Diario dall'Alaska: il rispetto del freddo, la comprensione della paura

C'è un essere vivente impietoso che stringe, come in una morsa, chiunque stia percorrendo l’Iditarod Trail, in Alaska. Pesa sulla schiena, mentre, in ginocchio, si tornano a gonfiare gli pneumatici che hanno perso pressione proprio sotto l'agguato di questo animale: è il freddo. Willy Mulonia ricorda il suo professore universitario, si chiama Chechu (Ceciu), e quella volta in cui gli chiese se il freddo potesse essere un'emozione: fu proprio Chechu a dirgli di sì, mentre i suoi colleghi gli spiegavano che, al massimo, poteva essere una sensazione.

«Il freddo è un'emozione - ci spiega Willy- perché diventa l'elaborazione di tutte le cose che senti e che, così trasformate, riconoscerai al prossimo incontro e saprai come affrontarle». Il freddo che non è da temere, ma da rispettare, anche quando si presenta col buio, nel buio, ed è davvero spaventoso: fatichi a vedere a causa del ghiaccio che penzola dalle ciglia, però distingui nettamente le impronte dei lupi sulla strada e il cervello rischia di andare in tilt. Perché il freddo induce al delirio, prima, ed al congelamento, poi.

Ti fa fare cose che non faresti mai, così ti blocca, inibisce ogni possibilità di reazione. «Quando senti freddo è troppo tardi, come quando senti fame in una tappa dolomitica. Col freddo si mangia come lupi, gli stessi di cui vedi le orme. Devi fare attenzione a non rompere niente, perché le basse temperature rendono tutto più fragile, sottoposto alla rottura. Tranne la neve che si ammassa, si fa più dura e apparentemente sembra più facile da percorrere, se non fosse per la pressione delle gomme che, proprio il freddo abbassa di colpo». L'unica possibilità è prevenire, in questo sta il rispetto.

Sul manubrio di Willy, Tiziano e Roberto c'è un termometro analogico, acquistato da Willy in Finlandia. Gli altri concorrenti non capiscono a cosa serva, perché sia lì. Willy Mulonia lo ha ben chiaro: basta abbassare lo sguardo per prendere coscienza della temperatura e coprirsi prima che sia troppo tardi. Sì, coprirsi ma non troppo perché, se si inizia a sudare, è la fine. Un altro nemico, ostico, fra i tanti dell'Alaska. Ogni tanto lo sguardo va verso il cielo: «Giove e Venere sono vicinissimi. Me lo ha detto Roberto, giusto qualche giorno fa, così, quando lo noto, penso che lui è davanti a me, rifletto su quanto davanti e, poi, continuo a pedalare». In diciassette ore, Willy, Tiziano e Roberto hanno fatto un tratto che normalmente si fa in due giorni, “un'impresa eroica nell'impresa stessa" come direbbe Giancarlo Brocci, e Nikolaj è sempre più vicina. Ci sono le impronte del fratello Tiziano davanti a Willy e lui prova a capire di che impronte si tratti: «Se è la camminata di qualcuno che è stanco, sfinito, oppure affamato o se sta camminando perché vuole scaldarsi i piedi. Il problema è che quando fa così freddo non ci si può permettere di pensare agli altri. E ora, proprio ora, il termometro segna meno quaranta». Di rispetto e di non paura è il rapporto col freddo, ma la paura è parte di ogni viaggio, soprattutto da queste parti.

Nei primi tempi, Willy Mulonia temeva l'acqua, poi ha capito come affrontarla, come difendersi dai suoi pericoli e questo non è scontato perché la paura allerta il cervello e rischia di causare una reazione che non serve, spropositata, che è un inganno della nostra mente. Si tratta di un'emozione primaria che, certamente, ha anche dei lati positivi: «Serviva per stare all'erta, per fronteggiare la bestia selvaggia, fuori dalla grotta. Un eredità che trasciniamo ancora oggi nel nostro quotidiano da allora. Il nostro cervello è portato a focalizzarsi sul negativo». La paura è umana, non può esisterne l'assenza, esiste piuttosto la convivenza con questa emozione. Quando si parla di essere valorosi, significa riuscire a fare questo, evitare il "sequestro amigdalino", come lo chiamano le neuroscienze: «Confondi un uomo con una tigre, tutto diventa più grande, smisurato, impossibile da affrontare. Noi esseri umani, tra l'altro, siamo abituati a giudicarci di continuo. Non valutiamo gli errori, li giudichiamo e, con quelli, giudichiamo noi stessi».

