Per raccontare questa Tirreno-Adriatico partiamo dalla reception di un albergo di Terni che ci ha accolto sotto un diluvio torrenziale, venerdì sera. Un signore sulla cinquantina, mentre registrava i nostri documenti, guardandoci ci ha chiesto: «Non mi raccontate nulla della corsa?».
Ci è sembrato bello perché ha tradito quella voglia che tutti abbiamo di ritornare in strada, accovacciati sul bordo di un marciapiede a vedere il passaggio del gruppo. Quella stessa voglia che si è palesata in ogni angolo delle strade che da Monticiano conducevano a Gualdo Tadino, dove gli abitanti delle case vicine si posizionavano distanziati ad aspettare di sentire il suono della corsa proveniente dai margini di quei borghi per tirare fuori cartelli e scritte. Poche persone che interrompevano il silenzio assordante delle strade.
In uno di questi angoli c’era Loredana, una maestra di scuola elementare, che in questi giorni vive la realtà della didattica a distanza. Una di quelle maestre che portavano i propri alunni a vedere il Giro d’Italia. Loredana ci ha raccontato che quei bambini, il giorno prima della gara, le chiedevano sempre cosa sarebbe accaduto, quanti ciclisti sarebbe transitati e quante macchine a suonare il clacson per farsi strada. «Portare un bambino a vedere una gara di ciclismo è un modo per insegnargli la pazienza dell’attesa, la fatica che si fa arrampicandosi su una salita o camminando al sole per ore godendo della bellezza di una scia lasciata da una bici».
Forse andare a vedere una corsa ciclistica di questi tempi è anche un buon modo per ricordarsi di tante cose che ormai davamo per scontate. Di più: è un antidoto contro la dimenticanza. Lo sa quella manciata di persone che a Prati di Tivo ha applaudito l’ultimo gruppo dei ritardatari e lo ha fatto con naturalezza, battendo le mani più forte per compensare il fatto di essere pochi. Quel giorno abbiamo tirato un sospiro di sollievo perché abbiamo avuto la certezza di non esserci dimenticati momenti che non vivevamo da troppo tempo.
Quel ragazzo che è entrato in una rosticceria all’arrivo di Castelfidardo e, assieme agli arancini, si è fatto dare un foglio e un pennarello, probabilmente nemmeno sapeva cosa stava accadendo quel giorno, ma sentiva che c’era qualcosa di diverso. Per questo ci ha chiesto chi stesse vincendo e con calligrafia incerta ha scritto: “Grazie van der Poel”. Quel foglio è durato meno di dieci minuti, appoggiato a una transenna con una bruma quasi invernale a dissolvere l’inchiostro. Ma non conta. L’importante è che abbia sentito la voglia di dire grazie e lo abbia fatto così, in modo spartano, ruvido, ma vero.
Ognuno ha qualcosa da dire o da dimenticare all’arrivo di una corsa ciclistica. Lorenzo, ad esempio, a Chiusdino, ci ha detto che quello era l’istante in cui stava meglio da diversi giorni. «Sul lavoro ci sono sempre problemi, cose che non vanno, ansia e nervosismo. Certe mattine non hai proprio alcuna voglia di andare in ufficio. Sapere che ti attende un pomeriggio come questo è un buon modo per affrontare i problemi con serenità, perché quando uscirai vedrai van der Poel, van Aert, Nibali e tanti altri campioni sfilare proprio sotto il tuo naso». È stato proprio lui a mandarci un messaggio il giorno seguente. «Che regalo mi ha fatto Alaphilippe, vincendo qui».
Noi lo immaginavamo perché Lorenzo racconta quella terra con una dedizione tale che ogni storia che accade su quelle strade è una storia che sente sua, come le mura di una casa. Sentirselo dire, però, è sempre bello.
E ancora ci piace raccontarvi di Vincenzo Nibali e di quel «una mattina ti svegli e qualcuno va più veloce di te» detto tra il rassegnato e l’amareggiato a Gualdo Tadino, delle volte in cui l’abbiamo visto scuotere la testa, come a dire «cosa posso fare?», ma anche dell’ultima risposta a San Benedetto del Tronto, quando, pensando alla Sanremo, ha esclamato: «Ci sono tante chiavi per vincerla, cercheremo quella giusta». Che è come tornare a crederci, come avere meno freddo. Di Wout van Aert che ha già detto che tornerà per vincere la Corsa dei Due Mari, ora però vuole pensare al mar ligure, quello che lo attende sabato. Oppure di Mathieu van der Poel che dopo essersi messo a disposizione di Tim Merlier, umilmente, mentre il compagno lo guardava con ammirazione alla partenza di Lido di Camaiore, non ha digerito la sconfitta patita a vantaggio di Julian Alaphilippe. Quel giorno ha tirato un pugno al manubrio, il giorno dopo ha messo quella stessa mano sul petto e ai giornalisti ha detto: «Ci penso io». E via, lungo tante altre parole.
La chiusura di questo pezzo, invece, vogliamo lasciarla a una sola frase detta, perché spesso per dire tanto, basta veramente poco. Così ha fatto Peter Sagan quando gli hanno chiesto se credesse di potersela ancora giocare con i “giovani terribili” del ciclismo. Sguardo fisso, sorriso accennato e un’espressione: «Tu pensi di no?». Che è una domanda, ma anche una risposta. Come le tante che abbiamo trovato sulla strada.
Foto: Luca Bettini/BettiniPhoto©2021