Accadono molte cose all’inizio di una discesa. Mantelline, fogli di giornale e posizioni aerodinamiche sono visibili a tutti, poi c’è quel che non si vede. Cosa pensa un ciclista mentre inizia a scendere? In gruppo dicono che, in realtà, la discesa è qualcosa di irrazionale e per questo può incutere timore. Irrazionale perché normalmente è l’uomo ad avere il controllo del mezzo, della bicicletta, in quel caso invece quel controllo è fragile. Normalmente l’uomo accelera, spinge anche a fatica per far girare quelle ruote, quei pedali, in discesa bisogna frenare per rallentare una rincorsa automatica della bicicletta. Le discese possono fare paura e serve molto lavoro per risalire la china di quel blocco, di quando il corridore frena solo, non vuole più andare avanti, ha paura di lasciarsi andare.
Pierre Latour sta facendo questo lavoro perché dopo la caduta in discesa del 2019, in allenamento, quella che gli costò la frattura di entrambi gli arti superiori, le discese sono diventate un problema. Tra l’altro, nel suo caso, il problema fu causato da una buca del manto stradale e questo essere senza controllo lo terrorizza ancor più: «Come si fa a fidarsi nel mollare i freni quando non sai cosa c’è dietro la curva?». Anche perché, in discesa, non puoi frenare di colpo e in ogni caso la frenata ha un tempo prima di bloccare il mezzo. Quando parla di discese, Latour non è più lo stesso e noi possiamo solo immaginare cosa gli si smuova dentro mentre vede video di downhill che dovrebbero aiutarlo a migliorarsi. Alla fine ha capito che la sua paura è in parte lì, sulla strada che scende e in parte altrove. Perché le cadute in discesa sono rovinose, si rischia di perdere la stagione e lui, a fine stagione, quando non ha più nulla da perdere va meglio, si sente più libero.
In TotalEnergies stanno provando a invertire il meccanismo classico attraverso cui Latour ha affrontato le discese, ovvero quello di mettersi davanti al gruppo, per fare in modo di poter frenare senza staccarsi del tutto. Negli anni scorsi, Latour aveva anche i compagni a proteggerlo in discesa perché lo spaventava anche lo spostamento d’aria causato dal passaggio di un atleta che ti sorpassa a tutta. Perché nelle paure fa tanto il ricordo del male, del dolore fisico e psicologico, e quel ricordo esaspera tutto, anche se il corridore che ti sorpassa è distante: tu lo vedi vicino, attaccato, addosso. Perdi lucidità e, alla fine, realizzi ciò che temi: o ti fermi o cadi davvero.
E gli altri? Cosa fanno gli altri? Le persone che hai vicino, lo staff, anche i compagni, forse. Da lì iniziano ad arrivare i consigli, tutti in buona fede, assolutamente. Ma è anche questa la difficoltà di un corridore, quella che, nel caso di Latour si innesca all’inizio di una discesa: «Chi ascolto? Qual è il consiglio giusto?». Ci sono regole generali, poi c’è la soggettività, ciò che è giusto per te, per la tua singola paura, per il corridore che sei.
A Calpe, negli scorsi giorni, Latour ha ripetuto varie volte la stessa discesa, con i compagni a controllare che non passassero auto e l’allenatore a “dirigerlo”. Poche persone a dargli consigli, perché è meglio così. Una tranquillità simulata che gli ha permesso di essere sereno conoscendo ciò che c’era dietro la curva, che gli ha permesso di trovare calma e serenità da affiancare al ricordo negativo e poi di passare oltre. Già, perché sarà questo il prossimo passo: evitare di anticipare il plotone in testa, stare lì in mezzo, correndo anche il rischio, sentendo anche la paura, evitando però di tirare i freni perché non è vero che un ciclista non può avere paura delle discese. È, però, vero che un ciclista non può permettersi di non affrontare discese e da quando prende coscienza della paura ha il dovere di lavorarci. Per arrivare a valle.
C’è anche questo in un ciclista in vetta a una montagna, c’è anche questo nella posizione di un ciclista mentre si butta in discesa. Ci si può chiedere quale paura o quale coraggio lo porti lì, perché in lui ci sono le paure di un corridore, di ogni corridore.