Contava far parlare la bici

Primož Roglič: far parlare i fatti. Che sarebbe vederlo in bici sempre composto, agile, gli occhi che, man mano si sale e aumenta la fatica, gli diventano sempre più piccoli tra le orbite e con una forma che definiremmo a mandorla.
Citiamo il palmarès dello sloveno nelle corse a tappe perché più concreto di un elenco del genere resta poco per aiutarci a capire di chi e cosa stiamo parlando: 3 Vuelta, 2 Paesi Baschi, 2 Romandia, 1 Parigi Nizza, 1 Tirreno, 1 Delfinato (quello vinto ieri), 1 Uae Tour, mettiamoci dentro anche 2 Slovenia, visto che è la corsa di casa sua.
I fatti sono che arrivava al (Criterium del) Delfinato con più di un punto interrogativo per un problema fisico, qualcosa tra muscolo e ginocchio, qualcosa che ci faceva dire: non è lo stesso Roglič delle ultime stagioni, ma se qualcuno avesse avuto dei dubbi, quei dubbi sono stati fugati.
Ciò che contava era far parlare la bici, la cadenza a tratti assurda di pedalata in salita, il controllo totale da parte della sua squadra in corsa. Nelle ultime due frazioni di un Delfinato francamente bruttino e niente di più che di preparazione al Tour, Roglič cercava risposte; le cercava dal suo fisico, le cercava da dare a se stesso, perché poi è questo che conta principalmente; risposte da dare alla sua squadra perché c'è quel diavolo di un danese che spinge forte.
Verso Vaujany, mentre Carlos Verona si involava verso la prima vittoria dopo una lunga carriera spesa a essere gregario (quasi) di lusso, o fugaiolo in appoggio ai capitani, Roglič attaccava (seppur tardi per lo spettacolo, ma tant'è); attaccava tanto quanto bastava per farci temere un'altra situazione Roglič-Mäder, attaccava tanto quanto bastava per farci capire. Attaccava per leggersi dentro: ci sono, avrà pensato. Non al meglio, ma ci sono. Sono in crescita e al Tour ci sarò come volevo esserci. E così via.
Ieri verso il Plateau de Solaison di nuovo Vinegaard e Roglič a completare una giornata super di una vecchia conoscenza come Kruijswijk che in pochi chilometri si conquistava un posto tra gli Jumbo-Visma per il Tour, e non è che sarà una cosa di poco conto esserci visti gli altri sette a completare la squadra, oltre appunto al buon vecchio e caro corridore che in Francia chiamano "Le Cintre", ovvero l'appendiabiti, la gruccia. Corridore che trasmette simpatia amplificata ripensando a quella caduta in maglia rosa al Giro di qualche anno fa, in mezzo alla neve.
Beh, dopo l'opera kruijswijkiana, andava via la coppia sloveno-danese, così diversi, ma che saranno uniti dall'obiettivo di provare a battere l'altro sloveno sulle strade del Tour. «Io ci credo, proverò a vincere il Tour. Se ripenso al Ventoux del 2021 quando staccai Pogačar... so che posso farcela» ha detto Jonas Vingegaard a fine tappa ieri, dove per un attimo, forse qualcosa in più, misurabile in diverse centinaia di metri verso il traguardo, è parso persino rallentare per non mettere in difficoltà Roglič. «Al Tour partiremo alla pari» ha aggiunto.
Una prova di forza della squadra che sarà uno dei temi fondamentali fra qualche settimana: «Per quello che abbiamo fatto vedere qui, meritiamo di essere la squadra favorita in Francia», ha aggiunto il vincitore della maglia gialla ieri. E forse grazie a questi due e alla Jumbo Visma la corsa potrebbe restare aperta. La corsa potrebbe essere bellissima.


Quel traguardo che sembrava non arrivare mai

Ce lo dicano che si sono inventati un giochino per rendere appassionanti le tappe da volata: procrastinare il tentativo di chiusura sui fuggitivi; fare finta di nulla fino a quando ci si accorge che quelli davanti possono arrivare davvero, e da lì iniziare ad accelerare mettendo magari davanti pezzi da novanta come Ganna e poi cercare di rientrare sul rettilineo finale.

Ce lo dicano perché così sappiamo di tenerci liberi anche quei pomeriggi da passare all'apparenza con il volto disteso, invece di stare qui a digrignare i denti con le pulsazioni a mille perché vorresti vedere arrivare la fuga, ma in realtà ti piacerebbe anche vedere lo sprint del gruppo. E tutto questo ti manda in confusione.

Va così (anche) oggi al Delfinato, ma sembra ormai la nuova routine: gruppetto in fuga, vantaggio che non cresce mai a dismisura, ma quando i chilometri alla fine diminuiscono il vantaggio è tale e quale a prima, anzi a un certo punto aumenta.

Alla fine si sono dovuti mettere giù a tirare pancia a terra Ineos - Ganna, De Plus e Kwiatkowski - e una mano pure dalla Jumbo con Kruijswijk finché ha potuto, e poi Benoot, per riprendere i quattro.

Prima di quel finale pirotecnico: van Aert che sembrava non partire più, lanciato da Laporte, ma poi parte lanciato per fermare Thomas (Tomà) a 100 metri dal traguardo come a dirgli "qui comando io", e quel traguardo che sembrava non arrivare mai fin quando alle sue spalle si è materializzato Meeus, colosso in maglia BORA, e allora all'improvviso la linea è apparsa sotto le ruote dei corridori.

E van Aert ha vinto. Fatto non banale visti i secondi posti di questi giorni, fatto che va ad aumentare una statistica ormai vanaertiana: circa 2 corse su 3 chiuse sul podio in questo 2022. 5 vittorie in 19 giorni di gara, e al Delfinato: 1°,6°,2°,2°,1°. Semplicemente roba da van Aert, in giallo limone con quel casco di un altro colore che lo fa sembrare quasi pittoresco.


Quel finale a suo modo iconico

Chissà che faccia avrà fatto Taco van der Hoorn, primo ieri alla Brussels Classic, vittoria ottenuta picchiando sulle spalle come fosse un vecchio batterista tutto muscoli, sudore e boccacce, quando gli hanno detto di essere diventato fonte d'ispirazione per i corridori in gruppo.
Oggi, nella seconda tappa del Critérium du Dauphiné, è arrivata la fuga e chi ha vinto ha dichiarato proprio di aver pensato a lui e a quel finale a suo modo iconico. Il gruppo ha dormicchiato e sbagliato i calcoli, forse per sopravvalutazione dei propri mezzi, vuoi perché in vena di regali (si dice spesso così, mah...), vuoi perché chi sta davanti all'aria ha la capacità di gestirsi e mezzi atletici importanti e spesso le differenze stanno nei dettagli. E spesso quei dettagli sono così impercettibili che la differenza tra inseguitori e inseguiti è minima. Ci sono altri motivi, ma non ci interessano.
Ci interessa che quei cinque sono arrivati e Alexis Vuillermoz, uno di quelli lì davanti, ha superato e battuto Le Gac che provava la sparata ad anticipare coloro che avevano anticipato il gruppo 150 km prima.
«Ero convinto che saremmo stati ripresi, e poi quando è scattato Le Gac pensavo di averla persa. E allora ho iniziato a pensare a quel corridore della Intermarché, in quella gara di ieri. Lui non si è mai arreso: perché avrei dovuto fare lo stesso io? È andata bene». Benissimo.