Il valore sta nel riuscire ad aprire lo stesso quella porta e a muovere il primo passo verso ciò che ci spaventa, perché, solo dopo quell'esperienza, si riesce a conoscere un'altra parte di noi, più completa o, sicuramente, mai incontrata prima. «Si può farlo in Alaska od ovunque nel mondo ed in qualsiasi ambito, a patto di lavorare sulla fede in noi stessi. Sulla fiducia che abbiamo delle nostre capacità. Non si raggiunge solo ciò che si vuole, si raggiunge ciò che si necessita, di cui si ha bisogno». Qui Willy torna a San Tommaso e Sant'Agostino: il primo con il suo "se non vedo, non credo" e l'altro con un capovolto "se non credo, non vedo".

«Concordo con Sant'Agostino. Penso sia indispensabile credere fortemente al proprio obbiettivo a ciò che si vuole raggiungere per poi vederlo effettivamente». Prima di tutto, però, c'è la conoscenza della propria persona che è la base, la regola incisa su una pietra all’ingresso del Tempio di Apollo: "Conosci te stesso". Soprattutto perché questa conoscenza permette di ridimensionare la paura del resto: «Si tratta comunque di qualcosa di occulto, ma, in questo modo, è possibile aprire la porta ed affrontarlo, scoprirlo e, quindi conoscerlo». C'è l'essere, ovvero il conosci te stesso, il saper essere, quindi la capacità di relazionarsi con gli altri, e, infine, il saper fare che è il virtuosismo di ciascuno, qualcosa che si fa per noi stessi e per gli altri. «La paura si affronta come l'Alaska, essendo umili, non arroganti, ma coraggiosi. C'è un libro intitolato "Il cammino dell'eroe": da quelle righe capisci che l'eroe è una persona semplice, genuina, che ha sofferto, che ha imparato. E quando sei solo, a spingere la tua bici, ci pensi e ti fai coraggio».

Willy sorride, pensa alla strada che ha fatto, a quanto l'Alaska, ancora una volta, l'ha cambiato, poi torna a parlare: «Platone diceva: “Ognuno può essere eroe per amore". Siamo chiamati a questo».
Proprio così, nulla da aggiungere.


Diario dall'Alaska: la mente ed il fuoco

Qualche giorno fa, Willy Mulonia era ancora in quel bosco di abeti neri e betulle, di quel grigio monotono che, in Alaska, torna a ripetersi di continuo, senza stacchi. Era in quel bosco di alberi, che definisce anime perse, per provare la partenza di Iditarod Trail Inviitational, con il fratello Tiziano: quarantacinque chilometri e la neve che cade incessantemente dalla mattina. Il fiato smorzato dal freddo e il ricordo che, l'anno scorso, quello stesso tratto l'aveva percorso in quattro ore, quest'anno ce ne sono volute otto. Quando Willy inizia a parlare, la prima considerazione è tagliente: «Se ci pensassi, sarebbe un disastro, una catastrofe». Ma, per fortuna, non è tutto qui e Willy Mulonia, nel tempo, l'ha compreso bene. Si tratta di un segreto nella gestione delle esperienze: «Non bisogna mai paragonare e di conseguenza mai giudicare. Un binomio fondamentale perché la mente ha un ruolo importantissimo in questi casi. L'anno scorso in questo tratto, su questa salita, stavo pedalando, ora sono a piedi e spingo la bicicletta. Quante cose sono cambiate? Più torno in Alaska, più capisco che le cose cambiano. Più passano gli anni e il cambiamento diventa una realtà con cui interfacciarsi perché, all'improvviso, impieghi molto più tempo per fare cose che, prima, facevi in velocità, naturalmente». Già, il cambiamento a cui bisogna saper dare la giusta lettura per riuscire a continuare. Willy Mulonia questa lettura la divide in tre fasi.

