All’orario prefissato, quando le telefoniamo, Arianna Fidanza è in aeroporto dopo la caduta nei chilometri conclusivi di Le Samyn des Dames: sta per tornare a casa per accertamenti riguardo una possibile frattura del setto nasale.
«Te la senti? Possiamo rimandare, se vuoi».
«No, no, chiacchiero volentieri».
Partiamo. Vorremmo parlare subito di domenica, della sua azione alla Omloop van het Hageland, ma il pensiero va per forza di cose alle cadute: «Per fortuna, non so perché, ma quando sono in corsa non ci penso, altrimenti credo che le cadute, soprattutto negli ultimi anni, mi avrebbero bloccata a livello psicologico nelle volate. Quando pensi, perdi l’attimo. In ogni caso, a ventotto anni, nonostante si sia ancora giovani, non si sprinta come a diciotto: me ne sto rendendo conto». La giovinezza di Arianna Fidanza sta tutta in quel “mettersi in gioco” che ripete diverse volte durante il nostro dialogo.
«Vuol dire essere disposti a fare scelte “scomode”: la fuga di domenica, ad esempio. Vuol dire non sedersi nelle situazioni: il cambio di squadra. Forse sarebbe stato più facile rinnovare con BikeExchange, perché abbandonavo qualcosa che conoscevo per qualcosa di completamente nuovo. Vuol dire essere disposti a ricominciare “senza se e senza ma”. Vuol dire, soprattutto, cercare di vedere chiaramente quel che si vuole e non farsi spaventare dalla fatica aggiuntiva, in termini fisici e mentali, che serve per raggiungerlo. Non rinunciare». Già, la fuga di domenica. Fidanza non avrebbe nemmeno dovuto essere in gara, tuttavia un cambio di programma all’ultimo e gambe che stavano particolarmente bene, l’hanno portata a seguire l’azione di Allison Jackson. Una fuga a due, difficile, per cui ripartirebbe subito: a costo di spingere a tutta, come ha fatto e come bisogna fare in queste occasioni.
Ad un certo punto, lei e Jackson si parlano, Fidanza le mette una mano sulla spalla: «Vedevo che sugli strappi faticava. Sapevo che l’azione l’aveva promossa lei e ho voluto parlarle: “Stai tranquilla, non cerco di staccarti. Andiamo assieme all’arrivo, poi vediamo cosa succede”. Lei ha capito, mi ha ringraziato. Da qui la mano sulla sua spalla». La fuga è stata ripresa, «forse avrei potuto aspettare la volata, ma Wiebes è più veloce di me. Ho voluto prendere in mano la situazione, non subirla. A prescindere dal risultato». Ha aiutato anche l’ambiente, il Belgio: una nazione che ha conosciuto bene quando correva in Lotto Soudal e per cui prova un’istintiva affinità. Una terra in cui sogna di poter vincere una gara importante.
In tutto quello che è cambiato, qualcosa è rimasto e non era scontato. «Ho sempre avuto una forte sensibilità e, nonostante tutto, le difficoltà non l’hanno scalfita. Anche in corsa: provano a dirmi di “spendere di meno”, ma non ce la faccio. Sento di voler fare e, per come sono fatta, devo fare, altrimenti non sono a posto con me stessa». Quella stessa sensibilità che, dalla nascita della sorella Martina, l’ha portata a dirsi che avrebbe voluto proteggerla “dalla sofferenza che si prova”. Oggi, dice che in molti casi è stata proprio Martina a proteggere lei, ma l’intenzione è sempre la stessa: «Quando siamo in corsa, mi chiedo sempre: “Dov’è mia sorella?”. Ora corriamo in un’unica squadra, ma accadeva anche quando eravamo in squadre diverse. Se hai una sorella in gruppo, la cerchi. Hai preoccupazioni doppie, per ogni dettaglio, ma anche doppio sostegno. Negli ultimi anni, Martina ha vinto più di me, qualcuno mi ha chiesto se ci fosse gelosia, invidia. No, anzi, dirò di più. Lei ha uno spunto veloce migliore del mio: vorrei mettermi a sua disposizione per aiutarla a vincere».
Un legame forte, come quello con la famiglia. E, proprio con la famiglia, ha a che vedere, quella che definisce, la cosa più difficile del suo lavoro: partire quando a casa qualcosa non va. In quei momenti, vorrebbe scordarsi di essere una ciclista. Cosa di cui, racconta, non si scorda praticamente mai, perché non è un lavoro di cui ci si possa dimenticare, neppure per poco, nemmeno in vacanza, forse.
«Ho bisogno di staccare, di focalizzarmi su altro, e, per farlo, mi basta davvero poco, non cerco molto. Però penso sempre al fatto che il mio mestiere è il ciclismo. Questa estate, avrò fatto dieci giorni di vacanza, forse, eppure pensavo spesso: “Avrò perso la forma? Come dovrò fare per recuperarla?”. La mente mi riporta sempre lì».
Poche settimane fa, la vittoria a Costa De Almeria, parte di un percorso che le ha permesso di tornare ad alzare le braccia al cielo, perché proprio quest’anno, in Ceratizit, è avvenuto uno dei più grandi passi avanti che Arianna Fidanza si riconosce: «Mi sento cresciuta a livello atletico, soprattutto perché sono tornata a sentirmi nel vivo della corsa. Quello che volevo quando ho deciso di rimettermi in gioco».
L’aereo, il volo ed il ritorno a casa. Ma Fidanza, fra tutte le altre corse, aspetta soprattutto il Belgio perché in Belgio vuole fare realtà del suo sogno più grande.