Quando Annemiek van Vleuten ha tagliato il traguardo di Plouay, ha guardato il cielo e mischiato sorriso e pianto. La gola, probabilmente, avrebbe voluto sorridere ma dagli occhi scendevano già alcune lacrime. Ci rendiamo conto che dire una cosa del genere per van Vleuten rasenti l’assurdo ma, forse, l’olandese non era la più forte, ieri pomeriggio. C’è stata molta tattica psicologica nella gara in linea delle donne élite e Annemiek van Vleuten ha giocato d’astuzia sino al rettilineo d’arrivo. Si è messa nella scia di Elisa Longo Borghini e Kasia Niewiadoma, non ha tirato un metro. Della serie: «Sono la più forte e dietro, in gruppo, ho una squadra altrettanto forte. Vogliamo andare via da sole? Bene. Tirate voi. Noi potremmo vincere lo stesso». Questo il messaggio da consegnare. Forse nella sua mente pensava altro e non tirava appunto perché non ne aveva le forze. Perché se avesse collaborato maggiormente, poi, non avrebbe avuto la stessa brillantezza per lo sprint. Van Vleuten ha raccontato una bugia senza proferir parola. E, consapevoli della straordinarietà della atleta di Vleuten, ci abbiamo creduto quasi tutti. Sì, perché chi era lì qualcosa ha intuito. Forse perché quando è rientrata Chantal Blaak è stata proprio van Vleuten a mettersi in testa al drappello, come per salvaguardare la compagna. Longo Borghini e Niewiadoma devono averlo pensato: «Strano. Sono in due e si limitano a controllare la situazione. Annemiek non scatta: o sta a ruota o si mette in testa e fa calare l’andatura. Queste vogliono portarci alla volata e metterci nel sacco».

Nella mente di Longo Borghini è balenato un fulmine in quel momento. Ed è partita Elisa. Uno, due, tre scatti. Blaak si stacca. Van Vleuten non risponde subito, perde qualche metro e poi rientra. È la conferma: «Ho ragione io. Non sei la stessa, Annemiek. Non sei la stessa». Se lo dice, si volta e riscatta Elisa. È la più brillante di quello che ormai è rimasto un terzetto. Lei e Niewiadoma si guardano negli occhi, come a trasmettersi quel messaggio. Van Vleuten è sola ed inizia a capire: «Se mi mostro vulnerabile è la fine. Dai, dai uno scatto. Uno solo. Magari si staccano, potrebbero avere già speso tutto. In ogni caso devo intimorirle. Vai Annemiek, vai». Ognuno si racconta ciò che può e muove le pedine come in una partita a scacchi. Quando Annemiek van Vleuten parte, la paura è che sia un arrivederci a dopo il traguardo. Anche Longo Borghini lo pensa: «Mamma mia se fai male quando parti. Altro che storie. Questa è sempre la stessa. Che male, che male». Per un attimo crolla il fine meccanismo psicologico costruito per tanti chilometri. Poi Elisa cambia rapporto, si alza sui pedali e guarda a terra: non vuole vedere dove si trova l’olandese. Spinge più che può e rialza la testa: «Ti torno sotto, ti torno sotto. E no, Annemiek, troppo facile così. Devi sudartela». Così si riforma il duo che andrà sino al traguardo: Annemiek van Vleuten ed Elisa Longo Borghini per l’oro europeo.

Lo sanno tutti e lo sa anche lei: le volate non sono mai state il punto forte di Longo Borghini. Mentre l’olandese quando lancia l’affondo è irresistibile. «Devo fare attenzione a quando parte. Devo essere concentratissima. Se le prendo la ruota, è fatta. Devo prenderle la ruota e uscire nel finale. Sì, devo fare così». Ancora nella testa. È lì che si rimescolano le carte mentre la pioggia lascia spazio a qualche raggio di sole sulle strade bretoni. La volata è lanciata: van Vleuten parte in testa, Longo Borghini le prende la ruota. Da un momento all’altro tutti si aspettano che Elisa sbuchi a destra o a sinistra. Niente da fare. Le immagini schiacciano, tra la ruota posteriore di van Vleuten e quella anteriore di Longo Borghini ci sono diversi centimetri. Troppi per prendere la scia e tentare un sorpasso. Van Vleuten oro, Longo Borghini argento, Niewiadoma bronzo. A un passo dal tris, dopo Balsamo e Nizzolo. Ma non conta. Non così tanto almeno. Elisa è stata commovente. Non si è mai arresa sino alla linea bianca, ha rilanciato anche mentre van Vleuten stava alzando le mani dal manubrio per festeggiare. I cinici, o forse solo quelli che non hanno mai preso in mano una bicicletta, diranno che non arrendersi è un dovere. Che conta solo vincere. Che dei secondi non si ricorda nessuno. Noi diciamo che il loro mondo ci fa un poco tristezza. Dei primi si ricordano gli albi d’oro e le persone, magari dopo averli consultati. Dei secondi, a certe condizioni, si ricordano solo le persone. Senza nemmeno bisogno di controllare. Perché quello che dai ti qualifica. Solo quello. Punto e basta.

Foto: Bettini