venezia, Roma, Londra e stelle Michelin da ottenere, così attese. Ma avrebbe aspettato lo stesso, per acquisire tutta l’esperienza necessaria e l’esperienza ha a che vedere con le ore di volo, con gli imprevisti che si incontrano e si risolvono, perché nel ciclismo è tutto un poco diverso, un poco più difficile. «La preparazione meticolosa e la materia prima eccellente sono la base in entrambi i casi, tuttavia in un ristorante ci si può permettere di spaziare maggiormente: non bisogna badare ad un pizzico di sale in più, ad un cucchiaio d’olio aggiunto ad un soffritto, a quanto burro si usa. Nel ciclismo è necessario controllare tutto, anche quanto finemente sono tagliate le cipolle. Immaginiamo un recinto: da lì non si può uscire, i paletti sono vincolanti, ma, all’interno, si può, anzi, si deve sbizzarrire la fantasia, sperimentare, innovare ed è una sfida, un banco di prova quotidiano». Il dovere di uno chef è eliminare ogni possibile fonte di stress, dal punto di vista alimentare, per l’atleta che, una volta a tavola, sa che tutto quel che c’è è controllato, sicuro, ma non si ferma qui. «In mesi e mesi lontani da casa, anche il gusto è importante, perché aiuta ad appagare, a soddisfare. Pensate ai bambini: non mangerebbero mai un broccolo al vapore, in una tortina, con una forma particolare, invece, magari, ne mangerebbero anche più di uno. I miei tacos al cavolfiore sono nati da questa intuizione e piacciono. Sembrano tacos ma sono cavolfiori. Gli atleti si nutrono così di ciò che è necessario, con piacere». La responsabilità è importante, perché una disattenzione nella pulizia o nella materia prima potrebbe provocare il ritiro di un atleta da una gara, un danno enorme di cui Mirko Sut vive il peso, con dedizione ed impegno. Per esempio quando, a casa, prova nuovi accostamenti oppure nel momento in cui, al supermercato, si lascia ispirare dagli alimenti e studia per ore ed ore nuove pietanze in modo da non avere più dubbi nel momento in cui le proporrà agli atleti. Il dubbio si toglie solo così in cucina: con il lavoro.
Un lavoro itinerante, in cui le cucine cambiano continuamente, i tempi sono contingentati, le liste degli ingredienti richiesti sempre più dettagliate, eppure talvolta gli ingredienti stessi non sono all’altezza di ciò che serve e bisogna cambiare piani. Ecco il perché di quell’esperienza che Sut voleva acquisire, la stessa che nel 2016 l’ha riportato nel ciclismo e dal 2014 in nazionale. Ha ripreso a viaggiare, a conoscere nuove usanze culinarie, a chiedere a cuochi di altri paesi, mutuando una tradizione italiana, quella per cui in Liguria vengono offerte le trofie al pesto e a Napoli le sfogliatelle. Resta un lavoro in cui la comprensione ha un ruolo decisivo, perché il mondo che si esplora all’esterno è, in realtà, lo stesso che compone le squadre: «Per un ragazzo americano, la pasta al sugo è la pasta con il ketchup che è ben differente da un piatto di pasta con un buon sugo e una foglia di basilico. All’inizio, pare assurdo ma è vero, può non piacere la nostra proposta, è questione di abituarsi. Bene, non c’è soddisfazione maggiore di quando un atleta, ad un certo punto, afferma: “Non c’è storia, da oggi in poi mangerò solo questa”. Un cambio di usanze e di gusti significativo».
Restano e resteranno sempre la pasta, il riso, le patate, dolci o salate che siano, aumenteranno sempre più gli chef con le squadre, perché sempre più saranno i dettagli da controllare, sempre “a blocco” dal mattino alla sera: per questo, già qualche squadra ha almeno due chef nell’organico. Gli ingredienti freschi, la materia prima, saranno ancor più importanti, unico e riconoscibile il loro sapore, simili ai pomodori nell’orto dei genitori di Mirko Sut, perché quel bambino che passava i pomeriggi nella loro cucina ora è uno chef ed in cucina crea, esplora, costruisce, accosta, racconta, assaggia, prepara.
Foto di Mirko Sut: Sean Hardy
Foto Pedersen: Sprint Cycling Agency
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.