Qualche giorno fa, Willy Mulonia era ancora in quel bosco di abeti neri e betulle, di quel grigio monotono che, in Alaska, torna a ripetersi di continuo, senza stacchi. Era in quel bosco di alberi, che definisce anime perse, per provare la partenza di Iditarod Trail Inviitational, con il fratello Tiziano: quarantacinque chilometri e la neve che cade incessantemente dalla mattina. Il fiato smorzato dal freddo e il ricordo che, l’anno scorso, quello stesso tratto l’aveva percorso in quattro ore, quest’anno ce ne sono volute otto. Quando Willy inizia a parlare, la prima considerazione è tagliente: «Se ci pensassi, sarebbe un disastro, una catastrofe». Ma, per fortuna, non è tutto qui e Willy Mulonia, nel tempo, l’ha compreso bene. Si tratta di un segreto nella gestione delle esperienze: «Non bisogna mai paragonare e di conseguenza mai giudicare. Un binomio fondamentale perché la mente ha un ruolo importantissimo in questi casi. L’anno scorso in questo tratto, su questa salita, stavo pedalando, ora sono a piedi e spingo la bicicletta. Quante cose sono cambiate? Più torno in Alaska, più capisco che le cose cambiano. Più passano gli anni e il cambiamento diventa una realtà con cui interfacciarsi perché, all’improvviso, impieghi molto più tempo per fare cose che, prima, facevi in velocità, naturalmente». Già, il cambiamento a cui bisogna saper dare la giusta lettura per riuscire a continuare. Willy Mulonia questa lettura la divide in tre fasi.

Si riconosce il cambiamento, si accetta la realtà modificata e, soprattutto, si cerca di far sì che questo nuovo aspetto delle cose possa giovarti, in qualche modo. «Non puoi parlare alla mente in maniera negativa, perché il cervello non recepisce questo messaggio. Se ti chiedo di non pensare ad un elefante rosso, tu ci pensi. Se all’inizio di questa salita, mi dico di scendere di sella perché non ce la faccio, mi sto parlando male. Invece devo parlarmi bene: scendo di sella per risparmiare energie. Si tratta di un dovere che abbiamo tutti». Intanto là, in fondo, c’è Tiziano che ha girato la bicicletta e sta aspettando Willy, per andare assieme alla cabin che è «posto di giubilo, di felicità, di premio, di ricompensa dopo la giornata». Nella tormenta, ci spiega Willy, si forgia il carattere, nei momenti di calma si accresce il potenziale e questo, nonostante la fatica, è un momento di calma, perché la gara non è ancora iniziata: un allenamento del genere ha permesso di ripassare i punti forti della propria capacità, delle proprie abilità. Si impara, è questo il punto: un banco di scuola in cui nessuno insegna, al massimo qualcuno aiuta ad imparare. E quel temperino, che è l’Alaska, forgia la matita che poi scriverà. La matita è sempre Willy che si parla in positivo, senza giudizio. Magari pensa al mare.

Adesso sta smettendo di nevicare, un altro premio, dopo la fatica. Piano piano si va verso l’uscita del bosco, verso Butterfly Lake: «Il bosco è spesso vissuto come groviglio, come luogo di estrema difficoltà, invece, se sai parlarti bene, il bosco è un luogo di sicurezza, perché, appena ne esci, il vento soffia forte, ti castiga, ti punisce. Nel bosco puoi ripararti, l’animale ferito va nel bosco per curarsi e l’uomo nel dolore dovrebbe camminare nella natura. Come il lupo, il bosco non è pericoloso, è, ad esempio, il luogo dove trovi la legna per il fuoco». Sì, il fuoco. Per Willy Mulonia è vita e morte, è sicurezza, calore, ma anche rischio, pericolo fuori controllo, è rinascita e distruzione. Anche la forma delle fiamme che, dalla grande base, ballano, spingendosi verso l’alto, sembra quasi una divinità.

Willy, Tiziano e Roberto si ritrovano insieme e ognuno ha un suo compito, qualcosa che gli riesce naturale, che lo contraddistingue: Tiziano si occupa del meteo, Roberto della traccia e Willy si prende cura proprio del fuoco. Anche in estate, quando è nella natura, osserva le piante, la loro corteccia, il luogo ideale per costruire un giaciglio o per accendere una fiamma, con un cerino, come gli ha sempre detto un suo caro amico che oggi non c’è più: «Dai, fammi vedere se sai accendere un fuoco con un cerino». A questo scopo, sono quattro i kit che Mulonia ha portato: quei cerini sono sapientemente protetti dalle intemperie. Uno di questi kit lo tiene addosso, «nel caso in cui la bici dovesse finire in acqua. So dove li ho, non devo cercarli. Sono una sicurezza».

L’accensione del fuoco è un rito, la prima cosa che Willy Mulonia fa, dopo essersi ben coperto, per tenere al caldo il corpo e ascoltarlo raccontare ogni gesto a tal fine è come una storia: il momento dell’arrivo, la ricerca del posto migliore, la neve che viene spostata, la pulizia della base del pino, controllando che sopra non ci sia neve, fare un tetto, il taglio dei rami, l’isolamento del luogo dove ci si sdraierà la notte e i materassini pronti. «Non troppo lontano dal giaciglio, preparo un buco nella neve, una base con dei tronchetti di medio taglio, utilizzando una catena di una motosega con due maniglie al fondo, e sopra metto la corteccia delle betulle che inseguo ovunque con gli occhi, pensando a quanta potrei prenderne per il mio fuoco». Così, attraverso la legna accumulata dal taglio e dalla pulizia delle piante secche, si nutre il fuoco. Lì, ci si riunisce, un whisky a sera, qualche parola, poi si va a dormire e il fuoco, lentamente, si spegne durante la notte. Quel fuoco, in Alaska, è, per Willy, Tiziano e Roberto, focolare domestico dove si riunisce la famiglia. Quelle fiamme ipnotizzano, come l’acqua del mare, di un fiume o la vita di un bambino che è appena nato, il suo movimento.

Ora ha proprio smesso di nevicare, la cabin è lì, vicina, la giornata è finita: un cerino, una striscia per sfregarlo e il suo suono. La concentrazione dell’attimo in cui bisogna far partire la prima scintilla, il primo scoppio, perché non si può sbagliare: «Se pensi ad altro, non accenderai mai il fuoco. Se vuoi dar vita a una divinità, non puoi sentirti più importante di lei. Il fuoco ti salva, il fuoco ti distrugge. Tutto qui».
Sì, tutto qui, almeno per oggi. Il 26 febbraio è partita l’avventura di Iditarod Trail Invitational e da lì, per Willy, ci saranno ancora pagine di diario da riempire.