Benjamin Thomas col fuoco dentro e altre storie
L’Omnium di ieri sera racconta come a Benjamin Thomas, pur non essendo al massimo della forma, basti (non è poco) la genetica favorevole che si manifesta tramite un motore con pochi eguali in determinati sforzi prolungati in pista, e una capacità, anche quella rara concessione per non molti fortunati, di saper leggere le corse di gruppo.
Il massimo risultato con uno sforzo che visivamente è rappresentato dall’eleganza del gesto in pista, chino parallelo al tubo orizzontale della sua bici da corsa, fluido anche nella fatica, la maglia blu scura della nazionale francese e quelle inclinazioni sul parquet che viste da alcune angolazioni fanno sembrare il corridore come un adesivo appiccicato al terreno. Una crescita costante in tre delle quattro prove dell’omnium (scratch, tempo race, eliminazione, quest’ultima vinta più di testa che di gambe) fino alla battaglia finale, la corsa a punti, disputata a tutta per metà gara, giusto il tempo per mettersi al collo una medaglia d’oro e di vestire la maglia di campione europeo - e mentre la indossa durante la premiazione si gira da Consonni esclamando nel suo fluido italiano: “l’ho chiesta S” .
L’Omnium di ieri sera ha mostrato che quando Benjamin Thomas sta bene senza però avere una gamba dominante, se parte all'attacco ha il fuoco dentro: furbo quanto basta per per conquistare - e poi gestirsi - i giri necessari nella corsa a punti, fondamentali per chiudere la classifica finale con un lucchetto che nemmeno un Simone Consonni indemoniato riesce a scassinare.
Non c’è stato bisogno durante le prove dell'omnium di mettere in sottofondo musiche tratte dai film di Sergio Leone come invece accadeva nelle sfide - senza storia - della velocità maschile: Lavreysen sembra uscito da un film peplum e a quel punto la musica pareva fuori contesto; o nei 500 metri femminili conquistati da Emma Hinze. Dove arriva il quarto posto che sa di beffa per Miriam Vece, ma va così. L’armonica di C’era una Volta il West suonava in sottofondo alternandosi al fischio di Per un Pugno di Dollari. Scelte niente male rispetto ai Take That di Relight My Fire (your love is my only desire) dei giorni precedenti o ai tentativi di accompagnare le gare con le musiche di Hair.
Ma si diceva dell’omnium e dell’assenza di musica in sottofondo che avrebbe fatto benissimo da colonna sonora (non) originale a Simone Consonni ormai celebre per il baffo che gira per tutto il velodromo e lui lo insegue con una condizione di forma eccezionale: il miglior Simone Consonni di sempre che strizza l’occhio, chissà, a qualcosa di importante anche su strada. E volendo non è finita: tre medaglie conquistate su tre gare disputate. E oggi ci sarebbe pure la madison.
E mentre le passistone tedesche dell’inseguimento conquistavano oro e bronzo, e qui pure ci sarebbe una varietà di musiche da scegliere per fare da contorno, chiudeva la giornata la corsa a punti femminile: Anita Yvonne Stenberg, norvegese di Mallorca, fa letteralmente quello che vuole delle proprie avversarie conquistando il secondo titolo europeo in pochi mesi (nel 2022 vinse lo scratch). Il tutto mentre le altre un po’ stranite inizialmente curavano - esclusivamente - la ruota di Neah Evans. Pensavano - ingenuamente - fosse lei l’atleta da battere. Sarà stata la maglia iridata che indossava a far venire questi strani pensieri...
Oggi, invece, ahinoi, ultimo giorno per il ciclismo su pista, rassegna divertente, colorata, di quelle che vorresti non finissero. Oggi è un giorno per altre storie, altre colonne sonore, chissà magari altri baffi, anche se ci faremmo bastare sinceramente quelli di Consonni, o magari sarà di nuovo tempo di Thomas col fuoco dentro. I nomi gira e rigira in pista sono sempre quelli e anche per questo finisce poi che ti ci affezioni.
E che oro sia
La bocca era secca in partenza. L’acido lattico fischiava persino nelle orecchie mentre Jonathan Milan percorreva i quattromila metri dell’inseguimento individuale.
Quella fatica che si addensava nell’aria era lo sforzo di oggi, di questa mattina, di ieri, quando per restare appesi a quel tizio di nome Filippo Ganna bisogna sempre concedere qualcosa in più alla propria soglia dello sforzo. Era fatica residua di qualche giorno fa quando al Saudi Tour, su strada, sprigionava tutto quello che aveva dentro: potenza e talento.
La sfida di oggi, contro Daniel Bigham, non un nome a caso, ma uno che investe tempo e mezzi per migliorare questa disciplina, arrivava dopo un risultato in mattinata che pareva non il migliore possibile per il friulano, ma quanto bastava per decidere che alla fine sarebbe stato un testa a testa con il britannico.
