Oggi era, anzi in realtà lo è ancora, perché non è finita la giornata, uno di quei pomeriggi da tenersi liberi, accendere tutti i dispositivi disponibili e farsi una bella mangiata di ciclismo.
Si corre in Spagna, in Francia – in Bretagna per la precisione – in Germania eccetera, ma gli occhi di chi scrive erano puntati in maniera particolare sul Tour de l’Avenir.
C’era salita, tanta, c’era l’Iseran, che vuol dire 2700 metri di altitudine; c’era una fuga con tanti ragazzi dentro e quella voglia irrefrenabile di muovere le gambe pur essendo ormai al decimo giorno di corsa. Fra questi ragazzi, Lorenzo Milesi, classe 2002, DSM Development Team, ovviamente all’Avenir in maglia azzurra.
È tutto l’anno che va forte: nel pieno della stagione, eravamo ad aprile, ha avuto un incidente con un’auto che l’ha preso in pieno mentre si allenava rompendogli la mandibola; ha interrotto l’attività, ha tenuto a freno la rabbia, l’ha domata, è tornato a correre, si è preparato e a questo Tour de l’Avenir è arrivato con ambizioni.
Personali e di squadra perché uno come lui non ce l’hanno in tanti. Spigliato in gruppo, leader nato dicono, abile a limare, resistente sulle salite brevi, cilindrata di quelle importanti in pianura. Uomo ovunque: come va di moda dire in questo periodo, un coltellino svizzero.
Lo abbiamo visto tirare fuori i suoi capitani dalle difficoltà di tappe nervose nei primi giorni, provare a vincere in prima persona nella seconda tappa – ripreso sotto il triangolo dell’ultimo chilometro; lo abbiamo visto scivolare dietro fino in ammiraglia e risalire pieno di borracce per i suoi compagni di squadra.
Lo abbiamo visto dettare ritmi e tempi nella cronosquadre e negli ultimi giorni lo abbiamo visto andare forte anche in salita. D’altra parte lui a inizio stagione raccontava di aver scelto l’Olanda, la DSM, per capire che tipo di corridore poteva diventare e oggi forse qualche risposta l’ha ottenuta.
L’Italia al Tour de l’Avenir ha fatto un piccolo capolavoro, mi scuso in anticipo per i termini che possono sembrare esagerati, ma così è. E un applauso va anche a chi questi ragazzi li guida, Marino Amadori, che ha saputo trasformare un problema – l’assenza di quei corridori che qui avrebbero dovuto fare i capitani: Garofoli fuori tutta la stagione, Germani e Frigo che hanno dovuto saltare la corsa all’ultimo momento per un incidente ancora con un’ auto mentre si allenavano – in un opportunità.
L’opportunità di rilanciare Fancellu, oggi bellissimo in salita mentre attacca e alla sua ruota resta solo Uijtdebroeks, oppure PIganzoli fino a stamattina in lotta per un posto sul podio.
L’opportunità di mostrare Milesi. Ieri, il ragazzo della provincia di Bergamo che corre in bici solo da 4 anni e un po’ per caso, dopo essersi rotto i legamenti della caviglia giocando a calcio, è andato forte: 12° nella tappa più dura della corsa. Oggi è andato in fuga; ha resistito sull’Iseran, anzi, era lui a dettare il ritmo in un gruppo di fuggitivi: prima 18, poi 10, poi 6. In discesa ha controllato i contrattacchi e sull’ultima salita è sparito agli occhi dei suoi avversari. Con quel piglio e quel motore descritto sopra.
È partito e ha vinto, e visto quanto va forte, quella che raccontiamo oggi potrebbe essere solo una parte della sua storia.
Per la cronaca la corsa è stata vinta (dominata) dal belga Cian Uijtdebroeks, ragazzo belga classe 2003. Di lui, se non vi è già capitato, ne sentirete parlare.