Very very super: bastano queste poche parole per iniziare a ridere di gusto con Chiara Consonni. Una sorta di flashback che riporta, in un istante, all’otto settembre 2019, all’ultima tappa del Boels Ladies Tour ad Arnhem, la prima vittoria World Tour della ventiquattrenne di Ponte San Pietro, non lontano da Bergamo. Un microfono sotto il naso, poco dopo la linea del traguardo, senza tempo per pensare, per riordinare le idee, e Consonni parlava del suo treno, raccontava una sensazione di felicità devastante che le scompigliava le parole, i gesti, persino gli occhi lucidi che, ad intervalli di qualche secondo, stropicciava con le mani, mentre ripeteva ritmicamente “non lo so”.
In quelle parole traspariva una visione romantica del ciclismo e della vittoria, espressa in maniera talmente genuina da suscitare un contrasto: «Forse avrei potuto vergognarmi di quell’intervista. Non sapevo quasi per nulla l’inglese, mi facevo capire a stento, mostravo, comunque, una mia mancanza, qualcosa che non conoscevo, e non è facile, temiamo sempre il giudizio per le nostre lacune di conoscenza. In più era una felicità scomposta, non controllata, bambina, e anche quella cerchiamo sempre, bene o male, di controllarla. Sì, forse avrei potuto vergognarmene e, probabilmente, potrei vergognarmene ora, rivedendola, invece ne sono orgogliosa. Io sono così, spontanea, non posso farci nulla: chi guarda quell’intervista vede esattamente come sono. Perché dovrei mascherare e raccontarmi diversamente?». Quel “very very super” è diventato un suo simbolo: ai tempi di Valcar lo aveva anche fatto scrivere sulla sua bicicletta.
La spontaneità pervade l’intervista, per esempio, quando le chiediamo delle prime volate di questa stagione, dei suoi due podi, terzo e secondo posto, dietro a Lorena Wiebes all’UAE Tour, la corsa di casa per la sua squadra, quella che le ha messo qualche tensione, qualche preoccupazione, come sempre “l’essere a casa”, pur se ormai conosceva a memoria le insidie, il vento principalmente e pure la salita di Jebel Hafeet, provata sin troppe volte, «ma lì ormai non era più il mio terreno, non dovevo dimostrare nulla, quindi ero tranquilla». Ma, allora, come si batte Lorena Wiebes? Di astuzia, sostiene Consonni. «Devi considerare che parliamo della velocista più forte del momento che, in più, si ritrova come ultima donna del treno Lotte Kopecky: ti pare poco? Mettiamoci anche una ciclista del calibro di Barbara Guarischi. Con Tereza Neumanova e Karlijn Swinkels abbiamo rivisto gli errori e continueremo a lavorarci, soprattutto in gara, perché in allenamento si può migliorare relativamente il lavoro di un treno. Ma sono proprio le volate ad essere cambiate: due anni fa, bastava buttarsi per fare una volata, oggi il livello è così alto che è necessaria una forte preparazione». A giudizio di Consonni, il suo errore principale, negli anni, era quello di prendere le volate da una posizione troppo arretrata per il timore di prenderle di testa: una scelta che, però, impediva di concentrarsi sul proprio sprint per pensare alla rimonta, quando, invece, negli ultimi centocinquanta metri, afferma oggi, bisogna essere davanti e pensare solo al proprio operato, poi accadrà quello che accadrà e, se si viene saltati, ci si riproverà. «Continuo ad avere il giusto pelo sullo stomaco per non avere paura a gettarmi negli sprint e con tutti gli errori che ho fatto sono diventata più consapevole».
Un anno importante il 2024, l’anno olimpico, a Parigi, segnato già da un cambiamento importante a inizio stagione, riguardante il preparatore che, per Consonni, non sarà più Davide Arzeni, detto “Capo” da tutte le atlete del team, ma Luca Zenti. Un cambiamento che, all’inizio, è stato affrontato con difficoltà proprio per la complessità dell’anno in corso. Chiara Consonni non si nasconde: «Capo era ben più di un preparatore, era ed è un punto fermo nella mia carriera, nei primi tempi non volevo questo cambiamento e mi spaventava il fatto che avvenisse a pochi mesi dall’Olimpiade. Era questione di imparare a conoscere Luca, un professionista che sui dati materiali è imbattibile, che ha una conoscenza scientifica amplissima e che, numeri alla mano, mi sta aiutando a migliorare sulle salite brevi, quelle di uno o due chilometri in cui conta la potenza. Mi riferisco a lavori specifici di cinque o sei minuti in salita, ma anche ai lavori sui wattaggi, nel quartetto, in pista, che sono fondamentali. Da qui valutiamo, passo passo, la preparazione». Il pensiero è alla stagione delle classiche, in particolare al periodo delle Fiandre, dove Consonni vuole arrivare al meglio, con un’idea fissa legata alla Roubaix. Descrive la sua prima volta, in realtà la prima volta della gara stessa nel 2020, in una giornata da tregenda, nel giorno della vittoria di Colbrelli, all’arrivo non sentiva più i muscoli, era distrutta, eppure quella gara la affascina. Proprio in vista dell’Olimpiade, il lavoro su pista sarà più che mai importante. L’arrivo di Marco Villa ha cambiato il modo di affrontare la disciplina e, dopo un anno perfetto, il primo, con la vittoria del Mondiale, l’anno scorso qualcosa non è andato come avrebbe voluto. Nel ragionamento si sofferma sul piacere di andare in velodromo, sul fatto che il gruppo pista sia cresciuto assieme, dalla ragazza più piccola di età alla più grande, tutte più o meno coetanee, e su quella prassi presa negli ultimi tempi: «Ogni tanto ci scriviamo su un gruppo whatsapp e ci accordiamo per andare ad allenarci, rispettando le esigenze di tutte. Siamo atlete mature ormai ed è necessario fare così». I cinque cerchi olimpici le fanno tornare brutti ricordi, l’esclusione dall’Olimpiade di Tokyo brucia ancora: «In quell’anno avevo concentrato davvero tutto su Tokyo e, come non sono stata convocata, mi sentivo nel vuoto. Non sono riuscita a seguirla quell’Olimpiade e fatico a parlarne. Devo salvare la parte buona, il fatto di aver capito di dover lavorare ancora per migliorare e per volare a Parigi, ma la parte di dispiacere è lì, in agguato».
Questa volta non farà lo stesso errore: spiega di aver messo anche altri punti fermi nella sua stagione, per fare in modo che Parigi non sia un tutto, ma una parte del tutto: «Questa la filosofia, quel che mi racconto. In realtà so già che se non dovessi essere convocata, starei male come tre anni fa, perché non è un traguardo come un altro. Però credo che questa volta riuscirei a seguirle, a sentirmi, comunque, parte dei risulati e di ogni prova. Quegli allenamenti assieme aiutano». Sì, anche Chiara Consonni, la serenità in persona, la battuta sempre pronta, la risata naturale e contagiosa, attraversa momenti difficile, come tutti, com’è ovvio che sia, se non sembra è perché Chaira stessa ha scelto di raccontare altro, sui social, nelle interviste e nel colloquio con i tifosi: «Non mi piace soffermarmi su quello che non va, che non funziona. quello c’è, si sa che c’è, ma se devo mostrare qualcosa preferisco mostrare altro: un poco di spensieratezza, di leggerezza, per questo tutti mi conoscono così. Come atleti comunichiamo con molte persone e credo sia giusto provare a restituire serenità. Per il resto c’è tempo, quando siamo con le persone più care o soli, a pedalare».
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