La bellezza, per definizione, è qualcosa di soggettivo. Il fascino, l’eleganza, attraggono osservatori e ammiratori che ne rimangono colpiti. La Paris-Roubaix di oggi, soleggiata e polverosa, quasi perfetta, è un brutale inno alla bellezza, ma non c’erano dubbi. Parlavamo di definizioni: questa corsa pare abbia intriso nel suo significato il concetto di bello.
Emblematico il suo vincitore: Sua Eleganza van Baarle, per quel modo che ha di pedalare e muoversi in gruppo, di stare in bicicletta. Un tutt’uno armonico, affascinante, cadenzato. Preciso, nato insieme al suo mezzo.
Quando lo vedi accelerare rimani a bocca aperta. Appare tranquillo. Alto, ma aerodinamico, potente, ma leggero. Quando attacca, oggi, e lo fa più di una volta prima dell’azione decisiva che lo porterà a conquistare la corsa, sembra rallentare – a un certo punto sembrava avesse forato – e invece spinge e stacca chi, alla vigilia, partiva con l’idea di entrare prima di lui nel velodromo di Roubaix. Spinge e non lo rivedono più.
A rendere riconciliante la bellezza di una corsa che di suo non avrebbe bisogno di aggiunte di alcun genere, ci ha pensato la sua squadra. Quando pensi di aver visto Roubaix di ogni tipo, la Ineos ti ricorda che si può osare. Si possono aggiungere altri ingredienti rendendo 5 ore e 37 minuti di corsa una caduta in apnea.
Attacca, la Ineos, quando mancano 210 km all’arrivo, quando al primo settore di pavé un’ora e mezza. Davanti tirano a turno Turner (menzione speciale: primavera fenomenale la sua), Sheffield, Ganna, Rowe, Wurf; van Baarle ogni tanto dà qualche cambio, gestisce insieme a Kwiatkowski, e lo vedi, pulito nell’azione, come all’arrivo, pulito ma con la faccia impolverata. Senza ombra di dubbio il più forte oggi, come spesso è stato il più bello da vedere.
E forse a qualcuno può restare l’amaro in bocca per non aver goduto di una sfida epocale tra van Aert – prima o poi riuscirà a superare senza un problema Arenberg? – e van der Poel che raschia il barile, ma non è il solito van der Poel. A qualcuno può restare l’amaro in bocca per non aver celebrato Ganna fino alla fine, dopo averlo visto -Arenberg compreso – domare le pietre come se non avesse mai fatto altro in vita sua. Il messaggio di Ganna è chiaro: tornare qui e provare a vincere. Oggi è stato messo qualche tassello.
La bellezza, tremenda, brutale bellezza, oggi è in Davy che è il primo a cadere, e col corpo tumefatto dà una mano ai suoi compagni di squadra nel tentativo di ricucire sui primi. È Askey, il più giovane all’arrivo, che va avanti e chiude 42° nonostante le ginocchia insanguinate.
È Mohoric che coglie ogni attimo possibile per provare ad anticipare e vincere una corsa che sembra non amare i padroni. In Lampaert che sfiora un tifoso e cade non c’è alcun tipo di bellezza, ma ci ricorda che questa è la Roubaix e fatti di questo genere sono dietro ad ogni curva. Pichon e Devriendt sono la bellezza di una corsa che, quando si è capaci di cogliere il momento, può donarti una giornata indimenticabile.
La bellezza, ovvero, la Paris-Roubaix. Perché non c’è corsa più fuori dal mondo. Se poi ci regala quasi 6 ore così, non si può davvero chiedere altro a questo Inferno.