«Negli Stati Uniti cambia la dimensione del viaggio. Te ne accorgi da come le persone ti accolgono e da come, senza alcuna malinconia, senza il desiderio di trattenere, di ritardare la partenza, ti lasciano andare. Non perché non vogliano restarti accanto, ma perché per loro la strada è un luogo dove tutto scorre, dove ci si incontra, si condivide un tratto di viaggio e poi ci si lascia, separandosi, per ritrovarsi più tardi o forse mai. Non importa». A raccontarcelo è Pietro Franzese che, da qualche giorno, è tornato a casa, dopo aver percorso in bicicletta, con Emiliano Fava, ben 6000 chilometri, proprio in America, da San Francisco (Golden Gate) a Miami (Key West) e la bicicletta che, giorno dopo giorno, in due mesi, dall’inverno alla primavera, diventa casa, in un paese di viandanti, «perché c’è tutto quel serve, perché, anche se fai fatica, sai che su quelle due ruote hai tutto il necessario per farla, puoi non temere nulla, e, in più, è una casa che ha radici, le tue radici, ma, allo stesso tempo, ti porta e la porti dove vuoi andare, assieme a quelle radici».

Poi c’è la casa vera, quella in cui, quando si torna, qualcuno prepara le lasagne per festeggiare, cambiano i ritmi, e, fuori dalla finestra, c’è quello che hai sempre visto, quello da cui ogni tanto fuggi, che, però, resta ancora un sospiro di sollievo: «Hai bisogno di tornare, soprattutto dopo un viaggio lungo, dopo aver raggiunto un traguardo importante. Hai bisogno di tornare e di vedere il modo in cui le persone a cui vuoi bene ti guardano, sentire quello che ti dicono, capire quello che pensano del tuo viaggio, se ne sono fieri». E vedere anche tutto il tempo che serve per quelle lasagne, un tempo che, dall’altra parte del mondo, correva così veloce, mentre il progetto di Pietro ed Emiliano si costruiva.

Un progetto che si chiama “2 Italians Across the US” e che vuole sensibilizzare sull’impatto ambientale della plastica monouso, anche attraverso un documentario con le immagini acquisite. Toccare con mano, questa è l’idea, e, come sempre, quando si tocca con mano, si eliminano pregiudizi, preconcetti, che, magari, si hanno. «Sono rimasto positivamente colpito dal fatto che non ci siano quasi mai mozziconi di sigaretta per strada: il primo lo abbiamo trovato in Arizona e l’abbiamo notato proprio perché sembrava strano vederne uno. In Italia, purtroppo, si trovano ovunque». Non solo: in California, ad esempio, c’è molta attenzione al tema della plastica, ma, in generale, i rifiuti a bordo strada non sono così tanti come si potrebbe pensare. Il problema più grosso viene dai contenitori usa e getta dei fast food e dal packaging in linea generale. Anche qui, però, si stanno adottando soluzioni: dalle multe severe per chi viene sorpreso a gettare rifiuti per strada, a progetti come “Adopt a road”.

«È come se, davvero, adottassi una strada. Lo fanno le associazioni e, poi, se ne prendono cura. Si tratta di una forma di responsabilizzazione che lega la strada alle persone». Come le legano poche parole: “Be safe“, ad ogni saluto, fra le altre. Oppure gli inviti: quando in California, in “The Middle of Nowhere“, nome ben suggestivo per un luogo, dei signori offrono a Emiliano e Pietro del pollo e un tratto di viaggio nel loro RV. Si chiamano così e sono delle vere e proprie case, di solito connesse ad un Pick-Up, con cui si attraversa il paese.

Ma la bicicletta ha un privilegio, in ogni attraversamento: qualcosa connesso al supplemento di tempo che serve per percorrere lo spazio. Così Franzese ha notato quanto il territorio degli Stati Uniti sia uguale per chilometri e chilometri, magari anche trecento o quattrocento chilometri: «In macchina non te ne accorgi perché corre veloce accanto al finestrino, in bicicletta invece lo vedi e ti chiedi quando cambierà. Pensavo all’Italia, al fatto che, da noi, bastano cinque chilometri per vedere cambiare tutto». Ed è proprio il paesaggio sempre uguale a suscitare dubbi in Pietro Franzese, mentre pedala pensando al documentario che dovrà costruire e i dubbi, quando si è assieme a un’altra persona, sono materia delicata da trattare.

«Temevo ci ritrovassimo con immagini sempre simili, mi sono anche chiesto se avesse senso continuare. Non ho detto niente, ho solo continuato a far giare i pedali». Talvolta, Pietro ed Emiliano pedalano affiancati, ma non serve parlare, anzi, talvolta è meglio non farlo: si sa quello che si sta provando e viaggiare assieme vuole anche dire lasciare spazio ai pensieri dell’altro, che devono potersi formare e sviluppare, senza essere soffocati da troppe parole. Qualche volta si riesce a ridere delle sfortune e dei problemi che in viaggio accadono. Si tratta dell’importanza della libertà in viaggio: «Abbiamo provato a separarci per qualche giorno, uno da una parte e uno dall’altra. Certe volte, anche solo uno avanti qualche chilometro rispetto all’altro. Penso che, anche grazie a questa libertà che ci siamo imposti, non abbiamo mai litigato, pur condividendo tutto».

Nel frattempo, la stagione avanza: avere prima mezz’ora, poi un’ora, poi, grazie al cambio dell’ora, due ore in più alla sera, sembra incredibile. Aumentano i messaggi e le telefonate a casa. Ci sono sempre tante macchine sulle strade che percorrono, ma rispettose, attente, e giorno dopo giorno, appare più chiara una sorta di filosofia americana: «Non si sottraggono a ciò che è necessario. Si tratta di un parere personale, però l’ho notato: se sanno che, per risolvere un determinato problema, devono affrontare un sacrificio, anche chiesto dalle autorità, lo affrontano. È uno dei tanti aspetti che non conoscevo e ho notato».
Ora che quella bicicletta non deve più percorrere dai 140 ai 160 chilometri al giorno, sembra ancora più evidente la sua importanza: «Magari non sembra o, forse, pare scontato, ma con la bicicletta si può attraversare un continente, perché questo abbiamo fatto. Capisci cosa può fare una bicicletta? È un qualcosa che, solo a dirlo, mi fa felice».