Aveva indosso la Maglia Rosa

Non riusciva nemmeno a scendere dalla bici. Chi era lì in zona ha raccontato di averlo sentito urlare e pareva più dal dolore che dalla gioia. Forse un crampo, una contrattura, qualcosa che sarebbe poi passato qualche ora dopo. Dopo aver capito anche che razza di impresa si era inventato.
Dolore in tutto il corpo; quello che ti rende anchilosato e come un tutt'uno con la tua bici che hai portato a spasso, si fa per dire, per oltre cinque ore e per quasi cinquemila metri di dislivello. Come se in quelle cinque ore ti fossero passati sopra con un treno o avessi preso una malattia che non ti dà tregua.
Non ci credeva, all'arrivo, nonostante un modo di esultare che inizialmente hanno scambiato per presunzione, poi per fatica, quando semplicemente gli è uscito dalle braccia quel poco che gli era rimasto e aveva pensato di fare una specie di inchino.
Aveva indosso la maglia rosa conquistata poche ore prima grazie a un'azione in contrattacco, quella che ormai abbiamo imparato a conoscere dopo aver visto i primi successi in carriera. Che non sono mai stati banali.
Una Liegi Bastogne Liegi, ad esempio, quella in versione Under 23, si capisce, perché stiamo parlando di Leo Hayter, fratello minore di Ethan Hayter, nome già decisamente più evocativo alle orecchie di chi segue il ciclismo; Leo Hayter è invece il protagonista di questa storia; Leo Hayter che di anni ne deve ancora compiere ventuno e che nel giro di due giorni ha cambiato i connotati al Giro d'Italia dedicato ai ragazzi della sua categoria, ha ribaltato le gerarchie che vedevano in testa - sulla carta - i francesi Grégoire e Martinez; ha modificato il modo di narrare e raccontare di chi prova a mettere per iscritto le sensazioni di una gara come quella di ieri senza scivolare in facili entusiasmi ed esclamazioni tipo: "Incredibile!" oppure "mai vista una roba del genere"!".
Perché così è andata quando Hayter, dopo aver tenuto il ritmo di van Eetvelt sul Guspessa, coperto alla sua ruota insieme a Grégoire e inseguendo Lenny Martinez che pareva volare verso la vittoria di tappa e probabilmente l'ipoteca sulla classifica finale del Giro, insomma così è andata: Hayter, dopo il Guspessa, versante terribile che porta in cima al Mortirolo, verso la fine della discesa prima dell'ultima ascesa, ha lasciato la compagnia degli altrettanto giovani avversari, per inseguire Martinez. Gli ha recuperato i circa 2'30'' che aveva in cima e gliene ha rifilati altri 5'50'' in poco meno di 40 km che porteranno al traguardo, andando a vincere a Santa Caterina Valfurva in una maniera che ha pochi precedenti.
L'altro ieri, dopo aver vinto la tappa con arrivo a Pinzolo scriveva sui suoi canali social, in italiano, "Una bella giornata in Italia". Ieri, quando è arrivato, racconta la cronaca di Carlo Malvestio, inviato di Tuttobici, Leo Hayter ha esclamato qualcosa che si potrebbe riassumere in "P***a t****a, non ci posso credere" quando gli hanno detto che distacco aveva preso il secondo (Grégoire, 4'55'').
"P***a t****a, non ci posso credere" , davvero, espressione che accomuna chiunque abbia seguito una delle azioni più - qui aggiungete voi il termine - mai viste nel ciclismo giovanile.


La felicità diversa dei fratelli Hayter

Al Tour of Norway, qualcosa è scattato nella mente di Leo Hayter. Classe 2001, team Dsm, fratello minore di Ethan, giovane talentuoso di casa Ineos Granadiers, Leo ha a lungo patito, silenziosamente, la scelta di mollare tutto per dedicarsi allo sport, come se nella vita non ci fosse nient'altro. Un lungo processo di accettazione, per ritrovare la felicità di pedalare. Il 21 agosto, l’ha scritto su suo account Twitter: «La giornata di oggi mi ha ricordato perché lo faccio. Finalmente ho avuto la sensazione di gareggiare e non solo di essere un’appendice della corsa. È la prima volta che mi succede dal 2019».

