ARTICOLO A CURA DI MATTEO GIORDANO
Lo ammetto, l’ UAE Tour non sarà la corsa di una settimana più esaltante del calendario, con i suoi drittoni nel deserto buoni solo per qualche ventaglio, viatico per le prime sfide fra i migliori velocisti; non si tratta nemmeno di una corsa che regala sfide particolarmente spettacolari sulle rampe di Jebel Jais e Jebel Hafet, che comunque sono parecchio in alto nella mia classifica personale dei nomi di salite più belli ed evocativi del mondo. Tuttavia l’Oriente mi ha sempre affascinato, e poi il deserto, insieme alle montagne, rappresenta la massima aspirazione per l’uomo quando si tratta di andare oltre le proprie paure e i propri limiti.
L’UAE Tour ha qualcosa di ipnotico come un incantesimo, forse per via del contrasto fra il deserto brullo e le città immaginifiche costruite da chi non solo può permettersi di ingaggiare il miglior corridore del mondo, ma anche di assumere i più visionari ingegneri e architetti, per sfidare la natura, domare l’acqua, piegare anche il deserto, almeno un po’, al proprio volere.
Ma magari sono solo io che, dopo due mesi di ciclocross e oniriche gare australiane nel cuore della notte, non vedo l’ora di tornare a un po’ di vero ciclismo su strada, ma non escludo che il massiccio volume de “Le Mille e una Notte” che latita sul mio comodino e che di tanto in tanto riprendo, in questo periodo dell’anno fa la sua parte.
E allora mi viene quasi naturale scovare un’epica fatta di magia, eroi e prodigi, tipici di quelle terre lontane, anche nelle imprese dei Pro sulle loro biciclette scintillanti sotto una luce che non dà tregua.
Tappa 1 – Philipsen, l’uccello Roc che cade sotto il suo stesso peso
La prima volata di questo UAE Tour lanciata con l’arrivo che tirava all’insù, molto più di quanto si sarebbe potuto pensare, non poteva che vincerla Jonathan Milan, con il suo strapotere fisico che pare debba strappare il manubrio da un momento all’altro mentre spinge a più non posso sui pedali.
Tuttavia, a far parlare di sé sul traguardo di Dubai è stato Jasper Philipsen, uno che, come Milan del resto, non si può definire velocista senza il rischio di essere tacciati di limitata visione delle cose.
Philipsen si è lanciato come sempre verso la linea del traguardo simile all’uccello Roc delle leggende arabe: enorme (forse anche un filo sovrappeso), con l’aria dominante, capace di oscurare il cielo con la sua sola presenza. Quando è sbucato dalla ruota di Milan, per un attimo la vittoria sembrava certa, pareva dovesse, con le ultime pedalate, planare per primo sul traguardo, e invece no, doppiamente no: il corridore dell’Alpecin ha incrociato il destino dell’uccello Roc. La mitologica creatura che si crede invincibile arriva secondo; di più, finisce per soccombere alla sua stessa foga e bramosia di vittoria. La giuria rivede le immagini: deviazione irregolare per chiudere la traiettoria a Fisher-Black. Retrocesso.
Come Roc che perde il controllo e precipita sotto il suo stesso peso, anche Philipsen, troppo sicuro della sua potenza, come già in altre occasioni, finisce sconfitto. Un altro sprint segnato da troppo impeto e forse da un filo di consapevole scorrettezza.
Tappa 2 – Tarling, il tappeto volante
Nel deserto soffia un vento che porta con sé antiche storie. Una delle più celebri è quella del tappeto volante, capace di sfidare la gravità e portare il suo cavaliere più lontano e più veloce di qualsiasi altro mezzo. Josh Tarling, nella tappa a cronometro sembrava averne trovato uno. Il suo tappeto non era tessuto di fili magici, ma di carbonio e ingegneria avanzata, un bolide che ha dominato la strada e il vento con la grazia di chi è nato per volare.
Mentre gli altri sembravano faticare per tenere la bici in traiettoria tra le raffiche, lui sfrecciava con una leggerezza quasi irreale. Il suo assetto era perfetto, il colpo di pedale senza scosse, la progressione inarrestabile. Come nei racconti in cui solo il prescelto può governare il tappeto magico, anche Tarling sembra avere un dono naturale per la cronometro, una sintonia perfetta con il mezzo che lo rende già un dominatore del tempo.
Il futuro forse è già qui, e di fronte a una simile naturale potenza non c’è nemmeno bisogno di troppa magia.
Tappa 3 – Rubio e la maledizione del secondo ritorno
La montagna che un anno fa lo aveva incoronato, questa volta gli ha voltato le spalle e in un modo che fa arrabbiare. Einer Rubio, vincitore nel 2024 sul traguardo di Jebel Jais, e che forse sognava di provarci anche quest’anno, non aveva messo in conto un guasto meccanico nel momento peggiore, e soprattutto la strana posizione in cui sull’ammiraglia stava la bici di scorta, talmente scomoda da raggiungere che il massaggiatore deve arrampicarsi sul cofano; e così gli avversari se ne vanno e i minuti pure.
