Di sloveni ubriachi, peli e sorrisi
IL SORRISO DI TADEJ
Pare che gli americani abbiano calcolato la grandezza di un asteroide passato nelle scorse ore vicino alla terra con la misura di sessantanove alligatori: chi siamo noi per non misurare la capacità di dominare una corsa in Pogačar?
Verrebbe da dire, anche: “questo ragazzo, Tadej Pogačar, è irreale”. Come definireste il suo impatto con il mondo del ciclismo? Da quando è cresciuto definitivamente in questo microcosmo sembra aver deciso di mettere per iscritto un regolamento tutto suo, ispirato a una civiltà in cui il cannibalismo era un rito, rappresentante quasi unico di un ciclismo dove si vince senza fare prigionieri e se possibile lo si fa con il sorriso stampato sul volto.
Prima era il ciuffo sbarazzino, poi la linguaccia sul traguardo de Il Lombardia rivolta a Mas o forse a se stesso e ai suoi tifosi, emblema di un modo di interpretare questo sport che di divertente sembrerebbe avere poco, in realtà, soprattutto nel momento in cui lo stai praticando; poi c'è stato quel momento durante la Parigi Nizza in cui, prima di stroncare Vingegaard e lasciarlo sul posto come un maleducato farebbe durante una passeggiata, in un sentiero, con una cartaccia, si volta verso la moto ripresa e sorride.
Ma più che irriverenza c’è consapevolezza; è l’affrontare la vita e il ciclismo così, come piace a noi, lui stacca o batte allo sprint - perché è notevole lo spunto veloce - gli avversari, e prova a farlo da febbraio a ottobre. Quest’anno non vuole mancare l’appuntamento caldo del Tour de France, con un successo finale, ma occhio anche a ciò che avverrà a breve perché dal 18 marzo al 23 aprile ci sono tre momenti segnati in grassetto, iniziando dalla Sanremo di domenica dove sarà costretto a gestire meglio, rispetto al 2022, la sua idea di fratricidio - e siccome è una spugna lo farà - mettendo però giù corsa dura, forse pure durissima dalla Cipressa e gestendo gli attacchi, i suoi attacchi, sul Poggio. Magari non quattro, cinque di fila, ma uno ben assestato in uno dei punti focali sui quali si pone l'attenzione di tutti nella celebre salita prima della picchiata verso Sanremo.
A qualcuno non piace il suo modo, oppure giudica insipido il suo rapporto con la stampa, un po’ freddo e banale, ma la gloria per Pogačar si raggiunge tagliando il traguardo per primo e basta: la vera novità per la nostra generazione di appassionati e osservatori è quella di trovarsi di fronte a un corridore che può vincere qualsiasi tipo di corsa, come accaduto poche volte in un passato ormai lontano.
Quello che importa non è quale storia abbia alle spalle, ma quale starà per scrivere: quando attaccherà e come; cosa si inventerà per vincere, in un momento storico nel quale la concorrenza è agguerrita su ogni percorso e varia, e dove lui è l'unica costante.
Pogačar non lascia nulla agli altri né al caso come nella penultima tappa di montagna alla Parigi-Nizza dove: «È stata dura, la prima vera giornata dura dell’anno ed è andata come previsto». Ovvero gol di Pogačar e palla al centro. Aveva bisogno di faticare e ha faticato e ha vinto. In quel modo leggero che conosce solo lui.
E siamo a quota 9 successi a marzo 2023 ovvero più della metà di tutto il 2021 (13) e di tutto il 2022 (16). Una crescita numerica inarrestabile.
ALTRO SULLA PARIGI-NIZZA
C’è Vingegaard che rimbalza, solo che ora fa più rumore perché ha acquisito un nuovo status: lui è quello che ha battuto lo sloveno al Tour, che fa il capitano della squadra più forte e temuta, lui è quello che appare proprio il contrario del suo rivale e per tanti aspetti ed è interessante che la faccenda vada così: che se la sbrighi ognuno a modo proprio.
