Guardavo scendere Marco Odermatt dalla Gran Risa. Era lunedì mattina, era il 18 dicembre. Lo ammiravo mentre lui annichiliva gli avversari. Più lo osservavo e più nella mia testa si faceva spazio una domanda, mi chiedevo fino a quale punto si potesse ritenere spettacolare l’ennesima impresa di uno sciatore che a tutti gli effetti può ritenersi, già oggi, uno dei più grandi di sempre. Il più forte della sua generazione, senza ombra di dubbio.
Pensando a Marco Odermatt, al modo in cui vince e chiude la pratica in (quasi) ogni Slalom Gigante, soprattutto, mi è venuto istintivo il parallelismo con Tadej Pogačar, non fosse altro poi che, proprio qualche ora dopo la vittoria di Odermatt nel Gigante della Val Badia 2023, vittoria in entrambi gli slalom giganti, arrivava la notizia della partecipazione di Pogačar al Giro d’Italia 2024.
L’annuncio della sua presenza ha, prima di tutto, regalato entusiasmo ai tifosi, ma in generale a tutto il mondo che ruota attorno al ciclismo. A coloro i quali a dicembre possono consolarsi solo con il ciclocross o con le prime foto – e giri su strava – dai ritiri. La notizia ha aperto il dibattito, che, personalmente, si è sviluppato in maniera definitiva quando un amico e collega mi ha scritto in privato – mi perdonerà se riporto il suo messaggio, e mi perdonerà, almeno spero, se lo faccio più o meno fedelmente, al netto di qualche omissis:
“Pogačar è un bel colpo per il Giro. La mia paura è che venga, schianti tutti subito e il Giro diventi noioso. È già successo? Sì, non sarebbe la prima volta, ma che palle. Speriamo si inventi modi diversi di vincere, se no è veramente un corteo. Io spero di sbagliarmi, ma che Quintana, van Aert e Ciccone, faccio tre nomi a caso, lottino alla pari o anche poco sotto con lui non ci credo nemmeno se lo vedo e non lo dico perché è Pogačar eh, avrei detto uguale se fosse venuto Vingegaard. Pogačar, più un altro big, sarebbe uno spettacolo davvero; Pogačar e basta in questa mediocrità, secondo me, rischia di dar vita allo spettacolo più noioso degli ultimi anni. E tu dirai: ma Merckx è diventato Merckx perché dominava. Sì, infatti a volte doveva essere di una noia mortale.”
Lo trovo un punto di vista necessario, anche se diametralmente opposto al mio. Uno spunto di riflessione da cui partire.
Ma davvero “i grandi campioni ammazzano lo spettacolo”? Sono convinto valga un discorso opposto e non lo dico per il debole nei confronti del corridore sloveno. Il gesto tecnico o, nel caso di un corridore in salita o allo sprint, perlopiù il gesto atletico, agonistico, che i primi della classe sanno imprimere e di conseguenza riescono poi a trasmettere, restano unici. Sono quelli che fanno la differenza e ti fanno innamorare dello sport – a me basta pensare agli anni di formazione da appassionato di sport e tornando a sci e ciclismo, penso a Tomba e Pantani, è vero, due modi diversi di concepire vittorie e domini, quello di Tomba spesso arrivava dopo seconde manche in rimonta, la poetica pantanesca spinge verso tutto un altro tipo di significato. Restano comunque i gesti di atleti, di corridori sopra tutti gli altri. Gesti che catturano, che si infilano direttamente nella testa e restano vivi nella memoria.
Pogačar fa parte proprio di questa categoria: di quelli che trascinano un movimento, che fanno innamorare di uno sport, che fanno parlare di sé, travolgono. Di questi tempi sono pure parte di un meccanismo che sarei ipocrita se definissi deprecabile, per quanto possa essere moralmente discutibile: è una perfetta operazione di marketing. Nei giorni dell’annuncio e di Pogačar al Giro non si è parlato di altro nel mondo del ciclismo, mica male, eh? Altro che Tour con il suo tratto in sterrato, la partenza dall’Italia, il finale a Nizza oppure altro che Vuelta – presentata abbastanza in sordina un paio di giorni dopo, e un paio di giorni dopo si parlava ancora della presenza di Pogačar al Giro. E immagino anche cosa sarà sulle strade il coinvolgimento ancora più emotivo che ci sarà in attesa di veder passare Pogačar anche solo per una frazione di secondo. Ecco, quello per me, che ancora conservo qualche languido atteggiamento non privo di sentimentalismo, è spettacolo.
Importa davvero se Pogačar dovesse ammazzare il Giro il secondo giorno a Oropa? Anzi, tifo per lui, e per la ricerca della storica doppietta – vien da sé nuovamente il paragone Pogačar-Pantani, con il filo conduttore non solo della superiorità in salita, ma anche unito da un luogo, Oropa. Questo per me sarà spettacolo.
Lo scorso anno abbiamo assistito a un Giro noioso, corso col braccino da tutti i pretendenti alla maglia rosa finale, in attesa della penultima tappa. Eppure quei pretendenti erano vicini l’un l’altro. Dove stava lo spettacolo? Meglio quello visto lo scorso anno, giocato sul filo dell’incertezza, ma senza attacchi, senza verve, senza un vero e proprio slancio, senza che qualcuno spiccasse su un altro o un possibile dominio dal secondo all’ultimo giorno dello sloveno? Io non ho dubbi su cosa sceglierei. D’altra parte pure nel Giro 2023, dopo il ritiro di Evenepoel, è un po’ calato l’interesse. Perché, dominatori o meno, abbiamo bisogno di certi grandi nomi.
Del Giro di due anni fa ricordate di una sfida accesa tra i pretendenti alla maglia rosa finale? Ma quando mai. A parte Torino e gli ultimi due chilometri del Fedaia, calma piatta, ciò che resta più impressa è la presenza, ingombrante, di van der Poel, in fuga quasi tutti i giorni – persino nelle tappe di montagna. Lo spettacolo risponde ai nomi di van der Poel, di Pogačar (e al Giro 2024, per fortuna, anche quello di van Aert, mi sento di dire: grazie Vegni); lo spettacolo, concetto forse più soggettivo di quello che pensassi, lo trasmette quel gruppo di corridori che stanno facendo la storia di questo sport; e pazienza se ce ne sarà soltanto uno, forse due, ben venga lo sloveno al Giro, pur con il piglio del cannibale, ben venga a scrivere la storia di questo sport, passando per le strade italiane. Io mi accontento così. Anzi, che dico mi accontento, bramo già quelle tre settimane di Giro.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.