Di nuovo Gran Bretagna contro Italia in una sfida che ormai è un dualismo e che sarà, soltanto a suon di quartetti, però, vista la scellerata idea di togliere l’inseguimento individuale dal programma olimpico, uno dei motivi più interessanti in ottica Parigi 2024 - ma a quello ci penseremo a tempo debito.
Oggi c’era in palio un titolo europeo, non poca roba. E per tre chilometri stavamo celebrando Bigham, provando a spingere Milan.
E quell’ultimo chilometro pareva arrivare troppo velocemente tanto da dire, bravo Daniel Bigham, ti meriti questo titolo. Bravo anche Jonathan Milan, tra strada e pista ti diverti e ci fai divertire, e se oggi non va, sarà per un’altra volta.
E che argento sia, inseguitore Jonny, sembrava così fino a quell’ultimo chilometro dove, una volta che la grafica riprendeva a funzionare, Milan macinava terreno, divorava quello spazio che lo divideva, sulla fotocellula, dal suo avversario. Una progressione, un finale forse ispirato a quel Filippo Ganna dal quale è diverso in tutto anche per caratteristiche eppure ci sono sin troppe cose che li accomunano.
E quell’ultimo chilometro è arrivato, esaltante (58’’117 il tempo, “mica male”), mentre quello totale si faceva migliore di quello dell’avversario con le gambe inasprite da uno sforzo disumano.
Bravo Milan, oro Milan, altro che argento. Anzi diciamolo meglio: bravissimo Milan. Ribadendo come questo per lui è soltanto l’inizio.
PS E ancora grazie a quell'uomo che si vede in foto di spalle, artefice di quello che stiamo vivendo in pista in questi anni.
Luci al velodromo
Sembrava avere gambe ovunque. Potrebbe iniziare in questo modo un racconto della corsa a punti di Simone Consonni, all'Europeo di Grenchen. E, sotto i baffi, i denti stretti per la fatica. Questa sarebbe, poi, la degna continuazione. Così iniziamo, così continuiamo perché Simone Consonni stasera sembrava davvero avere gambe ovunque, almeno da quando ha scatenato la sua rincorsa nello sparpaglio che turba, affascina, disorienta e confonde di questa specialità della pista. Un caos che meraviglia.
Scatta, insegue, conquista e riparte, già a poco meno di cento giri dal termine. I giri, sì, quelli che si guadagnano o si perdono, il paradosso è che anche chi li perde li ha lo stesso nelle gambe ed è una beffa, per l'acido lattico che brucia. Sotto quei baffi e quei denti stretti per la fatica, Simone Consonni, però, non perde nulla, anzi, guadagna in continuazione, sprint dopo sprint, giro dopo giro. La fatica brucia anche lui, ma sappiamo tutti di cos'è capace, di quanta tenacia, quasi una sfida a colpi di fioretto al dolore fisico. Alla fine restano in tre a giocarsi l'oro: con lui, lo spagnolo Torres Barcelo e il francese Grondin. Li mette letteralmente in fila: oro per Consonni, argento per Torres, bronzo per Grondin. Poi scherza, ride, finiscono appaiati, con le mani sulle spalle, dopo la sfida. Chissà cosa si dicono. Chissà se anche per loro, stasera, Consonni aveva gambe ovunque.
C'è l'amaro in bocca per Rachele Barbieri, sorpresa all'interno della pista nella prova dell'eliminazione. Uscita di scena troppo presto rispetto a ciò che ci si attendeva. C'è l'amaro in bocca dopo l'esultanza, dopo la gioia. Ma è ancora presto e si può aspettare altro. Quello che arriverà da lì ad un'ora.
Luci al velodromo e, poco dopo le venti e trenta, ci sono le finali dell'inseguimento a squadre. Sembra il loro destino quello dell'attesa lenta e inesorabile, è sempre così, è spesso così. E noi ci siamo anche questa volta. Puntuali, quasi un omaggio alla Svizzera, ai suoi orologi, quelli citati in un noto detto.
Italia-Gran Bretagna e ancora Italia-Gran Bretagna. Non è un errore, perché la finale femminile e quella maschile propongono esattamente la stessa sfida. Un diverso finale. Sarà argento per Vittoria Guazzini, Martina Fidanza, Elisa Balsamo e Martina Alzini: partono guadagnando, con addosso la maglia iridata, poi qualcosa accusano, la Gran Bretagna macina forte, anche quando si disunisce, anche quando, dal punto di vista tattico, qualcosa non va. Ci disuniamo anche noi verso la fine, non riusciamo a recuperare e siamo secondi. Ma va bene così, è un bel podio. Soprattutto c'è il percorso che, negli anni, ci riporta ancora lì ed è il percorso ad essere anche più bello.