Perché se Pogačar c’ha quel sorriso stampato in faccia che lo si ama o ti irrita, Vingegaard, invece, è quello che dopo il Tour, travolto dalla popolarità e dallo stress, deve staccare e scappare, fino a quasi scomparire. È quello che non si pone al momento altri grossi obbiettivi a parte la grande corsa a tappe francese, pur correndo molto, per carità non entriamo nel dibattito; è quello che in bici pare un elemento freddo e distaccato mentre a fine gara si scioglie e cerca conforto al telefono parlando con sua moglie non appena finisce una corsa. È quello che nella prima tappa di montagna di questa Parigi Nizza ci prova, attacca, getta la sfida, ma si riduce a dare lo spunto a un Pogačar che forse, se possibile, è ancora più forte dello scorso anno. Vingegaard è quello che in Spagna solo pochi giorni prima faceva il Pogačar (ecco l'unità di misura) ma poi si stacca in Francia. «Andavano troppo forte per me» dirà in riferimento all’ultimo arrivo in salita quando, facendo l’elastico dietro Pogačar e Gaudu, riuscirà a rientrare salvo poi staccarsi durante lo sprint finale. Per luglio c'è tempo, avete voglia...
E a proposito di luglio, status raggiunti e Tour de France: uno spettacolo vedere David Gaudu salito così tanto di livello da aver corso praticamente su quelli di Pogačar Un bel vedere per il simpatico scalatore francese che ora, da qui all'estate dovrà cercare di superare il tritacarne mediatico d'oltralpe che rimarcherà un fatto: “potrà un francese vincere il Tour tot anni dopo Hinault?”.
Volate, in breve: bene Pedersen che sembra avere ancora con un po’ più di margine di miglioramento rispetto al 2023 e sarà tra gli outsider più credibili nei prossimi quattro week end di corse che vedranno la bellezza di quattro grandi classiche del ciclismo imperdibili (18 marzo, Milano-Sanremo, 26 marzo, Gent-Wevelgem, 2 aprile, Fiandre, 9 aprile, Paris-Roubaix); bene Merlier che si conferma il più forte velocista al mondo in questo momento dopo un anno così così; benissimo Kooij ormai una realtà tra gli sprinter puri; tanto da imparare invece per De Lie e per il suo treno, un corridore con abilità innate nello sgomitare al Nord ancora molto poco a suo agio (lui e il suo treno) nelle volate di gruppo soprattutto quando c'è ancora parecchia freschezza in giro.
IL LEAD OUT DI VAN DER POEL
Parlare di volate di gruppo ci dà il giusto lancio per introdurre la Tirreno-Adriatico e prima di parlare di dominio sloveno anche qui, ecco un accenno a van der Poel che lancia perfettamente Jasper Philipsen nella tappa di Foligno dopo aver sbagliato tutto il giorno prima a Follonica facendo a pezzi chi gli stava a ruota e favorendo il lancio per Jakobsen.
Perfetto in terra umbra van der Poel: in un lead out che fa parlare perché arriva da uno dei corridori più amati dai tifosi e più forti del gruppo, perché lui sostanzialmente ha sempre fatto fatica in questo ruolo (e appunto il giorno prima…) ma come Pogačar, come tutti i fuoriclasse, ha un tratto distintivo che è la capacità di imparare subito dai propri errori e rimediare. E più o meno è simile ciò che accade nell’ultima tappa di San Benedetto del Tronto (a proposito, cari velocisti, massima stima per il vostro coraggio nell’affrontare arrivi di questo genere) anche qui pilota, con meno forza e meno precisione, ma è un bel vedere comunque, portando Philipsen e la sua squadra al successo numero due della stagione. Philipsen che batte Jakobsen per 2 a 1.
