Forse ciò che più ci resterà della vittoria di Egan Bernal al Giro d’Italia sarà tutto quello che questo ragazzo di Zipaquirá, in Colombia, è stato in grado di raccontare. Qualcosa che smuove una riflessione non tanto o non solo sul ciclismo, quanto sul modo di vivere e di pensare a cui siamo abituati. Perché, ne siamo convinti, dalla vittoria di Bernal, dal modo in cui è maturata, dalle origini della sua storia, è davvero possibile imparare qualcosa per la quotidianità di ciascuno di noi.
Qualcosa che abbia, per esempio, a che vedere con gli stimoli quotidiani e l’entusiasmo. Non è strano e nemmeno raro: il tempo assopisce in molti l’entusiasmo, anche i successi più importanti, piccoli o grandi, si trasformano in normalità. Accade a tutti, il punto è accorgersene e magari contrastarlo. Spesso si accetta come inevitabile. Ciò che dice Bernal racconta la volontà di rifuggire questa abitudine.
«La vittoria al Tour de France è stata inaspettata, ma il difficile è arrivato dopo. Quando ti accade qualcosa di simile, di tanto grande, così giovane, tendi a sederti, non smetti di fare il tuo lavoro ma lo normalizzi, perdi quella spinta, quella grinta. Come se il meglio fosse già passato. Io ho continuato a puntare la sveglia al mattino presto, a stare attento all’alimentazione, ad uscire per gli allenamenti, però ero come anestetizzato. Avevo perso quella fame, quell’entusiasmo che era alla radice della mia scelta di pedalare. Avevo vinto qualcosa di importante, certo, ma avevo perso qualcosa di ancora più importante».
La soluzione non è immediata e neppure di facile applicazione. Perché per entusiasmarti devi tornare indietro, devi tornare a fare ciò che facevi quando non eri un campione, ma un ragazzino qualunque. «Dave Brailsford mi ha aiutato a capire. Ha tolto quella zavorra che mi pesava sul petto. Siamo stati insieme a Monaco e abbiamo parlato molto. Mi ha detto che aver vinto il Tour non doveva significare la fine del divertimento. Mi ha detto che avrei dovuto fare come avevo sempre fatto. “Se hai voglia di scattare in pianura, scatta. Non vai da nessuna parte? Non deve interessarti. Se scattare in pianura ti fa felice, perché devi impedirtelo?”. Noi due sappiamo bene che il merito di questa vittoria è anche suo».
E restituire, restituire sempre ciò che ti ha portato fino a lì. Con i fatti, non con le parole. «Potrei dire molte cose di Felipe Martìnez, l’ho già ringraziato e lo ringrazierò ancora. Ma lui ha fatto qualcosa in più, lui ha messo del proprio sulla strada per fare in modo che oggi su quel trofeo ci fosse il mio nome. Io non posso limitarmi a parlare, devo fare lo stesso. Voglio ricambiare sulla strada ciò che Felipe ha fatto per me. Voglio aiutare Felipe a vincere qualcosa di grande. Ad essere felice come lo sono io oggi».
Paolo Alberati, primo scopritore di Bernal, qualche giorno fa ha raccontato che crede che Egan voglia vincere la Vuelta e poi tornare in Colombia a fare il giornalista e a lottare con le parole contro le ingiustizie del suo popolo. Bernal non lo nega, ma dice qualcosa in più. «Certo, dopo il Giro ed il Tour, la Vuelta sarebbe il traguardo massimo. Adesso, però, sto pensando che quando questo sarà avvenuto mi piacerebbe tanto provare a essere felice nella mia terra. Stare con i miei cani, le mie galline e la mia mucca. Stare con i miei genitori e la mia ragazza. Vivere delle cose semplici che fanno bella la vita. Molti credono che per essere felici sia necessario raggiungere chissà quali traguardi, magari diventare campioni o diventare famosi. Io penso che serva davvero poco per essere uomini e donne felici. Vorrei dirlo a tutti e penso che a tutti serva ricordarselo. Ne va della vita».
Foto: Luigi Sestili