La mente era ancora sulla bicicletta, nonostante dall’arrivo in Piazza Castello, a Ferrara, alle 22:54 del 5 maggio, fossero passati diversi giorni. Il cervello continuava a pedalare e a calcolare il chilometraggio mancante alla conclusione della Rando Imperator, partita per Luca Ballarini e Gloria Pizzo a Bolzano, alle 05:32 del mattino. Erano trascorsi 308 chilometri, diciassette ore e ventidue minuti, eppure la testa non voleva saperne di fermarsi. Troppo legata all’esperienza intima della fatica per lasciarla andare, era necessario ancora un poco di tempo e poche parole di cui prendere coscienza, parole che ora Luca dice anche a noi: «È umano voler restare attaccati al bello che ci accade, provare un senso di vuoto quando tutto finisce e si torna alla normalità e la quotidianità non basta più, dopo quell’intensità. Però bisogna lasciar scorrere, andare avanti, essere felici del buono che ci è successo, senza malinconie».
Luca e Gloria si conoscevano già, da tempo, da alcune Bike Night a cui avevano partecipato e, avendo la medesima andatura, si erano ritrovati fianco a fianco. Ma ad accomunarli, ad accrescere il senso di condivisione, è qualcosa di più forte, una condizione comune: la sindrome di Ehlers Danlos, che, colpendo il tessuto connettivo, impedisce la naturale costituzione del collagene. L’hanno scoperto parlando, chiacchierando, confrontandosi, mentre assieme vivevano quell’esperienza intima chiamata bicicletta, l’amicizia è arrivata dopo, così hanno scelto di affrontare assieme una nuova sfida, la Rando, per l’appunto. Con loro il padre di Gloria che non ama questo tipo di eventi, corre in bicicletta, si cimenta in vere e proprie gare: a dirla tutta, a Bolzano non ha nemmeno portato la sua bici ma una vecchia bicicletta storica, in stile “eroico”, con ancora il cambio con le levette, proprio per riuscire ad avere un’andatura più tranquilla, più adatta alla situazione. «Gloria ed io ci siamo conosciuti meglio nelle nostre esigenze. Abbiamo capito di avere molto in comune ma anche di essere profondamente diversi: io avevo necessità di non andare troppo veloce, lei di arrivare il prima possibile, per questo aumentava la velocità. Le differenze servono per aumentare il feeling e, se si vuole, una strada comune la si trova. Abbiamo messo a punto in questo modo un ritmo ideale».
L’obiettivo della partecipazione è anche quella di raccogliere fondi per la sindrome di Ehlers Danlos, una malattia di cui purtroppo si conosce ancora poco o, forse, non ciò che serve per curarla: la terapia genica sarebbe una soluzione, ma bisognerebbe individuare i geni mutati e in questo caso sono davvero molti. L’attività fisica è un modo per lenirne i sintomi: «Fino a dieci anni fa- prosegue Luca- usavo il bastone per aiutarmi a camminare, ora percorro più di 300 chilometri in sella, un cambiamento notevole, non facile». Sì, perché il dolore causato dai movimenti, dalle sublussazioni continue, fa sì che maturi un certo timore nel muoversi, allora si pensa al movimento che si effettua, quando, di solito, il movimento è naturale, spontaneo: la differenza è importante. «Faccio un esempio: dopo circa cento chilometri, a quaranta chilometri da Trento, più o meno, ho iniziato ad avvertire un dolore al ginocchio sinistro. Ho provato a continuare, con la promessa che, se non mi fosse passato da lì a poco, mi sarei fermato. Ad un certo punto, ho capito che stavo pedalando male: spingevo troppo, caricavo eccessivamente, dovevo alleggerire, mollare un attimo. Ho fatto così e nel giro di qualche chilometro mi è passato quasi completamente. A quel punto iniziava la salita di Affi: mi è bastata qualche piccola pausa, per tirare il fiato e sono arrivato in cima con tranquillità. La bicicletta non permette solo la conoscenza degli altri, ma anche la propria. Del proprio corpo che vive con noi, ma, molte volte, ci è estraneo, quasi totalmente». In quel momento con Luca e Gloria ci sono anche Fabio e Davide, amici di Ballarini, incontrati quasi per caso all’uscita da Bolzano: un caso che, anche fosse stato studiato non si sarebbe verificato così, come tante altre cose in questa avventura.
