Nel ciclismo c’è una locuzione, di poche parole, che racchiude molti significati. Si dice “andare del proprio passo”, che poi non è un passo ma una pedalata, che, alla fine, sembra un respiro, come ha scritto Marco Pastonesi. “Andare del proprio passo” significa seguire il proprio ritmo, assecondare la propria possibilità di quel momento, in un certo qual modo significa non aver paura di ciò che si è in quel preciso istante. Già, perché “andare del proprio passo” può voler dire “perdere del tempo”, può aver voler dire “arrivare fuori tempo massimo” che significa fermarsi o meglio essere fermati perché non c’è più tempo. Si può andare del proprio passo in testa o in coda al gruppo, si va del proprio passo per la gloria o più spesso per la speranza. Per arrivare primi, per arrivare prima o semplicemente per arrivare. “Andare del proprio passo” può voler dire arrivare in ritardo, può voler dire perdere, può anche voler dire arrendersi se quel passo finisce, ma non vuol dire andare piano. Magari vuol dire andare più piano di qualcun altro, solo quello. Chi va del proprio passo non sta risparmiando nulla, sta dando tutto. Tutto quello che ha. Sta inseguendo o sta scappando da qualcuno, nel ciclismo è sempre così, fidandosi del proprio modo di seguire o scappare. Il tuo “modo” non sarà sempre il migliore in termine assoluti ma resterà comunque il tuo e non seguirlo, non fidarsi di lui, significherà sfinirsi lottando contro il vento e poi cedere. Tu puoi fare ciò che ti è possibile e nulla cambierà questa realtà.
Ma riconoscere questa realtà non significa fare del “fatalismo” o del “vittimismo”. No, è l’esatto contrario. Riconoscere questa realtà significa vivere più forte e esprimere al massimo ogni potenzialità perché andare del proprio passo vuol dire lavorare sulla propria persona, bandendo inutili lamentele, colpe e invidie. Vuol dire, per esempio, avere uno sguardo simile a quello di Primož Roglič, oggi durante la cronometro della Vuelta, da Muros a Mirador de Ézaro di 33,7 chilometri, ma forse ancor di più domenica all’Alto De Angliru o sabato, all’Alto de la Farrapona/Lagos de Somiedo. Perché? Perché oggi per Roglič era anche facile andare del proprio passo, contro il tempo è nettamente migliore dei suoi avversari. Il difficile era nei giorni scorsi, quando la strada era tutta all’insù e a dettare legge erano altri. Lì andare del proprio passo significava staccarsi e pagare dazio, significava contare i secondi o i minuti di distacco. Serviva coraggio, di più serviva pazienza. La forza che serve per tenere a freno quell’istinto di fare qualcosa che non puoi fare, solo per dimostrare, per non passare staccato, per lasciare nulla agli avversari. Diremmo che serviva consapevolezza. E Roglič è stato consapevole.
Consapevole del fatto che è possibile non essere i migliori in ogni tappa, che è possibile staccarsi e anche cedere il simbolo del primato. Ci si può dare questo permesso e farlo con consapevolezza e serenità significa essere già pronti a rimettere la propria ruota davanti a quella degli altri. La costruzione di ogni vittoria, in fondo, parte sempre dal primo momento dopo la sconfitta. Da come reagisci, da come accetti il rifiuto e da come sei disposto a ripartire. Senza rinunciare al proprio traguardo ma dandosi il proprio tempo per raggiungerlo. Roglič questo tempo lo ha scandito al ritmo del cronometro e adesso il suo passo è il passo giusto. Non sappiamo se lo resterà, non sappiamo se le salite imporranno un altro passo e un altro battito. Sappiamo però quello che questo martedì di inizio novembre in Spagna ha voluto rimarcare. Abbiamo tutti il diritto di inseguire un qualcosa a cui sentiamo di appartenere. Un diritto che somiglia a un dovere. Un diritto che è consapevolezza del fatto che “col nostro passo” possiamo arrivarci. Un passo che sarà adatto per certi giorni, veloce per altri, troppo lento in alcune circostanze. Ma un passo da accettare, un passo di cui essere comunque orgogliosi, perché è la nostra unica possibilità di progressione.
Foto: Bettini