Le corse ribaltate che ti portano a casa

In questo sport che va avanti a pedalate, per così dire, pensare come un finale possa rispondere per forza a delle regole già scritte appare molto spesso un'idea smentita dai fatti. Prendete i due vincitori delle gare di ieri, ma soprattutto i loro modi di vincere.

In Belgio, Scheldeprijs, o Gp de l'Escaut, insomma, il Gran Premio della Schelda, volessimo per forza di cose italianizzare tutto, c'è vento, freddo, poi persino pioggia nel finale. Non un metro di salita, ma è pur sempre Belgio. Media oraria altissima e quei benedetti (per lo spettacolo) ventagli che ormai stanno diventando momenti topici delle giornate di ogni appassionato di ciclismo.
Una fuga che va via dall'inizio con dentro nomi roventi dello sprint e che gli altri, dietro, non riusciranno più a riprendere. Per vincere si va per esclusione, perché dai diciassette che sono ne rimane solo uno. C'è chi cade (Thijssen), chi fora (Bol), chi salta per i crampi (Waerenskjold), chi (Bennett), dopo essere rimasto appeso per diversi chilometri, cede sull'ultimo settore in lastricato. Ha la lingua di fuori, corsa troppo dura anche per uno come lui che in queste zone, pur essendo irlandese, c'è cresciuto.

Rimane solo Alexander Kristoff, 35 anni a luglio, la fama del duro nel senso del fondista, che qui ha già vinto, ma in volata ovviamente. Uno che "più la corsa è lunga e impegnativa e più viene fuori"; velocista, non purissimo, ma a volte sì, uno che è stato disegnato apposta per correre nelle Fiandre e in particolare il Fiandre (che infatti ha vinto), grosso da far paura.
Kristoff parte da solo sul tratto ormai reso viscido dalla pioggia di Broekstraat, quando all'arrivo mancano sette chilometri. Parte e vince. Da solo. Per distacco. E fa già notizia così. Mentre dietro Alpecin si sacrifica per nulla (Merlier forse stava meglio di Philipsen), DSM resta di stucco con i suoi giovani, BORA in superiorità numerica si affida al regolarista van Poppel. E la Quick Step? È la Quick Step al nord di questo 2022: inconcludente, remissiva no, ma senza grandi gambe, né intuito, né capacità di incidere nella corsa.

Nei Paesi Baschi, invece, ciò che ci aspettavamo lo ribalta Pello Bilbao, su quelle che sono letteralmente le strade di casa sua. Bilbao, uno che pare debba il suo nome, Pello, alla passione della madre per il cantante del gruppo pop Wet Wet Wet. Bilbao, che se lo vedi vicino pare fatto di carta velina talmente è magro.
Velocino, sì, più che altro anche lui fondista, ma uno che in volata non vince, nemmeno una volata come quella di ieri di una dozzina di corridori. Uno che preferisce la cronometro, la salita, magari persino la discesa, guidatore a volte un po' folle.

Tappa nervosa, ieri, ai Paesi Baschi, salite, strappi duri e strade strette. Restano i migliori davanti, ci si prepara per uno sprint di un gruppetto. Evenepoel di nuovo in versione pesce pilota per Alaphilippe, sulla carta il più veloce e sembra di nuovo tutto messo giù, rotative comprese, con il titolo già scritto: "Alaphibis all'Itzulia!". E invece vince Bilbao. In volata. Su Alaphilippe.
Anche questo è il ciclismo. Il suo bello. Regole scritte cancellate. Mondo ribaltato, velocisti che vincono da soli e solisti che vincono in volata. Lo si ama anche per questo, così come Bilbao ha amato vincere a casa sua. Così come Kristoff non vede l'ora di staccare qualche giorno. «Ho attaccato nel finale perché avevo fretta di tornare a casa con l'aereo dopo due settimane in Belgio».


Arrivano le pietre: chi c'è c'è

«Non ci sarà Julian: questo è un gran peccato» racconta Kasper Asgreen, vincitore di Harelbeke e del Fiandre nel 2021, alla vigilia della Omloop Het Nieuwsblad. Il danese afferma di come il suo grande obiettivo sarà la Roubaix e quindi ci sarà tempo per parlarne.

