Espressione rilassata: prima, durante e dopo una corsa importante. È sempre stato così, sin dai primi passi. Mentre gli altri si incupivano, tesi fino a strapparsi, logorandosi fino a otturare i propri pistoni, Geraint Thomas faceva scivolare via le preoccupazioni pedalando sciolto con quelle gambe che sembrano stiletti affilati. «Mai visto uno con una testa simile» – racconta Rod Ellingworth, suo ex allenatore e deus ex machina dei successi della Gran Bretagna nel ciclismo.
E d’altronde, la forza mentale di Geraint Thomas non è mai andata in frantumi nemmeno tutte le volte che è finito a terra. La prima brutta caduta nel 2005 in Australia: finì in terapia intensiva e gli tolsero la milza. «I miei vennero a Sidney preoccupati, finì che ci divertimmo un mondo». Al Tour del 2013 cadde nella prima tappa, si ruppe il bacino e restò ugualmente in corsa fino a Parigi supportando Froome verso la vittoria finale. Al Giro del 2017, quando era in piena lotta per la maglia rosa, si scontrò con una moto della polizia e qualche giorno dopo si ritirò. Lo stesso anno al Tour vinse il prologo, indossò la maglia gialla, ma tempo una settimana e finì di nuovo a terra: clavicola rotta. Memorabile il suo incidente alla Gand-Wevelgem del 2015 quando una folata di vento lo buttò fuori strada mentre era in fuga per la vittoria.
Elegante in bici, vincente su pista, sul pavé e nei Grandi Giri, Geraint Thomas è visto in gruppo come personaggio tranquillo e rispettato; garbato e dai modi britannici, lui che arriva dal Galles – Cardiff per la precisione, ‘Diff, come dicono da quelle parti. Nell’ultima tappa al Tour del 2018 Daniele Bennati gli si avvicinò prima del traguardo e gli disse: «Il fatto che sia uno come te a vincere il Tour de France, mi fa venire la pelle d’oca».
Quando poi Thomas dice che dell’Italia gli piace tutto, in particolare il cibo, non è una strizzata d’occhio, sembra parli davvero di amore. In tempi non sospetti raccontava di come pensare al Giro d’Italia lo facesse svegliare di soprassalto la mattina, e quando si è sposato lo ha fatto nella St Tewdric’s House, una villa italiana del XIX secolo, in Galles. Successivamente lui e la moglie l’hanno acquistata, restaurata, e oggi, a partire dalla modica cifra di circa cinquemila sterline, chiunque ci si può sposare.
Ha frequentato la stessa scuola secondaria di Gareth Bale, e in Galles è ritenuto uno dei personaggi sportivi più grandi di tutti i tempi, al pari della leggenda del rugby Gareth Edwards. Sempre a Cardiff, in suo onore, dopo il titolo olimpico vinto a Londra, la Royal Mail fece dipingere d’oro una cassetta delle lettere nella piazza centrale ed emise un francobollo col suo nome.
Il suo primo allenatore racconta di quando trovasse questo ragazzetto di nove anni mingherlino, pallido, con le gambe fini come uno sfilatino, tutte le mattine fuori dal velodromo a spiare i ragazzi che correvano con la maglia del Mindy Flyers Club. A furia di vederlo gironzolare lì intorno, timido, a bocca aperta e con gli occhi sognanti, un giorno lo invitò a fare qualche giro, gli diede una bici di riserva e lo lanciò in pista. Tempo qualche anno e Thomas divenne il più forte della sua scuola, poi del Galles, poi della Gran Bretagna, fino a conquistare due titoli olimpici nell’inseguimento su pista, nel 2008 a Pechino e nel 2012 a Londra.
«Non aveva mai il broncio anche quando perdeva una corsa» dice di lui un altro suo allenatore, mentre Courtney Rowe, padre del futuro compagno di squadra Luke, ricorda il suo talento: «Luke era bravo, ma G è sempre stato semplicemente geniale». E se c’era da fare festa lui era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene: «Ad ogni addio al celibato io tornavo a casa alle 22.30, Thomas per ultimo».
Alla fine del Tour de France vinto, Arsene Wenger, all’epoca manager dell’Arsenal, lo chiamò per congratularsi, e Thomas, tifoso sfegatato dei Gunners, pensava fosse Wiggins, noto imitatore, che scherzava. Qualche tempo dopo incontrò Leo Messi al termine di un Barcelona-PSV di Champions finito 4-0 e con una tripletta del fenomeno argentino. Messi gli regalò la sua maglia autografata e qualcuno scrisse: “Messi ha voluto incontrare il Re del Tour de France”. Quel Tour che in Sky non volevano che vincesse: «Mi dissero che avrebbero corso tutti per Froome anche se avessi avuto un minuto di vantaggio e che se nella cronosquadre avessi avuto un problema, non mi avrebbero protetto né aspettato», rivela Thomas nella sua biografia.
Escluso dalla selezione per il Tour di quest’anno – chi lo ha visto al Delfinato non ne è rimasto sorpreso – Thomas sarà una spina nello Stivale. E se dovessimo puntare un penny su un vincitore del Giro, il suo nome ci potrebbe far vacillare. A patto che G, come lo chiamano in gruppo, smetta di svegliarsi di soprassalto pensando all’Italia e mantenga il suo profilo equilibrato. “Imponi la tua fortuna e corri verso i tuoi rischi”, scrisse un giorno René Char, e ci pare un pensiero perfettamente adatto al cammino di Geraint Thomas.
Foto: ASO / Alex BROADWAY e ASO / Pauline BALLET
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