Alessandro ed Emanuele sono vicini di casa. Alessandro è un enologo; andava in motocicletta finché un malanno al ginocchio non lo costrinse a pedalare, e a conoscere la bicicletta. Emanuele invece il ciclismo lo ha da sempre in famiglia; è stato a vedere Pantani sullo Zoncolan e ha un fratello che, nato nel ’95, è stato chiamato Marco. Oggi fa il maestro di religione, «così posso passare ogni mese di luglio a casa a guardare il Tour».
Alessandro ed Emanuele sono vicini di casa, si sono conosciuti facendo i volontari nella parrocchia del loro paese in Friuli, ma a farli partire per un’avventura è stata la bicicletta. Non una qualsiasi, è stata la bicicletta di Marco Pantani. Un giorno a casa di Emanuele infatti è arrivata una Bianchi XL EV2, la stessa bici dei grandi trionfi del Pirata, e Alessandro, che aveva ormai cominciato a interessarsi del collezionismo ciclistico, gli disse “fammela studiare un attimo”. Era curioso, perché aveva notato subito quanto quel telaio fosse diverso da quello che compariva nelle foto di Pantani. Una curiosità che si acuì quando si imbatté in un commento a un post di Davide Cassani sui social network. Era il periodo dell’asta fallimentare della Mercatone Uno, e Cassani era riuscito, insieme ad altri ex corridori, ad acquistare una bici da donare alla Fondazione Pantani. Il commento diceva: “è sicuramente la bici della seconda parte del Tour, quella del Ventoux, perché ha l’adesivo sulla forcella è un po’ più alto”.
«Rimasi colpito e decisi di informarmi meglio, entrai in una comunità che non conoscevo, e grazie a loro scoprii che Pantani quasi ogni giorno cambiava una virgola, un dettaglio della sue bici, soprattutto nel periodo 99-2001, ovverosia quando Pantani era già diventato Pantani. Era una storia che meritava di essere documentata e condivisa, e così è cominciato tutto».
Quel tutto è un percorso di esplorazione e scoperta che ha portato alla nascita di Pantabike, un sito collaborativo che testimonia la minuziosa storia delle bici del Pirata. Per fare tutto ciò, però, Alessandro conosce un metodo solo: sporcarsi le mani. Recuperare pezzo per pezzo e montare ogni singola bici, per poterla vedere intera. Questo significa andare sul mercato e comprare varie bici, smontare i pezzi che servono e rivendere il resto, e una volta completato il puzzle assemblarla. Quelle fatte finora sono esposte al museo della bicicletta di Renato Bulfon, a Mortegliano (in provincia di Udine), ma l’intero progetto lo ha regalato ad altri: alla Fondazione Pantani.
«Ho capito subito che nel collezionismo pantaniano girano tanti soldi e interessi, mentre invece allo Spazio Pantani non era ancora stato fatto un approfondimento filologico delle sue bici. Quelle esposte erano quelle che Tonina aveva trovato in cantina, montate com’erano in quel momento. Io ritengo che in molti abbiano preso da Pantani ma pochi abbiano dato, così ho voluto togliere tutto ciò dal mondo dei collezionisti e ho chiamato la Fondazione, ho lasciato la proprietà intellettuale del progetto a loro. Sono rimasti sorpresi e contenti del nostro lavoro».
Il 2024 è l’anno dei 20 anni dalla scomparsa di Pantani, ma sono anche 30 anni dalla sua esplosione sul grande palcoscenico con i podi a Giro e Tour. Pantabike ha deciso di omaggiare questa ricorrenza ritornando alle prime bici di Pantani, per celebrare un’altra storia umana: quella delle Carrera di Davide Boifava, il primo DS del romagnolo ma anche colui che tornò da lui a fine carriera, quando l’urgenza era di recuperare l’uomo prima del ciclista Pantani.
Anche Pantabike è una storia di persone prima che di biciclette. Due amici, due vicini di casa, ma anche un mondo di relazioni che si è creato intorno all’idea di testimoniare un aspetto forse meno noto di Pantani. C’è voluta tanta dedizione e tanta fortuna, perché, come raccontano «c’erano dettagli che sembravano impossibili da ricostruire, come i contachilometri, ma quando avevamo perso la speranza dopo infinite notti a cercare, ecco che comparivano». Un aiuto dal destino che è anche e soprattutto il contributo di tanti, ma che testimonia anche tanti ostacoli sulla strada. «Ci sono sempre zone grigie, anche qui, non è sempre tutto limpido. Tante volte abbiamo dovuto fare anche passi indietro, isolarci, per non finire ad avere a che fare con qualcosa di non buono. La nostra era un’idea semplice, ma ha incontrato tantissime difficoltà. Però abbiamo anche trovato una soluzione pratica: quando non sappiamo cosa fare, andiamo a Cesenatico. Mi basta una serata là, una cantata al karaoke con Jumbo, vecchio amico di Marco, e torno a casa che ho le idee chiare».
[Il lavoro di Alessandro ed Emanuele è tutto su pantabike.com. Alle biciclette di Marco Pantani è dedicato anche un brano di “L’ultima volta che se n’è andato Pantani”, il diario collettivo che abbiamo pubblicato la scorsa primavera per raccogliere fondi per la Romagna alluvionata. Lo trovate su alvento.cc, in libreria e anche allo Spazio Pantani di Cesenatico].
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