Francesco Lamon, Jonathan Milan, Manlio Moro e Filippo Ganna: la formazione. Le biciclette dorate: il ricordo di un'estate olimpica. Via! La velocità è il loro talento, il loro sacrificio. Marco Villa indica i tempi, il gesto della mano è eloquente: va bene così, è perfetto. Ognuno con le proprie caratteristiche, le proprie sensazioni: il lancio di Lamon, il volto da bambino e la voglia smisurata di qualcosa di speciale di Milan, la commozione di Moro e la potenza di Ganna. Sì, lui che questo velodromo lo conosce alla perfezione, per averci girato un'ora, per aver stabilito qui il record dell'ora. Vorremmo indagarne i pensieri, invece ci fermiamo alla medaglia d'oro nella specialità. All'inno e ai pensieri che porta.
Luci al velodromo e buio fuori. Gli orologi dei velodromi di qualunque parte del mondo custodiscono il tempo ed il tempo questa sera ha lasciato qualcosa per cui essere contenti.
Grenchen 2023, giorno 1: un recap
Prima giornata dell’Europeo su pista in poche (?) parole. Manifestazione in cui maglie e medaglie hanno il giusto valore: si lavora principalmente per crescere (e in alcuni casi qualificarsi) in vista di Parigi 2024. Si è tornati nel luogo in cui Ganna, ma anche Bigham poco prima di lui... sapete già cosa. E in mattinata hanno guidato le proprie nazionali nelle qualificazioni dell’inseguimento a squadre.
Disciplina olimpica e dunque di una certa importanza. Italia al completo, segna il miglior tempo e per il resto poche sorprese. Chi scrive sperava in un ulteriore salto di qualità del giovane Belgio, ma per il momento una solida Germania non si fa da parte. Questione Giochi Olimpici abbastanza circoscritta alle squadre note: Italia, Gran Bretagna, Danimarca, Germania, Francia alle quali si aggiungeranno Australia e Nuova Zelanda e probabilmente una tra USA e Canada), ma se ne parlerà più avanti, intanto stasera si lotta per andare a caccia di una medaglia, sia tra i ragazzi che tra le ragazze.
Balsamo, Fidanza, Guazzini e Paternoster, seconde, sono un po’ lontane dalla Gran Bretagna, ma stasera sfideranno la Francia per l’accesso alla finale valevole per l’oro. Bisognava rompere il ghiaccio e perlopiù è un’altra tappa di un lavoro che porterà verso Parigi.
La gara che apre e chiude la giornata è quella della velocità a squadre: specialità olimpica. Gli omaccioni olandesi fanno paura e senza paura stracciano la concorrenza con quella solita superiorità imbarazzante per gli altri che riescono a mettere in pista. Muscoli che sembrano brillare riflessi sui 730 metri cubi del legno lamellare della pista svizzera. I ragazzi italiani invece crescono, crescono, crescono, sono meno in carne rispetto a gran parte della concorrenza, ma una bellezza da vedere. Due volte migliorano il record italiano, Tognoli, Bianchi e Predomo, con un’età media da quinta liceo o poco più (19 anni) chiudono sesti mostrando evidenti miglioramenti nella velocità su pista: per loro Parigi rischia di essere (per usare un eufemismo) un divieto sacrale, ma non si vive di solo Parigi e la loro contagiosa giovinezza li porterà in alto, a patto chiaramente di continuare a investire e puntare sul movimento della velocità.
Diverso il discorso tra le ragazze dove invece si fatica maggiormente, mentre la gara vede la solita solida Germania - Friedrich, Grabosch, Hinze - superare in finale la Gran Bretagna.
Non c’è pausa per il ciclismo, per noi che lo amiamo che passiamo da un evento all’altro, che sia strada, cross o pista, per loro che pedalano e così ti ritrovi ancora e ancora gare una dopo l’altra. Prima di concludere le due prove di velocità, infatti, ieri sono andate in scena anche gare molto attese per l’Italia perché vedevano al via Fidanza e Viviani, nello scratch e nell’eliminazione, entrambi accomunati dalla maglia iridata che li rendeva con tratti quasi sfarzosi in mezzo al gruppo, ma meno riconoscibili del solito con una mise diversa da quella azzurra. Ebbene: la condizione, evidentemente, in due specialità non olimpiche ma nelle quali i due sono di casa, deve ancora arrivare e non c’è nulla di male. Fidanza chiude quinta in una gara in cui, a differenza di qualche mese fa, Mondiale a Saint-Quentin-en-Yvelines, si attacca dalla media, breve distanza, e da uno di questi attacchi se ne esce fuori Maria Martins che dopo aver inseguito una vita la medaglia d’oro su pista, dopo tanti piazzamenti vince, esultando alla fine come Ronaldo. E i portoghesi stanno bene bene in questo periodo a due ruote: l’eliminazione - che vede Viviani eliminato, appunto, precocemente, chiuderà quinto, la vince un giovane di grande talento (da seguire anche su strada) e figlio d’arte, il tedesco Tim Torn Teutenberg, per tutti, o quasi TTT, con quella che fino al momento è l'azione più interessante e da ricordare della manifestazione. Vince davanti a uno dei gemelli Oliveira, ancora Portogallo. E fra qualche ora si ricomincia.