A proposito di Jakobsen: in questo inizio di stagione non sono mancate le vittorie, ma nemmeno i momenti in cui si vede che la paura prende il sopravvento. A San Benedetto del Tronto a un certo punto si rialza dalla ruota dei suoi compagni - invece loro perfetti nel portarsi davanti, ma appunto senza velocista al seguito. Normale dopo tutto quello che gli è successo, anzi per chi scrive resta come eccezione quello che è riuscito a fare negli anni dopo il grave incidente accorsogli al Giro di Polonia.
È stata una Tirreno Adriatico che ha vissuto sul vento contro e laterale che ha influenzato i finali di gara, soprattutto l’arrivo più importante, quello di Sassotetto; ha vissuto su un video che ha fatto il giro del mondo ciclistico e ci ha strappato un sorriso, soprattutto perché conseguenze non ce ne sono state, ma in realtà da ridere ci sarebbe poco nel vedere in diretta televisiva, mentre un corridore viene intervistato, un auto (dell’organizzazione?) che investe in pieno una bicicletta. Quel corridore, lo sapete tutti, è Ciccone, la bicicletta era la sua, e la reazione è un capolavoro di tempismo, tanto spontanea quanto empatica:c’è del genio nel salvataggio dello scattista abruzzese che riesce a censurare il finale di quella bestemmia entrando direttamente nella leggenda dei tormentoni di questo magnifico sport. Grazie Ciccone.
La Tirreno poi, ha vissuto momenti di dominio simili a quelli che avvenivano pochi chilometri più a nord ovest: uno sloveno su tutti anche qui, si tratta di Primož Roglič e anche qui di storie ce ne sarebbero da raccontare.
I PELI DI ROGLIČ
Non si può parlare sempre di contenuti tecnici, statistici, wattaggi, tattiche incomprensibili, corridori che dominano, giornalisti francesi che litigano su twitter, deve restare del tempo per Roglič che mostra fiero i peli delle gambe non depilati come ormai nemmeno più i ciclisti della domenica fanno (a parte chi scrive). Pare, si scoprirà dopo il primo dei tre successi di tappa consecutivi ottenuti nella corsa italiana, che lo sloveno della Jumbo Visma abbia fatto una scelta dettata dalla scaramanzia decidendo di non depilarsi fino al primo successo stagionale che è arrivato decisamente in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Roglič, infatti, sarebbe dovuto rientrare alla Volta Catalunya nei prossimi giorni, ma dopo essersi testato in allenamento aveva deciso di correre la Tirreno con i risultati che tutti abbiamo visto. Tre tappe, la classifica finale, quella a punti e quella dei GPM.
Un Roglič che si dimostra ancora una volta pressocché imbattibile su certi arrivi - certo, la concorrenza sin troppo sorniona ne ha favorito l'esito - soprattutto quando c’è da sprintare in un gruppetto dopo una salita: siamo convinti che così non basterà per vincere il Giro, ma potrebbe avere ancora margine per migliorare. Ancora Rogla, poi, protagonista nel dietro le quinte come si può vedere da questo siparietto e dall'occhio lucido.
Se quest’anno la corsa non ha lanciato troppi spunti dal punto di vista tecnico, ha lasciato i veri fuochi d’artificio per altri momenti, il contorno, tra bestemmie, peli e sloveni ubriachi dopo le premiazioni, ha raggiunto picchi incredibili.
E IN CHIAVE SANREMO?
Qualcuno si è nascosto o per meglio dire ha fatto dei lavori che torneranno utili più avanti: le sgasate di van der Poel in versione pesce pilota, le tirate di van Aert ad Osimo che hanno fatto arrabbiare pure Alaphilippe e ancora Ganna in alcuni finali di tappa, vanno in questo senso, mentre qualche dubbio resta sulla condizione di Bini Girmay, corridore che in Via Roma potrebbe arrivare a braccia alzate, ma che alla Tirreno non ha convinto fino in fondo - seppure un 3° e un 4° posto sono buoni risultati, ci mancherebbe. Probabilmente anche lui ha preferito nascondersi soprattutto negli arrivi più tortuosi, per poi farsi vedere solo nel momento giusto. Spesso nella Classicissima è quello che conta, a meno che non ti chiami Mohorič e vai in giro per il gruppo a canticchiare e a dire che in discesa stacchi tutti. Ma lo abbiamo detto: il ciclismo è pieno di gente forte, sì, ma anche meravigliosamente folle e geniale.