Si riconosce il cambiamento, si accetta la realtà modificata e, soprattutto, si cerca di far sì che questo nuovo aspetto delle cose possa giovarti, in qualche modo. «Non puoi parlare alla mente in maniera negativa, perché il cervello non recepisce questo messaggio. Se ti chiedo di non pensare ad un elefante rosso, tu ci pensi. Se all'inizio di questa salita, mi dico di scendere di sella perché non ce la faccio, mi sto parlando male. Invece devo parlarmi bene: scendo di sella per risparmiare energie. Si tratta di un dovere che abbiamo tutti». Intanto là, in fondo, c'è Tiziano che ha girato la bicicletta e sta aspettando Willy, per andare assieme alla cabin che è «posto di giubilo, di felicità, di premio, di ricompensa dopo la giornata». Nella tormenta, ci spiega Willy, si forgia il carattere, nei momenti di calma si accresce il potenziale e questo, nonostante la fatica, è un momento di calma, perché la gara non è ancora iniziata: un allenamento del genere ha permesso di ripassare i punti forti della propria capacità, delle proprie abilità. Si impara, è questo il punto: un banco di scuola in cui nessuno insegna, al massimo qualcuno aiuta ad imparare. E quel temperino, che è l'Alaska, forgia la matita che poi scriverà. La matita è sempre Willy che si parla in positivo, senza giudizio. Magari pensa al mare.

Adesso sta smettendo di nevicare, un altro premio, dopo la fatica. Piano piano si va verso l'uscita del bosco, verso Butterfly Lake: «Il bosco è spesso vissuto come groviglio, come luogo di estrema difficoltà, invece, se sai parlarti bene, il bosco è un luogo di sicurezza, perché, appena ne esci, il vento soffia forte, ti castiga, ti punisce. Nel bosco puoi ripararti, l'animale ferito va nel bosco per curarsi e l'uomo nel dolore dovrebbe camminare nella natura. Come il lupo, il bosco non è pericoloso, è, ad esempio, il luogo dove trovi la legna per il fuoco». Sì, il fuoco. Per Willy Mulonia è vita e morte, è sicurezza, calore, ma anche rischio, pericolo fuori controllo, è rinascita e distruzione. Anche la forma delle fiamme che, dalla grande base, ballano, spingendosi verso l'alto, sembra quasi una divinità.

Willy, Tiziano e Roberto si ritrovano insieme e ognuno ha un suo compito, qualcosa che gli riesce naturale, che lo contraddistingue: Tiziano si occupa del meteo, Roberto della traccia e Willy si prende cura proprio del fuoco. Anche in estate, quando è nella natura, osserva le piante, la loro corteccia, il luogo ideale per costruire un giaciglio o per accendere una fiamma, con un cerino, come gli ha sempre detto un suo caro amico che oggi non c'è più: «Dai, fammi vedere se sai accendere un fuoco con un cerino». A questo scopo, sono quattro i kit che Mulonia ha portato: quei cerini sono sapientemente protetti dalle intemperie. Uno di questi kit lo tiene addosso, «nel caso in cui la bici dovesse finire in acqua. So dove li ho, non devo cercarli. Sono una sicurezza».

L'accensione del fuoco è un rito, la prima cosa che Willy Mulonia fa, dopo essersi ben coperto, per tenere al caldo il corpo e ascoltarlo raccontare ogni gesto a tal fine è come una storia: il momento dell'arrivo, la ricerca del posto migliore, la neve che viene spostata, la pulizia della base del pino, controllando che sopra non ci sia neve, fare un tetto, il taglio dei rami, l'isolamento del luogo dove ci si sdraierà la notte e i materassini pronti. «Non troppo lontano dal giaciglio, preparo un buco nella neve, una base con dei tronchetti di medio taglio, utilizzando una catena di una motosega con due maniglie al fondo, e sopra metto la corteccia delle betulle che inseguo ovunque con gli occhi, pensando a quanta potrei prenderne per il mio fuoco». Così, attraverso la legna accumulata dal taglio e dalla pulizia delle piante secche, si nutre il fuoco. Lì, ci si riunisce, un whisky a sera, qualche parola, poi si va a dormire e il fuoco, lentamente, si spegne durante la notte. Quel fuoco, in Alaska, è, per Willy, Tiziano e Roberto, focolare domestico dove si riunisce la famiglia. Quelle fiamme ipnotizzano, come l'acqua del mare, di un fiume o la vita di un bambino che è appena nato, il suo movimento.

Ora ha proprio smesso di nevicare, la cabin è lì, vicina, la giornata è finita: un cerino, una striscia per sfregarlo e il suo suono. La concentrazione dell'attimo in cui bisogna far partire la prima scintilla, il primo scoppio, perché non si può sbagliare: «Se pensi ad altro, non accenderai mai il fuoco. Se vuoi dar vita a una divinità, non puoi sentirti più importante di lei. Il fuoco ti salva, il fuoco ti distrugge. Tutto qui».
Sì, tutto qui, almeno per oggi. Il 26 febbraio è partita l’avventura di Iditarod Trail Invitational e da lì, per Willy, ci saranno ancora pagine di diario da riempire.