E arrivano le pietre domani, così all'improvviso da non accorgersene; in Belgio il manto di erba e fango muta forma in asfalto e ciottolato. Dossi diventano muri, le bici prendono una forma ancora più aggressiva; il numero competitivo di nazioni in gara aumenta esponenzialmente anche se alla fine saranno loro, belgi soprattutto, ma anche olandesi, a voler prendere in mano il gioco che non è un gioco, rappresentati da due delle squadre più forti del circondario.

Non ci sarà Julian che sta per Alaphilippe: un annetto fa ci provò (quasi) letteralmente in ogni modo, ma rimbalzò - per modo di dire, è vero: non era il miglior Alaphilippe possibile. Indurì le gambe degli avversari spianando la strada per uno sprint di sessanta corridori che permise al compagno (di squadra, in quel senso) Davide Ballerini, brillante, veloce, talentuoso, di conquistare il successo più importante in carriera: nemmeno lui ci sarà domani ed è un gran peccato, ma è l'epoca del Covid e le starting list stanno diventando spesso un terno al lotto.

Non ci sarà Mathieu van der Poel, mamma mia quante volte ne stiamo parlando, sembra che lo mettiamo in mezzo più oggi che è assente che ieri quando era presente, ma che ci volete fare. Poi per il resto, più o meno tutti presenti, a dare spettacolo su quelle che potrebbero essere pietre polverose - previsto bel tempo e quasi calduccio, anche se molti, saremo comunque al nord, preferiranno correre con i pantaloni lunghi, considerando che diversi faranno il loro debutto dopo belle pedalate al tepore della Spagna.

Ci siamo persi, scusate: a dare spettacolo, dicevamo, più o meno tutto il resto del mondo a cui piace le pietre e capace di adattarsi in pieno a un percorso che porterà il gruppo da Gent a Ninove per 204 km. Non una passeggiata di salute di quella che faresti chiacchierando col tuo amico di gita fuori porta magnando un panino e aspirando a una buona birra fresca a fine giornata: 13 muri, nove tratti in pavè, finale che ricorda il vecchio Fiandre, quello che ai quasi quarantenni come me fa venire i brividi perché gli ricorda Bartoli: Muur più Bosberg accoppiata perfetta, e via verso il traguardo. Spazio per attaccare ce n'è, per fare la selezione ce n'è.

Squadre faro ne possiamo trovare due e appunto si torna a quel discorso Belgio vs Olanda, Quick Step contro Jumbo Visma; per diversi motivi la Quick Step (vedi l'assenza di Ballerini), potrebbe fare corsa pazza all'attacco - Štybar, Lampaert, lo stesso Asgreen, oppure Sénéchal che ama entrambe le opzioni: sia corsa dura che volata - insomma materiale ne hanno a sufficienza per sbizzarrirsi.

Curiosità per capire il nuovo corso Jumbo nelle classiche, anche se mancherà Laporte, assenza tutt'altro che da sottovalutare, ma con van Aert ci saranno Teunissen, Benoot e Van der Sande.

Favoriti tanti, outsider pure, sarà il primo assaggio del Nord e tanti elementi saranno da verificare, un nome su tutti: quello di van Aert chiaramente, mentre a noi, fra i vari, piacerebbe vedere davanti Colbrelli, anche lui all'esordio stagionale e quindi da misurare. Oppure Trentin e Covi, quest'ultimo ha dato prova di grande condizione.

Tuttavia che importa chi vince, arrivano le pietre, chi c'è c'è, non vedevamo l'ora: da qui a fine aprile ogni week end sapremo cosa fare: gustarci il meglio che il ciclismo delle corse di un giorno sa offrire, tra Belgio e Italia, con un paio di capatine in Francia e Olanda, e per distrarci un po' da tutto quello che succede.


La verità di van Aert, gli inganni del Nord

La Gand-Wevelgem è una corsa che tesse inganni. Sono poco più di ventotto i chilometri da Ypres a Wevelgem, il percorso, invece, si snoda in un budello attorcigliato che somiglia a una litania dolente. Scherpenberg, Vidaigneberg, Baneberg, Monteberg, Kemmelberg e si torna a ripetere ogni muro, senza logica e senza ordine.

