Cambiano anche i muri e i muretti delle città ad ogni corsa. Ultimamente, forse, ancora più di prima. Una bicicletta dopo l’altra, appoggiate vicine, talvolta anche una addosso all’altra, anche se i due ciclisti non si conoscono, ma con le biciclette si fa così. Se fosse altro, potrebbe dare l’idea del disordine, invece quel groviglio di pedali (e bastano davvero quattro biciclette ravvicinate per dare questa sensazione) che talvolta si incastrano fra loro e di ruote e raggi che da lontano sembrano intersecarsi quasi abbellisce i luoghi in cui si appoggia. Da Siena a Lido di Camaiore e avanti fino a San Benedetto del Tronto, passando per Sovicille e Murlo, sino a Magenta e Rivoli. Diversi sono i muri, diverse le biciclette.
Muretti di pietra, di cemento o di mattoni, talvolta muri delle case con anche qualcuno affacciato dalla finestra che però non dice nulla, magari indica uno spazio in cui una bicicletta può ancora stare. Per finire con il classico: «Me la guarda lei?» e dall’altra parte: «Fino a quando non partono sono qui». Può essere il proprietario di una casa o il passante che, per caso, si è fermato lì, in piedi o seduto su un muretto a guardare gli atleti arrivare.
C’è di più, ci sono quelle borse da bikepacking che ultimamente vediamo spesso anche alle partenze. Sinonimo di viaggio e allora ti viene da chiederti da dove vengano quelle persone, quanto lontano abitino, quanti e quali posti abbiano attraversato per arrivare a quel muro. Ma se è vero che qualcuno è arrivato da lontano, per altri non vale. «Sono arrivato qui in mezz’ora, in macchina ci avrei messo dieci minuti circa». E allora perché quelle borse come se si venisse da lontano? Giorgio le apre e ci mostra quello che ha dentro: non ci sono tende, non fornelletti o sacchi a pelo. Semplicemente una focaccia, una brioche ancora nel sacchetto del bar, dei fogli di giornale che parlano della tappa e una mantellina. La precisazione è istantanea: «Questa la lascio sempre, ma non deve piovere oggi».
Per arrivare alla partenza ha scelto di percorrere una strada secondaria e quella terra che vediamo ai bordi di una borsa viene proprio da lì. «Anche tu hai uno zaino,- continua- chiunque si sposti per diversi chilometri ha uno zaino o una borsa. Non capisco perché in bicicletta lo zaino debba servire solo per andare lontano. Quante poche cose ho qui dentro? Pochissime, anche perché diversamente farei ancora più fatica. Eppure mi sento indipendente».
E, parola dopo parola, con Giorgio e con altri, ci è sempre più chiaro che è proprio questo il significato dello zaino o della borsa: la totale libertà di scegliere, la spensieratezza. Non devi aspettare un ristorante per pranzare o per fare colazione, non devi scegliere il tuo percorso in base a esigenze esterne. Puoi andare dove preferisci perché dentro lì hai tutto quello che serve per non restare sorpreso: dalla fame, dalla sete o da un temporale.
Tutto questo e qualcosa in più. Elisa di biciclette non sa nulla, passa di lì per caso ed è semplicemente incuriosita da tutte queste cose tirate fuori dallo zaino e svuotate per terra. Ascolta e, poi, interviene: «Io lavoro con i bambini. Può essere che somigli a ciò che fanno loro quando si fanno casa con uno scatolone in salotto, portano due pupazzi, un piatto e un bicchiere di plastica, una coperta e ti dicono di non disturbarli e di stare in casa “tua” che loro hanno già tutto?». Al momento non siamo stati certi della risposta, ora sì.
Certo che può essere. Anzi è sicuramente così. È quella voglia di avere accanto solo quello che ci serve e che ci fa stare bene, stare meglio, che sperimentiamo fin da piccoli e che ci portiamo sempre addosso. Anche mettendo due borse su una bicicletta e complicando un percorso all’apparenza semplice: per gioco e per divertimento.