«Sai quando sei bambino e ascolti le favole o le fiabe raccontate dai genitori o dai nonni? Credi agli alberi che parlano o si muovono, credi alla magia e agli incantesimi. Succede perché sei immerso nell’ascolto. I racconti dei viaggiatori del BAM mi hanno riportato lì». In realtà, Raffaele Fanini non è riuscito ad ascoltare tutti quei racconti perché, mentre saliva al rifugio, stava mettendo assieme una storia, una di quelle belle, una di quelle da raccontare. Una di quelle storie che iniziano con un uomo che prova a cambiare qualcosa: «Da ragazzino lessi su una rivista di queste “isole di plastica”. Non volevo crederci, ho addirittura pensato fosse una notizia falsa. Invece no, tutto vero. La cosa incredibile è che troppo spesso non abbiamo coscienza del problema. Per questo non lo affrontiamo e spesso non vogliamo neanche parlarne. Crediamo che l’inquinamento, il surriscaldamento globale siano qualcosa che non ci toccherà mai direttamente e pensiamo ad altro. In realtà il problema è già qui, tocca noi e tutte le persone a cui vogliamo bene. Se aspettiamo, se non facciamo nulla, quando ci sveglieremo sarà troppo tardi. So bene che il mio gesto non risolverà il problema ma so anche che al mondo siamo in sette miliardi e bastano pochi sciagurati per rovinare tutto. Se, invece, provassimo a metterci d’impegno per cambiare qualcosa? Uno per volta, uno alla volta». Il nostro “c’era una volta” parte da qui, da un ragazzo di trentadue anni in sella a una “Moser” del 1978 con agganciato un carrello per raccogliere i rifiuti trovati lungo la pedalata: «La mia bicicletta è abbastanza vecchia ma funziona e poi ci sono affezionato. Questa è una storia comune, no? Forse la potenza della bicicletta è proprio qui, lei è rimasta intatta nonostante tutto quello che è cambiato negli anni. Ha resistito all’innovazione, al futuro che avanzava a grandi passi e tutti siamo legati alla nostra prima bici. Alle medie trascorrevo interi pomeriggi a vedere VHS di Bmx. La mia prima Bmx, una Atala color argento, con cui saltavo le prime cancellate, è nella cantina dei miei genitori. Qualche tempo fa, papà, mentre era intento a liberare la cantina, mi propose di buttarla. Ma stiamo scherzando? Non serve a nulla ma resta lì».

Le cattive abitudini delle persone si misurano in spazio e tempo e Raffaele rende bene questa idea: «Quando mi chiedono quanta plastica raccolga nei miei viaggi parlo di chilometri e di minuti. Noi percorriamo circa 60 chilometri in un giorno ma stiamo in sella dalle dieci alle dodici ore. Capisci quanto tempo trascorriamo fermi a raccogliere plastica? Io sono convinto che parte della gente che mi segue e mi fa i complimenti sia la stessa che poi, magari, butta il pacchetto di sigarette fuori dal finestrino. Perché? Perché viviamo nell’inconsapevolezza dell’importanza dei piccoli gesti». Uno di questi passa per la scelta della bicicletta: «Sarei scontato se ti dicessi solo che la bicicletta mi regala la libertà. Allora mi spiego meglio: la bicicletta non inquina e ti porta dove vuoi. Non spendi praticamente nulla e puoi arrivare lontano in tempi anche abbastanza brevi. In questo periodo disgraziato lo stiamo scoprendo». Il punto, e Raffaele Fanini lo spiega bene, sono le priorità: «Ognuno ha una propria scala di cose importanti. Alcuni pongono al vertice il benessere economico, altri i divertimenti e così via. L’ambiente? Il pianeta? A che punto sono della scala? Sono la nostra casa esattamente come le mura in cui viviamo. La terra non è nostra, non l’abbiamo avuta in eredità dai nostri genitori. L’abbiamo in prestito dai nostri figli. Questo me lo ha detto mio fratello, lo ha letto in un libro ed è verissimo». Poi c’è il cambiamento, quello a cui dobbiamo contribuire tutti ma in cui le istituzioni hanno un ruolo fondamentale: «Si possono lanciare tanti messaggi e tante campagne di sensibilizzazione ma poi la gente ha a che fare con una realtà che talvolta scoraggia altre scelte. Se i prodotti bio o ecologici costano molto di più, possiamo immaginare che verranno scelti gli altri. Si potrebbero vendere anche più prodotti sfusi, in modo da non avere un sovraccarico di imballaggi. Serve la volontà di farlo e l’appoggio delle aziende».

Alle persone invece servirebbe, ogni tanto, rinunciare all’abitudine e alla comodità del momento. Un passo fondamentale quanto difficile: «Molti dei ragionamenti che sentiamo tutti, quelli della matrice “ma si è sempre fatto così”, purtroppo, hanno una visione limitata e una forte resistenza al cambiamento. Io sono sicuro che a tutti piacciono gli spazi aperti immersi nella natura, puliti e spazzati da aria limpida e fresca. Perché stiamo così bene in montagna? Per questo. Pensiamo se riuscissimo a fare in modo che buona parte del pianeta fosse così, pensiamo a quanto staremmo bene. Le cose possono cambiare. Serve fiducia, volontà di cambiamento e anche la più piccola azione è importante». Noi, da parte nostra, siamo certi che servano anche le storie e che anzi le storie, quelle belle, siano parte della fiducia. Ancor di più nei momenti difficili. La fiducia è un esercizio da fare nei momenti complessi, sarebbe troppo facile altrimenti. Fiducia che non vuol dire non vedere i problemi. Fiducia che significa tenere d’occhio la parte salva della realtà e ricominciare a costruire da quella. Magari raccontando una storia. Magari quella di Raffaele.