Il vento oggi è un dinamitardo impazzito che imperversa da destra a sinistra, da sinistra a destra. I ventagli sono l'unica possibilità per non esserne respinti, assecondare la rabbia dell'aria, le sue sberle, per restare attaccato alla ruota che hai davanti e che sembra sempre più distante. Chi perde un metro non lo recupera più. Così il gruppo si disperde in tanti rivoli, ferito irrimediabilmente, smembrato.

Mancano ancora cento chilometri all'arrivo e davanti sono solo venti uomini a giocarsela senza ritegno. Tra di loro Wout van Aert, Matteo Trentin, Michael Matthews, Stephan Küng, Sam Bennett, Sonny Colbrelli e Giacomo Nizzolo. Procedono veloci, appaiati, quasi raggruppati, si scrutano, si controllano mentre la sabbia alzata dal vento sembra risucchiata dal cielo e le pietre stortano le bici e le bocche che in certi istanti sembrano deformarsi, il ghigno della fatica. Dietro gli inseguitori cadono nella ragnatela della menzogna del tempo, di quel minuto di distacco che sembra poco e invece è troppo: così Štybar prova a rientrare con Ballerini, così Van Avermaet e Arnaud Démare sgasano a vuoto, illudendosi ed illudendo.

Wout van Aert è un attore alla prova generale al secondo passaggio sul Kemmelberg. Chissà cosa avranno pensato quelli che gli erano a ruota, mentre il respiro faticava a salire. Chissà cosa avrà pensato Bennett ad ogni curva, ad ogni discesa, ad ogni strappo, mentre il suo stomaco sembrava ribaltarsi per gettare fuori qualcosa di indigesto. In certi momenti la verità non è ammessa, bisogna fingere e far credere agli altri che è meglio che ti temano perché in volata sei più veloce. Anche la paura può spezzare le gambe, in questo spera Sam Bennett.

Sarà un nuovo attacco di van Aert sul Kemmelberg a lacerare ogni finzione. Bennett resta in coda, perde dieci, quindici metri. La nausea si trasforma in conato di vomito, sembra una liberazione, nonostante il tremore e la debolezza. È questa la forza che gli permette di tornare in testa a tirare, come se niente fosse successo. Sta mentendo l'atleta Quick Step ma il corpo non lo inganni, le viscere sentono tutto. Sembra una Pietà quando si sfila, testa bassa, poi alta, poi di lato, sudore freddo e gambe ferme. A raccattare ossigeno chissà dove per non fermarsi e buttarsi a terra.

Ci si avvicina sempre più a Wevelgem. Van Aert parla con il compagno Van Hooydonck: a tutta, andatura alta per scongiurare attacchi. Chi prova, rimbalza. Lo sa bene Küng che è l'enigma dell'impotenza quando prova ad allungare all'ultimo chilometro come quando parte lungo, troppo lungo, ai quattrocentocinquanta metri dalla linea bianca del traguardo.

Non c'è più tempo per aspettare, le gambe scalpitano nervose. Van Aert lancia la volata a centro strada e non c'è più storia che tenga. Sembra tutto facile anche se facile non è, dopo duecentocinquanta chilometri. Nizzolo e Trentin partono dal fondo, quasi sollevano la bicicletta dai colpi che danno sui pedali, rimontano tutti, non lui che fa corsa a parte. Lui che ringrazierà il compagno di squadra, che dirà che è stata dura, durissima, perché, quando si è solo venti in gruppo, quel vento contrario devi affrontarlo a viso aperto a costo di sembrare incosciente. E poi quel «sono felice», che spesso non si ammette, che si ritiene scontato, ed invece oggi sì, come una liberazione dalla fatica. Perché la fatica rende tutto tremendamente vero, nel senso di onesto, spietato, anche crudele, se volete. Come una bicicletta, come un uomo.Foto: Vincent Kalut/PN/BettiniPhoto©2021