Dal meteo, un clima non troppo caldo e non troppo freddo, solo il vento a spazzare le strade, «ma il vento è compagno di chi pedala», a quelle cinque magliette, create e disegnate per il progetto: due per Gloria e Luca, una per il disegnatore e altre due che non si sapeva a chi sarebbero andate: cinque era, infatti, il numero minimo di magliette per poterle stampare. Alla fine, sono stati proprio Fabio e Davide a riceverle, sino a un bar nuovo, scoperto per caso. Fabio, alla nona volta alla Rando Imperator, era sempre stato abituato alla sosta al solito bar che, però, quest’anno ha cambiato orario.
«Dovevamo aspettare circa quaranta minuti, non volevamo, così siamo andati in cerca di un altro bar, lì vicino e abbiamo scoperto dei prodotti buonissimi. Ne siamo stati felici. Sono appunti per quando torneremo». Un’altra forma di conoscenza, da ricordare, mentre si attraversano le valli e si vedono i monti, lassù, in alto, oppure quando si arriva a Mantova e finalmente si gusta il risotto alla pilota che tanto si era atteso, con l’acquolina in bocca: «Quando si ha fame, è tutto buono, se, poi, quando hai fame effettivamente mangi qualcosa di buono si tratta di un ristoro non solo per il palato, ma anche per l’anima. Come fa bene all’animo la gentilezza con cui si viene accolti appena si scende di bici: mi ha ricordato quando da piccoli andavamo dalla nonna e non sapeva più cosa fare per farci contenti».
Le difficoltà maggiori sono arrivate alla fine, lungo la ciclovia della Burana, quella strada in cui le radici dei pioppi hanno reso scosceso il terreno e si avanza a fatica, nel buio, con le luci dei fari a rischiarare il percorso. La stanchezza, però, blocca le idee, la direzione della bici: «A volte si riesce a proseguire solo in linea retta, come se la mente fosse offuscata, anche se si sa perfettamente cosa bisogna fare. In quei momenti abbiamo rallentato, andavamo pianissimo ma era l’unico modo per arrivare. Nel frattempo, provavamo ad ingannare la mente, dicendoci che Piazza Castello era vicina, per trovare la voglia di pedalare ancora». Allora, dopo questa parentesi, la strada sembra “scivolare” verso la piazza, dove gli amici e le compagne fanno rumore, ad accogliere l’arrivo di questo gruppetto di ciclisti per cui, alla fine, non poteva andare meglio. Ora le forze possono anche mancare, si può restare a terra, seduti, nel buio della sera, con la luna alta in cielo e rilassarsi.
Luca tornerà a percorrere la Rando Imperator? La domanda è naturale dopo questo racconto. La risposta fa riflettere: «Non ho mai pensato di fermarmi, non perché abbia una forza particolare, ma perché non ne sentivo il bisogno, tanto a livello fisico quanto a livello mentale. Però è stata senza dubbio una prova difficile e non so se mi sarà possibile replicarla senza mettere troppo alle strette il mio fisico, senza farmi male. Su questo è necessario essere chiari: se si tratta di mandare un messaggio a chi ha questa sindrome bisogna fare attenzione a che tipo di messaggio si manda. Sarebbe da incoscienti rischiare un infortunio solo per la cocciutaggine di non voler fare i conti con una situazione oggettiva. Ci sono molti eventi simili, vogliono provarne anche di nuovi. La bicicletta continuerà ad aiutarmi nella conoscenza: di me stesso, delle persone e dei luoghi. Questo è quel che conta».
Foto: Fabio Carlini
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