Nella tradizione araba esiste un’antica credenza: il secondo ritorno è sempre carico di insidie. Gli eroi che provano a ripetere un’impresa trionfale spesso si scontrano con ostacoli imprevisti, come se il fato volesse impedire loro di replicare la gloria. È la sorte che toccò a Sindbad il Marinaio che, dopo essere sopravvissuto a incredibili avventure, volle spingersi ancora oltre, solo per trovare nuove sventure ad attenderlo.
Anche Rubio ha vissuto il suo secondo ritorno a Jebel Jais con esiti ben diversi dal primo. Il destino lo ha messo alla prova con un imprevisto tecnico nel momento peggiore, e a nulla è servita la sua gran gamba. Ma se c’è una lezione che le leggende arabe insegnano, è che le maledizioni possono essere spezzate: e allora servirà un terzo ritorno, per trasformare la sfortuna in leggenda.
Tappa 4 – Milan, la forza inarrestabile del vento
Nel deserto, il vento non è solo un elemento naturale: è un’entità viva, un narratore invisibile che scolpisce le dune, e porta con sé le storie di chi osa sfidarlo. E quando soffia con furia, solo i più forti sanno cavalcarlo senza esserne travolti.
Jonathan Milan ha domato il vento. Nella quarta tappa, caratterizzata da raffiche che spazzano le strade aperte dell’UAE, il corridore italiano si è fatto brezza, poi tempesta. Ha atteso il momento giusto, sfruttato ogni folata a suo favore e, con un colpo di pedale potente come una martellata, ha tagliato il traguardo davanti a tutti, senza storia
Nel folklore arabo, il vento è spesso un alleato delle imprese eroiche: porta i viaggiatori verso il loro destino, soffia nelle vele dei grandi esploratori, avvolge gli eroi nel momento decisivo. Anche oggi il vento ha scelto Milan e tutto lascia pensare che non lo abbandonerà tanto facilmente.
Tappa 5 – Malucelli: il destino del viandante
Nelle storie della tradizione araba, spesso il viandante, colui che sembra destinato a rimanere nell’ombra dei grandi, trova invece il suo momento di gloria quando meno ci si aspetta. Così accade ne “Le Mille e una Notte”, dove un mercante senza pretese può scoprire un tesoro nascosto, o un viaggiatore qualsiasi può incrociare il proprio destino con quello dei sovrani.
Matteo Malucelli, centrando un grande secondo posto nella quinta tappa dell’UAE Tour, ha seguito il copione del viandante che, con astuzia e tempismo, si inserisce nel racconto in un ruolo che, probabilmente non era stato scritto per lui. Mentre i favoriti si controllavano e altri venivano messi fuori gioco da una caduta, Malucelli ha saputo infilare le sue ruote, piuttosto veloci (benché qualcuno avesse avanzato qualche ironico sospetto data la provenienza geografica delle stesse) nel momento giusto, emergendo inaspettatamente e scrivendo la sua M tra quelle più blasonate di Merlier e Milan. Non sarà una vittoria, ma è una di quelle imprese che fanno sì che il viaggio – e le corse – rimangano sempre pieni di sorprese.
Tappa 6 – Merlier, il mago del deserto
Nella tradizione araba, il mago è una figura ambivalente: può essere un ingannatore o un saggio, un manipolatore delle forze invisibili o un maestro della conoscenza segreta. Ne “Le Mille e una Notte”, i maghi non si limitano a lanciare incantesimi: trasformano il mondo intorno a loro con la parola, la mente e l’illusione. Sono strateghi, come il celebre mago persiano che nella storia di Hasan di Bassora modella il destino del protagonista attraverso trucchi e magie sottili.
Tim Merlier, forte dell’assonanza con un altro celebre mago della tradizione occidentale, vince la quinta tappa con la solita chirurgica precisione del velocista di razza che sa che, per sconfiggere lo strapotere fisico di un avversario, occorre pure un tocco di magia. In una corsa caotica, con i ventagli a spezzare il gruppo e le accelerazioni che fiaccavano le gambe, il campione d’Europa ha saputo leggere la corsa come un incantatore che prevede il futuro. Ha misurato l’attesa, tessuto la sua strategia e poi, quasi come un incantesimo, ha materializzato la sua vittoria anticipando tutti, scappando via per non essere più raggiunto. Un mago della velocità, uno con cui fare i conti a ogni volata.
Tappa 7 – Pogačar, il jinn della montagna
Non è umano, banale dirlo. Tadej Pogačar non ha nemmeno bisogno di faticare troppo sulle salite dell’UAE Tour con la naturalezza di chi sa di avere un potere superiore. È lui il jinn della montagna, lo spirito inarrestabile che appare e scompare a piacimento, lasciando dietro di sé solo il suono del vento e il rumore della resa dei suoi avversari. Nel folklore arabo, i jinn sono esseri misteriosi, dotati di poteri immensi. Possono trasformarsi, controllare gli elementi e sparire, proprio come fa Pogačar, che sembra evaporare agli occhi di chi cerca di seguirlo non appena allunga il passo in salita. Un attimo prima è lì, accanto a te; un attimo dopo è già lontano, verso un destino scritto da tempo. Da togliere il respiro, soprattutto a quelli che provano a seguirlo.
Tutto troppo prevedibile? Forse. Ma questo non rende la sua superiorità meno spaventosa e fa crescere in noi il desiderio di vederlo presto duellare ad armi pari con qualche altro jinn, magari un jinn delle pietre.