C’è un modo di dire, molto diffuso nella comunità ciclistica che viaggia a suon di chilobyte e frasi fatte su internet, usato per identificare quelle azioni particolarmente efficaci non appena la strada si impenna: “subiendo como una moto”, in spagnolo, ovvero salendo come una moto. Esiste pure un sito che nel dominio riporta quel nome e al cui interno puoi trovare i dati di scalata dei corridori su diverse salite.

Domenica, ma per la verità sono un po’ di giorni che lo fa, Nairo Quintana è salito come una moto verso il gran premio della montagna del Col de Saint Roch, eravamo al Tour des Alpes Maritimes e du Var, per i più nostalgici: il Tour du Haut-Var.

In due tappe Nairoman (come viene chiamato quando ci si esalta nel vederlo andare in salita) ha staccato prima in modo brutale sul Col d’Èze l’atteso Guillaume Martin, perdendo poi allo sprint da Wellens, ma poco importa, e il giorno dopo il redivivo Pinot, anzi a dire la verità, il giorno dopo ha staccato tutto il gruppo andando a vincere tappa e classifica finale. Un suo giovane collega, Harry Sweeny, ha commentato quell’azione dicendo: «Nairo Quintana mi ha fatto sentire come se io fossi ancora uno junior».

Esaltante in salita, Quintana, con quell’azione in passato ci ha fatto pensare di aver trovato uno scalatore capace di ribaltare tutto e tutti; restringendo il campo agli ultimi dieci anni a tratti lo abbiamo definito lo Scalatore. È stato raccontato in maniera poco parziale, passando dall’esaltazione al massacro; ma provando a restituire a Quintana quello che la critica gli ha tolto, accusandolo di attendismo e poca efficacia, ci chiediamo: chiamereste attendista (o poco efficace) uno scalatore puro – perché questo è – capace di vincere oltre 50 corse in carriera tra cui la classifica generale di ben 20 gare a tappe? Non sono molti nella storia del ciclismo (facciamo quello moderno e contemporaneo senza addentrarci troppo all’epoca dei nostri ormai bisnonni) a vantare numeri del genere.

Attendista o poco efficace, volessimo romanzare, non lo è mai stato, sin da quando da bambino pensavano fosse rimasto vittima del “tiento del difunto”, una malattia “magica” basata sulla convinzione che la vicinanza con un morto trasformi le persone in potenziali agenti trasmittenti una serie di mali incurabili.
Si racconta di come sua madre, a pochi giorni dal parto, entrò proprio in contatto, nel suo negozio di frutta e verdura, con una signora che aveva appena subito una grave perdita. E così Nairo nacque malato, si dice fosse sempre di un colorito vicino a quello di un morto: «Secondo quello che mi hanno sempre detto i miei genitori, c’erano dei giorni in cui assomigliavo a un cadavere» raccontò Quintana a El País nel 2013.

Provarono di tutto per salvarlo, combattendo la magia con la magia; prima di rendersi protagonista in bici, fu vittima di riti che avevano lo scopo di liberarlo da quel sortilegio. Si dice che da lui sgorgasse sangue dalle feci e puzzasse come un morto; si dice di come guarì grazie alla Combitá, un infuso fatto con le radici di nove alberi diversi, un pezzo di carota bianca e una manciata della terra dove Nairo venne al mondo.
Abbiamo romanzato, e si potrebbe continuare, citando il racconto di lui che si recava a scuola in bici non per risparmiare, ma perché a casa ritenevano che il bus servisse ad altri tipi di spostamenti; e lui con quella bici: discesa ad andare e salita per tornare verso casa. Due gravi incidenti, quando era un ragazzino che aveva appena scoperto come pedalando poteva cambiare la sua vita: la seconda volta che fu investito finì in coma per cinque giorni.

Si potrebbe continuare parlando di Nairo con quella faccia da sfinge come un enigma che abbiamo provato a risolvere in tutti i modi; l’attesa invana, quei Tour che pensavamo potesse vincere, la convivenza in Movistar con Valverde che secondo lo scalatore colombiano potrebbe essergli costato il Tour 2015, quando arrivò secondo alle spalle di Froome (come nel 2013), condividendo proprio con lo spagnolo il podio finale: «Per colpa di un mio compagno di squadra – raccontò Quintana qualche anno dopo – non ho potuto conquistare quel Tour».
Un Giro e una Vuelta li ha vinti, come nessun colombiano, così come nessun colombiano, forse giusto Bernal, gode di tanta popolarità nel suo Paese. Nel 2019, un sondaggio in patria lo vedeva ancora davanti a tutti come personaggio più conosciuto, più di Bernal, che aveva appena vinto il Tour, più delle stelle della nazionale di calcio colombiana come James e Falcao e del cantante Carlos Vives.

Si potrebbe continuare e poi farla breve tornando a poche ore fa quando è partito a una trentina di chilometri dall’arrivo, salendo come una moto, staccando tutto e tutti in salita, come il più bel Quintana mai visto. Come quel Quintana che prometteva, scattava e poi si scansava per chissà quale diabolico gioco tra cervello e gambe.
Corridore un po’ atipico per certi versi, imperturbabile sul rapportone, nella buona e nella cattiva sorte, a volte illeggibile, magnifico scalatore: in salita, quando in giornata, capace di andare su come una moto rendendo i suoi avversari piccoli e affannati come dei cadetti.

Se l’inizio della stagione ciclistica è quella dove è lecito sognare, non svegliateci, ma lasciateci godere una volta tanto Nairo Quintana. Lasciateci godere una volta tanto uno scalatore.