Coppi vola senza più l’inquietudine delle prime ore, certo com’è di giungere solo al traguardo.
Così Dino Buzzati commentava magistralmente sul Corriere della Sera una tappa del Giro del ’49.
Aveva associato il confronto fra Coppi e Bartali all’omerico duello fra Ettore e Achille.
Due eroi della mitologia antica accostati a due eroi del ciclismo che fu, dell’Italia in bianco e nero che pian piano risorgeva.

Sei luglio, tappa sei del Tour de France, altri due contendenti si mostrano nei colori vividi e sgargianti del ciclismo di oggi.
Tadej Pogacar e Jonas Vingegard. Slovenia e Danimarca.
Entrambi coraggio e valore, coscienza e incoscienza.
Nessuna singolar tenzone cavalleresca per una donna. Nessun duello con le armi da fuoco per vendicare il proprio nome offeso.
Solo – ma sarà poi vero? – una lotta sportiva tra due giovani uomini che hanno onorato la corsa più bella e conosciuta del ciclismo e che rendono ogni corsa più bella e conosciuta.
Due fuoriclasse, fra corridori di primissima classe, che hanno unito il ciclismo e stanno dividendo gli appassionati.
Quello che è accaduto a circa due chilometri e 800 metri dal traguardo di quella tappa estenuante, la prima vera tappa di montagna di questo Tour, rimarrà impresso nella celluloide, nei pixel fotografici e nella memoria di chi ha assistito.
I più fortunati – gli eletti – testimonieranno di essere stati proprio lì, in quel tratto di strada. In quel preciso istante.
I meno fortunati – tutti gli altri – racconteranno di aver visto tutto in diretta tv.
Gli uni e gli altri, un giorno, con pochi o molti capelli bianchi, vivranno la nostalgia di quel momento. Di quel sobbalzo dal divano. Tachicardico e al contempo lenitivo.
Avranno custodito quell’attimo fuggente, quel raggio di sole, per le giornate uggiose, come quelle delle canzoni di Battisti.
Per respirare la stessa fragranza gradevole di quel giorno ormai lontano.
Poiché la cronaca esige il suo tributo è d’obbligo accennare al Col du Tourmalet.
Se è vero, come è vero, che la salita rappresenta il fascino del ciclismo, il Tourmalet coi suoi 17 km d’ascensione e vetta a 2.115 mt è la più emblematica e pedalata del Tour.
Percorrerla in bici in 45 minuti sembrerebbe follia.
Invece è stato record!
L’asfalto graffiato di quei tornanti aveva visto la corazzata della Jumbo tentare invano di staccare Tadey con un ciclista di nome Van Aert.
Sì, quel Van Aert che, seppur stremato, ha dimostrato ancora una volta il suo
stra-ordinario valore senza vincere.
Nei tornanti di quel gigante di pietra gli appassionati doc muovevano bandiere e corpi come lo scirocco fa con le onde del mare.
Pogacar aveva però invocato suoi spiriti guida e le anime degli scalatori del passato. Ottimista nel pre-gara, nonostante la sconfitta del giorno prima inflitta proprio dal danese, era rimasto concentrato – anzi di più – durante tutta la corsa.
Lo si intuiva da quel particolare sguardo che non era sfuggito ai commentatori di grande esperienza. “ Oggi ha una buona gamba – dicevano – e una buona testa.”
Quella col ciuffetto irriverente che spunta fuori dal casco.
Lo sloveno incollato al danese e noi agli schermi. In attesa di una magia, di un regalo.
E a meno di tremila metri ecco l’audio crescere a dismisura. “ È partito!
Vola Tadej, vooola!”
È la mossa del principe sloveno, lo scacco al re. Scatto e allungo: matto in due mosse.
È l’esaltazione. L’incredibile sperato.
Il suo inchino al traguardo rivela la fine dello spettacolo.
Pogačar primo in 3h 54′ 27″
Sua con 103.5 km/h la punta massima di velocità del giorno.
Vingegard secondo e in maglia gialla.
Fra loro, nella classifica generale, 25 secondi di distacco. Venticinque, come il costo dell’ascensore che porta in cima alla Tour Eiffel.
Ma in fondo i numeri misurano davvero ciò che conta nella vita?

Il presidente francese applaude ai lati del podio.
Domani è un altro giorno.
Via col vento.

Contributo di Fabio Gariffo
Foto in evidenza: Sprint Cycling Agency