Al Tour of Norway, qualcosa è scattato nella mente di Leo Hayter. Classe 2001, team Dsm, fratello minore di Ethan, giovane talentuoso di casa Ineos Granadiers, Leo ha a lungo patito, silenziosamente, la scelta di mollare tutto per dedicarsi allo sport, come se nella vita non ci fosse nient’altro. Un lungo processo di accettazione, per ritrovare la felicità di pedalare. Il 21 agosto, l’ha scritto su suo account Twitter: «La giornata di oggi mi ha ricordato perché lo faccio. Finalmente ho avuto la sensazione di gareggiare e non solo di essere un’appendice della corsa. È la prima volta che mi succede dal 2019».
Ethan e Leo hanno condiviso ogni cosa sin da ragazzini. Fin da quel pomeriggio in cui i genitori li accompagnarono a un centro estivo nei pressi di un Velodromo: una scelta casuale per permettere ai ragazzi di divertirsi e tornare al lavoro. Ethan aveva già la fisionomia di un ciclista, Leo no e, a dire il vero, nemmeno gli interessava. Racconterà anni dopo che, fino a quel momento, tutti i pomeriggi della sua infanzia li trascorreva sul divano, mangiando e giocando alla play station. Non aveva il fisico da ciclista, tanto meno la mentalità. Avrebbe solo voluto essere un ragazzo qualunque.
Una scelta non scelta che dopo qualche anno inizia a portare i primi risultati. Leo Hayter vince la prima corsa da junior, ad Assen, e subito pensa ad un colpo di fortuna. «Ho sempre creduto che, se non fossi arrivato da solo, non avrei mai vinto nulla. Sarebbe stato un gioco da ragazzi per chiunque battermi» spiega a The British Continental. È lui il primo a non credere nelle proprie possibilità, forse perché non ha la grinta che serve per primeggiare, forse perché le persone al suo fianco non ci credono. Nella British Cycling Junior Academy, fino a quel momento, per tutti, è “il fratello minore di Ethan”. Quest’etichetta pare non infastidirlo e lui stesso ammette che Ethan ha capacità superiori alle sue, ma le scelte di vita, spesso più delle parole, rivelano davvero ciò che sentiamo.
Tutto inizia da un volo per partecipare a un training camp con il Team Sunweb: Leo mangia qualcosa e subito dopo inizia a stare male. Ciò che sembrava non interessargli diventa importante: vuole dimostrare di valere e non dice nulla di quel malessere. Fa due giorni di prova mangiando solo pane scondito e si sente in forma, in salita pedala come non mai. Scelta scellerata: nel suo fisico c’è qualcosa che non va, solo qualche settimana dopo, in un allenamento, cadrà a terra completamente svuotato.
Per guarire serve tempo, ma quei giorni hanno cambiato qualcosa in Leo. Ha la certezza di volere qualcosa in più e sa che nell’Accademia britannica sarà condannato a restare “il fratello minore di Ethan”. Sa di non avere il fisico ideale per lavorare in pista e dice ai genitori di voler passare nel team Dsm. Difficile convincerli, come se quel figlio fosse sempre troppo giovane per decidere in autonomia, come se la sua strada dovesse essere per forza quella di Ethan, come se il suo fosse un destino già scritto. Ma per la prima volta Leo Hayter sceglie la strada che davvero desidera e improvvisamente non è più solo “il fratello minore di Ethan”.
Non è mai stato facile e mai lo sarà, anche se la Coppi e Bartali corsa assieme dai due fratelli ha risvegliato l’entusiasmo del pubblico e degli addetti ai lavori, come le storie a lieto fine. Quella di Leo e Ethan Hayter non è una storia a lieto fine perché, forse, le storie a lieto fine come tutti le immaginiamo nemmeno esistono. Nemmeno quando Ethan vince il Tour of Norway e Leo ritrova se stesso. La storia dei fratelli Hayter è la storia di chi ha capito che non bisogna credere a chi cerca di convincerci che se non siamo i primi non valiamo nulla. Non è vero per lo sport e, soprattutto, non è vero per la vita. Non hanno senso i paragoni o i confronti perché siamo completamente diversi, anche da un fratello, e nessuno può cambiare questa realtà. Ma la felicità se ne frega dei confronti e arriva lo stesso. Chiedetelo a Leo Hayter.
Foto: Bettini