Leggere il suo nome fra gli otto Qhubeka NextHash che parteciperanno a La Vuelta al via sabato, ci ha fatto piacere non c’è che dire. L’uomo Aru che è esattamente l’Aru corridore, che merita rispetto per i suoi tentativi di provarci, di stare a galla, di riuscirci anche a costo di fallire.
Di rispondere alle critiche come se poi essere Aru dovesse cambiare qualcosa più a noi che a lui; essere Aru nella sua normalità, quella del corridore, dell’uomo che ci prova sempre e comunque. Che sprofonda e ritenta, che ingoia delusioni e prova a dribblare critiche – a volte sacrosante quando espresse con giudizio, a volte, troppo spesso, ingiuste, pesanti. Che più che critiche sembrano lo sfogo amaro di chi aspetta sempre un passo falso altrui.
Ci riprova: in quella Spagna dove conserva alcuni fra i suoi migliori ricordi: «La mia prima Vuelta è stata nel 2014: ho vinto due tappe e sono arrivato tra i primi cinque della classifica generale. Nel 2015 ho vinto la Roja è stato fantastico: mi ha davvero cambiato la vita» ha raccontato poche ore fa.
Sarà il ritorno in un Grande Giro dopo il ritiro al Tour 2020 che lasciò scorie nella sua giovane testa e nelle gambe già usurate dal tempo, e portò al divorzio con la sua vecchia squadra.
Non interessa se “a parlare sarà la strada”, come si direbbe, perché essere Fabio Aru risulta poi troppo spesso un tentativo di dimostrare qualcosa a chissà chi; a chi gli fa i conti in tasca, a chi la prende sul personale per i risultati che non arrivano, come se fosse la loro vita a dipendere dai piazzamenti di Aru e non quella di Fabio.
Oggi leggere il suo nome tra i partecipanti alla prossima Vuelta non può che riempirci di piacere, a prescindere dai risultati, e da quello che verrà. “Dalla parte di Fabio Aru”, anche questo si è scritto e letto spesso nei mesi scorsi. Oggi l’intento è quello di schierarsi di fianco a lui e alla sua voglia di normalità. Al desiderio di attaccarsi un numero sulla maglia e correre, faticare, sudare, come uno dei tanti. Comunque andrà la corsa a noi interessa il giusto: forza Fabio, allora, dietro la sua voglia di normalità si nasconde l’amore per la bicicletta.