Ethan e Leo hanno condiviso ogni cosa sin da ragazzini. Fin da quel pomeriggio in cui i genitori li accompagnarono a un centro estivo nei pressi di un Velodromo: una scelta casuale per permettere ai ragazzi di divertirsi e tornare al lavoro. Ethan aveva già la fisionomia di un ciclista, Leo no e, a dire il vero, nemmeno gli interessava. Racconterà anni dopo che, fino a quel momento, tutti i pomeriggi della sua infanzia li trascorreva sul divano, mangiando e giocando alla play station. Non aveva il fisico da ciclista, tanto meno la mentalità. Avrebbe solo voluto essere un ragazzo qualunque.

Una scelta non scelta che dopo qualche anno inizia a portare i primi risultati. Leo Hayter vince la prima corsa da junior, ad Assen, e subito pensa ad un colpo di fortuna. «Ho sempre creduto che, se non fossi arrivato da solo, non avrei mai vinto nulla. Sarebbe stato un gioco da ragazzi per chiunque battermi» spiega a The British Continental. È lui il primo a non credere nelle proprie possibilità, forse perché non ha la grinta che serve per primeggiare, forse perché le persone al suo fianco non ci credono. Nella British Cycling Junior Academy, fino a quel momento, per tutti, è “il fratello minore di Ethan”. Quest’etichetta pare non infastidirlo e lui stesso ammette che Ethan ha capacità superiori alle sue, ma le scelte di vita, spesso più delle parole, rivelano davvero ciò che sentiamo.

Tutto inizia da un volo per partecipare a un training camp con il Team Sunweb: Leo mangia qualcosa e subito dopo inizia a stare male. Ciò che sembrava non interessargli diventa importante: vuole dimostrare di valere e non dice nulla di quel malessere. Fa due giorni di prova mangiando solo pane scondito e si sente in forma, in salita pedala come non mai. Scelta scellerata: nel suo fisico c'è qualcosa che non va, solo qualche settimana dopo, in un allenamento, cadrà a terra completamente svuotato.

Per guarire serve tempo, ma quei giorni hanno cambiato qualcosa in Leo. Ha la certezza di volere qualcosa in più e sa che nell'Accademia britannica sarà condannato a restare “il fratello minore di Ethan”. Sa di non avere il fisico ideale per lavorare in pista e dice ai genitori di voler passare nel team Dsm. Difficile convincerli, come se quel figlio fosse sempre troppo giovane per decidere in autonomia, come se la sua strada dovesse essere per forza quella di Ethan, come se il suo fosse un destino già scritto. Ma per la prima volta Leo Hayter sceglie la strada che davvero desidera e improvvisamente non è più solo “il fratello minore di Ethan”.

Non è mai stato facile e mai lo sarà, anche se la Coppi e Bartali corsa assieme dai due fratelli ha risvegliato l'entusiasmo del pubblico e degli addetti ai lavori, come le storie a lieto fine. Quella di Leo e Ethan Hayter non è una storia a lieto fine perché, forse, le storie a lieto fine come tutti le immaginiamo nemmeno esistono. Nemmeno quando Ethan vince il Tour of Norway e Leo ritrova se stesso. La storia dei fratelli Hayter è la storia di chi ha capito che non bisogna credere a chi cerca di convincerci che se non siamo i primi non valiamo nulla. Non è vero per lo sport e, soprattutto, non è vero per la vita. Non hanno senso i paragoni o i confronti perché siamo completamente diversi, anche da un fratello, e nessuno può cambiare questa realtà. Ma la felicità se ne frega dei confronti e arriva lo stesso. Chiedetelo a Leo Hayter.

Foto: Bettini