Foto in evidenza: ASO/Aurelien Vialatte
Quando scatta Ciccone
Qualche mattina fa, alla partenza di una tappa del Giro, Giulio Ciccone si è accostato all'ammiraglia di Roberto Reverberi, direttore sportivo della Bardiani-CSF-Faizanè. Ciccone è cresciuto ciclisticamente con lui, così Reverberi si è sentito di dargli un consiglio. «Gli ho detto che deve stare tranquillo, di non perdersi per la foga di far troppo. Bernal ha una squadra molto forte, credo che la Trek-Segafredo non debba prendere in mano le sorti del Giro d'Italia. Ciccone può attendere e provare ad approfittare di un momento difficile del colombiano».
Chi conosce bene l'abruzzese spiega, infatti, che potrebbe essere proprio l'istinto ad ingannarlo. Giulio Ciccone ha sempre ottenuto buoni risultati nelle corse a tappe a cui ha partecipato ed al Giro, dove è già riuscito a vincere due tappe, nel 2019 ha anche conquistato la speciale classifica degli scalatori, senza naufragare nella generale, sedicesimo nell'occasione. Non facile, in quanto per difendere quella maglia servono scatti a ripetizione per far punti in vetta alle salite, rischiando di rimanere a secco di energie. Ciccone, che per Reverberi può centrare il podio, non può correre in quel modo, affidandosi solo alla voglia di fare. Deve programmare.
Sappiamo che studiare la tattica è una delle sue passioni ed è ciò che ha sempre preferito del passaggio al professionismo, perché ogni corsa si attaglia ad una tattica diversa e mettere in campo la tattica giusta è ciò che fa di un corridore un buon corridore. Chi ci ha corso assieme racconta che è minuzioso nell'analisi di ogni dettaglio, anche per quanto riguarda la bicicletta. Lo sanno i suoi primi meccanici. «Capitava di discuterci perché in ogni occasione voleva rivedere tutto. Quando è tutto pronto, è inutile continuare a mettersi in discussione».
Qualche anno fa, diceva che avrebbe voluto assomigliare a Vincenzo Nibali per essere un corridore da corse a tappe. L'anno scorso, dopo la vittoria al Laigueglia e la dedica alla madre, una stagione sfortunata a causa del Covid-19, quest'anno è tornato al Giro ed i più lo davano al servizio di Nibali, mentre ora le cose potrebbero invertirsi. «Non è un male. Anche per questo dico- prosegue Reverberi- che la Trek non deve “fare” la corsa e mettersi in testa a tirare nelle tappe decisive. Se lo fa, induce pressione e di conseguenza lo porta a sbagliare. A Ciccone serve la mente libera».
Ma Ciccone è anche l'uomo dei contrasti. Come uno scalatore puro che sente il fascino delle classiche, la Liegi-Bastogne-Liegi la sua preferita, e si ispira a Purito Rodrìguez per inventiva e voglia di gettarsi all'attacco. Uomo dei contrasti come il suo profilo che emerge dalla foschia, dal freddo e dalla pioggia del Mortirolo in quella tappa del 2019, come un uomo solo al comando verso Sestola ed il gruppo che non lo recupera. Come Giulio Ciccone che domenica sullo sterrato è stato uno dei pochi a reagire all'attacco di Bernal ed è arrivato secondo. Ciccone che, nel primo giorno di riposo, sa che il Giro è appena cominciato.
Foto: Luigi Sestili