Lo si capisce subito. Bastano pochi minuti di chiacchierata per averne la certezza: Martina Fidanza è una ragazza coraggiosa. Molto coraggiosa. Ed è coraggiosa perché non ha paura di raccontarsi, nemmeno in quelle sfumature caratteriali che i più omettono di dire. Sì, le omettono perché poi la società ti convince che certe cose non vanno dette, altrimenti vieni considerato debole o magari non vieni proprio considerato. Lei questa cosa l’ha capita bene, lei sa quanto quelle piccole fragilità siano preziose, siano il bello di ciascuno di noi, per quanto male possano fare e le racconta: «Sono una ragazza estremamente emotiva, da sempre. L’emotività è una sorta di cassa di risonanza che amplifica le sensazioni e, certe volte, le rende difficilmente sopportabili. L’emotività ti fa sentire di più. Io sono così, nella vita e nel ciclismo. Per questo patisco un poco, in particolare prima delle gare. Mi prende l’ansia e la paura di sbagliare, di fallire. In tanti mi hanno detto: “Ma perché fai così? In fondo, cosa succede di grave, se sbagli. Non succede nulla, proprio nulla”. Hanno ragione. L’errore forse andrebbe vissuto diversamente ma dentro di me ho questa spinta. Non so da dove mi arrivi, da cosa derivi. Non me lo so spiegare. Ci combatto e cerco di razionalizzare le situazioni ma poi quello che senti dentro vince quasi sempre».
Martina spiega che ha un rapporto complesso con gli errori, con i propri errori: «Sono molto severa con me stessa e mi giudico molto. Tra l’altro in maniera ferrea. Quando va male una gara fatico a vedere gli errori lucidamente. Mi colpevolizzo, mi dico che non ho fatto abbastanza, che avrei dovuto fare di più. Capisci che, a lungo andare, questo approccio è distruttivo. Mi salva papà». Papà che non è un papà qualunque. Non esistono papà qualunque, tutti i padri sono un poco speciali, ma il papà di Martina Fidanza, parlando di ciclismo, è un maestro. Si tratta di Giovanni Fidanza: «Non è scontato che il rapporto tra genitori e figli che fanno lo stesso lavoro fili liscio. Certe volte si può avvertire la pressione o il giudizio. Papà è esattamente l’opposto. Lui mi calma, lui mi mostra il lato buono delle situazioni, lui mi salva del pessimismo di fronte agli errori. Se c’è un momento della mia infanzia che ho sempre amato sono state le pedalate con lui. Lì ho imparato ad avere pazienza, a lasciare che il tempo passi. Giovanni riesce a spiegarmi dove sbaglio, chiaramente ma con una delicatezza tale che oltre l’errore si vede sempre la possibilità di fare meglio».
Martina è nata nel 1999 ed ha ventun anni ma il carattere che ha la rende molto più consapevole di alcune realtà: «C’è stato un periodo in cui mi raccontavo molto sui social network. Raccontavo proprio me stessa oltre l’aspetto puramente ciclistico o lavorativo. Mi sembrava giusto farlo e mi piaceva. Poi ho capito. Proprio l’emotività fa si che ciò che mi viene detto mi resti attaccato addosso. Di più: l’emotività mi fa ascoltare molto ed anche assorbire molto di ciò che ascolto. Ho iniziato a sentire cose che non mi piacevano, giudizi gratuiti. Ci sono stata male e da allora ho cambiato modo di usare i social: le persone non ti conoscono e non sai mai come possono interpretare ciò che scrivi, tanto più che giudicare è molto facile. Così penso sempre tanto prima di pubblicare una foto o un post. Penso a quello che vorrei dire io e a quello che potrebbero capire gli altri. Ci sono tante cose che avrei voluto postare e non l’ho fatto. Credo sia giusto così». Quando parla di ciclismo parla di pista, di velocità, di adrenalina, di emozioni ma anche di sensibilità: «Nei momenti più belli ci sono indubbiamente le vittorie: lì coroni ciò per cui hai lavorato. Lì dai un significato a molte cose che qualche volta rischiano di perderlo. Quando sono caduta al mondiale, per esempio: un momento davvero difficile. Ma ci sono altri momenti per cui vale la pena di fare questo lavoro e sono tanti. Personalmente ricordo che, da piccola, sognavo di entrare nelle Fiamme Oro. Sai quei significati che quando sei bambino attribuisci alle cose? Per me entrare nelle Fiamme Oro voleva dire essere fra le più forti, voleva dire essermi realizzata. Ho pensato tante volte a come avrebbe potuto essere quel giorno. Oggi lo so, quel giorno è il mio orgoglio».
Dicevamo della sensibilità: «Credo che questo periodo, quello legato alla pandemia, debba insegnare a tutti a comprendere il lato sensibile degli atleti. La loro umanità. A fare qualcosa per quella sensibilità e quell’umanità. Perché i risultati arrivano da lì prima che dalla prestazione atletica. Se non stai bene mentalmente, se non sei sereno, diventa tutto difficile. Questo periodo è stato difficile perché non sapevamo nulla, non sapevamo cosa ne sarebbe stato del nostro lavoro durante l’inverno». Quella stessa sensibilità che le fa dire quella frase, davvero intensa, parlando di ciclismo femminile: «Noi cosa possiamo fare in più? Noi ci alleniamo, facciamo fatica e facciamo gli stessi identici sacrifici dei nostri colleghi uomini. Ci si può chiedere altro? Purtroppo il problema è economico, dovuto agli sponsor. La scelta di affiancare il calendario femminile a quello maschile ha portato dei risultati, come il WorldTour. Speriamo che si prosegua in questa direzione. speriamo che le cose cambino perché ce lo meriteremmo anche».
Martina Fidanza ci confida che, da bambina, il suo modello non era molto lontano. Era la sorella Arianna: «Immaginati di crescere vivendo i successi di una sorella come la mia. Ti senti felice per lei e diventa il tuo modello, la tua ispirazione. Essendo una sorella maggiore questo vale ancora di più. Lei va davvero fortissimo. Molti mi chiedono perché non ci alleniamo molto assieme. Perché mi stacca, io non vado forte come lei. Non so come faccia. Ci completiamo perché ci vogliamo molto bene ma siamo molto diverse. Lei è un poco più lucida nelle situazioni e questo mi aiuta molto». La grande passione di Martina Fidanza è il disegno, per questo ha scelto il liceo artistico: «Sono sempre stata molto testarda. Volevo fare il liceo artistico e l’ho fatto. Volevo uscirne con buoni voti e ci sono riuscita. Io mi sono trovata molto bene ma non è per tutti così. Credo sia un problema di società: la scuola tende a capire poco i ragazzi che fanno uno sport ad alto livello. Io ho fatto davvero tanti sacrifici e sono contenta di averli fatti. Studiavo ad orari improponibili. Ma non si può chiedere questo a tutti. Servirebbe maggiore comprensione». Se le chiediamo di rappresentarci il ciclismo su un foglio, lo immagina come un disegno astratto con tanti colori e tante sfumature: «Le parole, ogni tanto, non riescono a comunicare. Succede a tutti, no? Ci sono alcune cose che non riusciamo a dire a parole. Invece, con un foglio bianco davanti, tutti riusciamo ad esprimere ciò che proviamo. Basta una macchia di colore. Non serve essere artisti ed è un bene che l’arte sia accessibile a sempre più persone. Perché è un modo per comunicare, per trasmettere qualcosa agli altri, per fargli sentire qualcosa. Ne abbiamo bisogno. Tutti».
Foto: per gentile concessione di Martina Fidanza