Lontano da gialli riflettori, Lachlan Morton sceglie sfide alternative al Tour de France, proprio come fece lo scorso anno. Nel 2019 era GBDuro, pochi giorni fa Badlands, a Girona, nel sud della Spagna: 700 chilometri percorsi, 15 mila metri di dislivello. 1 giorno, 19 ore e 30 minuti il suo tempo di percorrenza.
«È stato fantastico. Non avevo alcun piano da seguire, solo voglia di mettermi alla prova» racconta l’estroverso corridore australiano sulle pagine del sito ufficiale della sua squadra, la EF Pro Cycling di Jonathan Vaughters.

Il suo mentore, Vaughters, lo ha rivoluto lo scorso anno in squadra. Anni fa scommise su di lui dopo averlo visto stracciare tutti in salita negli Stati Uniti, lo portò a correre in Europa e, dopo essersi fatto sedurre da quel corridore che “aveva valori atletici da vincitore di un Grande Giro”, successivamente lo abbandonò.

«Il mio obiettivo era mettermi alla prova, testarmi, conoscere. E questo lo capisci solo vedendo per quanto tempo sei capace di stare in bicicletta. È stato un percorso impegnativo perché ti ritrovi nel deserto con quaranta gradi e poi in mezzo a valichi alpini con il freddo. Io mi sono semplicemente goduto il viaggio. È stato difficile, ma mi sentivo mentalmente pronto per affrontare una prova di questo tipo ed è proprio la forza mentale ad aver reso il tutto un’esperienza piacevole. Mi sentivo in equilibrio, nonostante abbia vissuto tutto lo spettro delle emozioni: è stato diverso questa volta rispetto al passato. Dopo dodici ore anche il telefono aveva smesso di funzionare: non avevo più musica né alcuna connessione. Ero solo io insieme ai miei pensieri. Cerco la parola giusta per descriverlo: bello suona banale, ma è stato così. Il piacere di avere tutto quel tempo solo per me e per i miei pensieri.
Ho pensato alla mia vita in generale, a quanto sono fortunato a fare quello che mi piace. Forse perché mi sono ritrovato in situazioni estreme e complicate, che ti mettono alla prova e ti costringono a riflettere. Ho pensato solo a quello che ho. Ho pensato a casa mia e all’importanza di godermi ogni momento e ogni piccolo particolare. E proprio per questo non vedevo l’ora di tornare a casa.
Queste sono prove in cui ti misuri con te stesso e con il tempo. Il tempo che ti ci impieghi rispetto a qualcun altro, ma la realtà è che la tua corsa e quella degli altri non si influenzano in alcun modo. Perché alla fine contano solo i tuoi limiti. È stato bello perché non potevo vedere dove si trovavano gli altri; per tutto il tempo ho pensato di non avere un grande margine. E poi dopo un po’ ho finito per non pensarci più: andare avanti e concludere la gara è stato l’unico motivo che mi ha ispirato. Ho pensato “sarebbe ancora più speciale se tutto questo lo facessi solo per me stesso”.
Ho avuto un momento di difficoltà durante l’ultima salita, la seconda notte. Non avevo ancora dormito e il mio cervello ha iniziato a giocarmi strani scherzi. Il tempo sembrava scorrere lentamente. È stata la cosa più bizzarra che mi sia mai accaduta, era come se fossi bloccato. Mi ripetevo: “Ok, sei solo, sei lontano da qualsiasi cosa, sei su un sentiero escursionistico lontano da ogni luogo. Sei a tremila metri e non hai altra scelta. Devi affrontarlo”. È una lezione importante che mi porterò appresso.
Il primo pomeriggio di corsa ho avuto un incidente, ma l’ho gestito bene. Problemi meccanici non ne ho avuti il che è un po’ una sorpresa visto il tipo di percorso che abbiamo affrontato. Poi all’improvviso mi sono ritrovato davanti agli occhi picchi montani che sembravano spuntati dietro le vette la notte prima. Il tutto mentre stavo pensando solo a come scollinare per arrivare a Granada, un puntino che vedi laggiù. Per chi non ha vissuto questo tipo di esperienze può sembrare strano, ma in quel preciso momento ho capito che ce l’avrei fatta, che sarei arrivato fino alla fine. Sono momenti che ti regalano delle sensazioni uniche.
Lungo tutto il percorso non sono riuscito a dormire. Sono solo andato avanti. Mi sono fermato tre volte in cerca di cibo, mentre riempivo acqua ogni volta che potevo. Ho usato un po’ di gel, che mi sono stati davvero preziosi.
Mi sono allenato su strada prima di questa corsa perché avevo bisogno di ritrovare l’entusiasmo per gettarmi nei sentieri. Stamattina quando mi sono svegliato avevo talmente tanto dolore che mi sono detto: “Io andrò al Giro? Non se ne parla proprio!”. Poi sono uscito in bici e dopo dieci minuti ho ritrovato entusiasmo. Non vedo l’ora di fare il Giro perché sarò sempre in movimento, sarà interessante anche solo prepararmi per quello e ribaltare tutto ciò che ho fatto sinora. Sarà una sfida entusiasmante.

Avventure di questo genere richiedono solo una cosa: impegno. Ma se è qualcosa che inizi ad affrontare regolarmente, poi si tratta solo di rendere normali le situazioni difficili. Mi sono reso conto durante il mio viaggio che pedalare, pedalare e ancora pedalare non era altro che la mia normalità. È diventato un po’ come stare sul divano. La discesa diventava: “Oh, questo è davvero meglio che non fare nulla”. E la salita: “Beh sì, è un po’ fastidiosa ma presto finirà”. Si tratta di cacciarsi in situazioni difficili così spesso da renderle normale routine. Prima di questo viaggio sono uscito per fare tre giorni con la mia bici a pieno carico e ho cercato di perdermi tra i Pirenei: mi ci ci sono volute due ore prima di venir fuori da una montagna. L’ho fatto per mettermi alla prova, per frustrarmi in una situazione complicata. Per venirne fuori devi assicurarti che tutti quei segnali mentali che arrivano siano lì per calmarti. Per riportarti alla normalità e per farti dire: “Va tutto bene”. Perché alla fine ciò che ti limita è il modo in cui affronti le difficoltà. A me devo dire che è riuscito bene».

Intervista tratta dal sito ufficiale della EF Pro Cycling
Foto:  Transiberica Ultracycling/Facebook