Christina Birch: lo spazio è pieno di misteri

Lui ha dei baffoni che sono stati già raccontati, e dei quali ancora parleremo. Lei è longilinea, i capelli lunghi, il mascellone a stelle e strisce, gli occhi solcati da qualche ruga e quel sorriso bianco che pare uscito da una pubblicità di un dentifricio. Lui va forte in pista, lei pure, ma non solo. Lui insegue su pista, lei anche, ma non solo. Lui ha una storia particolarmente Alvento, lei persino di più, perché sembra poter andare sulla luna o qualcosa del genere. Che non è mica roba di tutti i giorni per una persona normale, figuriamoci per una che di mestiere fa (anche) la ciclista. Lui è Ashton Lambie, forse si era già capito dai primi indizi, lei è Christina Birch, compagni nella vita: da qualche settimana la loro esistenza è stata ribaltata.
Bici che corrono, baffi che paiono costruiti, odore di parquet se esiste un odore di parquet, eco che rimbomba nel palazzetto, scegliere la moltiplica, no quella mi spezza le gambe, quella sì mi fa prendere il giusto ritmo.
Fiato spezzato, vittorie. Grasso-catene. Sguardo verso il cielo, trionfo. A breve sguardo verso le stelle. Siamo nulla al confronto di ciò che vediamo lì in alto che è solo una minima parte.
Gravel, c'è di mezzo pure quello: Gravelnauts, fondato proprio dalla coppia Lambie-Birch, ovvero come scoprire il territorio girando in bicicletta. Facendone qualcosa di interessante anche da raccontare come quella volta in cui Birch ha percorso la rotta di ritorno dei due famosi esploratori americani Lewis e Clarke.
Nome profetico, Gravelnauts. Lei riceve una telefonata, lui è dall'altra parte del mondo tra una prova e l'altra dell'inseguimento mondiale. Lei dice sì chiama subito lui. «Mi hanno preso alla NASA, diventerò un'astronauta», la voce al telefono che si trasmette da una costa all'altra dell'oceano.
E va così per Christina Birch, 35 anni, 11 titoli nazionali in pista, un passato nel ciclocross e un amore per il gravel. Laureata con dottorato di ricerca in ingegneria biologica al MIT, poi a ottobre – ma solo qualche giorno fa c'è stata l'ufficialità data dalla NASA stessa – la notizia. Si va nello spazio – o meglio, un passo alla volta prima c'è il campo di addestramento. La politica dei piccoli passi è un mantra per chi fa della bicicletta un vizio o un lavoro.
«Era il 22 ottobre – racconta Lambie, che da quello che si intuisce pare raggiante come se dovesse andare lui nello spazio – tra un round e l'altro dell'inseguimento durante i mondiali su pista stavo seduto nella mia stanza d'albergo a mangiare una baguette. Dall'altra parte del mondo Christina ha ricevuto una telefonata: gli chiedevano se sarebbe voluta diventare un'astronauta della NASA! Mi ha chiamato subito per condividere: eravamo entrambi senza parole. Come puoi pensare a un campionato del mondo mentre la tua compagna sta per andare nello spazio?».
È stato il giorno più importante della loro “piccola famiglia”, racconta sempre Lambie. Si sono trasferiti a Houston in gran segreto e non è stato facile farlo fino all'annuncio ufficiale. Ma «adesso non vediamo l'ora di condividere tutto quello che sta succedendo».
Birch conquista un dei dieci posti all'interno di una selezione di oltre 12.000 candidati, si mostra raggiante in foto di fronte a uno space shuttle, che forse raggiante non è nemmeno la parola giusta.
Apre una strada: dal ciclismo alla luna, noi che pensavamo che fossero fenomenali quelli che vincevano sul Mont Ventoux e poi nel ciclocross, oppure quelli capaci di imprese come la Roubaix o una fuga di centinaia di chilometri resistendo al gruppo che ti bracca. E invece ci spingiamo più in là, con lo sguardo e il sorrisone spalancato lassù nell'immensità del cielo. Galaxy Express.


La crescita e l'orgoglio

La giornata era iniziata con una mezza delusione perché, diciamocelo, ci aspettavamo Filippo Ganna in finale per l'inseguimento individuale. Magari in una finale tutta italiana con Jonathan Milan, ve la immaginate? Ma, alla fine cosa puoi dire a Ganna? Qualcosa si può dire: non toccategli l'orgoglio per quella finale mancata, perché si inventerà qualcosa di assurdo. E assurdo, parlando di Ganna, significa incredibile, bello. Basta guardare la prestazione che ha tirato fuori nella finale per il bronzo. Ha raggiunto Claudio Imhof, ha vinto e avrebbe tirato dritto per ribadire che stamattina è stato un errore ma lui, su quei tempi, non si batte. È stato fermato dalla giuria, mentre i compagni al centro della pista invitavano il pubblico alla standing ovation, altrimenti chissà che tempo avrebbe realizzato. Non ufficiale certo, ma è una gran bella risposta. Della classe nemmeno parliamo perché sarebbe scontato.
Erano in attesa Ashton Lambie e Jonathan Milan. Trenta anni contro ventuno, Usa contro Italia, Nebraska contro Friuli Venezia Giulia. I baffoni americani contro i 194 centimetri del ragazzo di Buja. Quei baffi che sembrano uno scherzo all'aerodinamica, quei centimetri che sembrano inconciliabili con l'armonia che Milan mostra su quella sella mentre spinge sul parquet.
I tempi parlavano chiaro: Lambie era favorito. Ex meccanico di biciclette, l'americano, che a forza di averle fra le mani si è deciso a provarle. Era partito con la gravel, poi ha provato la pista. Dalla polvere al velluto del velodromo, lisciato dopo ogni impatto che potrebbe rovinarne la superficie. Si prende la scala per lisciare il legno, perché l'inclinazione è tanta, perché a piedi non sali.
Milan è lì. Ieri ha lanciato il quartetto, oggi si è lanciato, forse anche troppo veloce nelle fasi iniziali. Villa glielo ha detto subito. È rimasto lì, perdeva qualche centesimo ma non naufragava, denti stretti, saldo in sella. Si è scomposto solo nel finale, quando ormai Lambie era lanciato verso l'oro. Si potrebbe dire che ha perso l'oro, vogliamo dire che ha vinto l'argento. Non era facile. Non era facile perché c'era Lambie, non era facile nemmeno a livello psicologico essersi guadagnati quel posto, sostenere la tensione di quella finale in cui tutti aspettavano Ganna. Alla fine, però, è così che si cresce: affrontando ciò che sembra più grande di te e che momentaneamente, magari, lo è anche. Lanciandosi nel velodromo e portando a casa l'argento mondiale.
Ashton Lambie sorride sotto i baffi, si avvolge nella bandiera americana. Ad agosto, in altura, aveva frantumato il record sui quattro chilometri, scendendo sotto il muro dei quattro minuti. C'è qualcosa in sospeso con Ganna, una sfida lanciata. Come, dopo oggi, c'è qualcosa in sospeso con Milan e chissà che nei prossimi anni la sfida non si ripeta e sia Milan a spuntarla. C'è la fantasia di una finale italiana e che bello sarebbe. Ci sono un argento e un bronzo in più nel medagliere ma non finisce qui. Nei velodromi, ogni sfida è un preambolo di altro che verrà, una motivazione, un pungolo di quelli per costruire qualcosa di migliore. E se le premesse sono queste...


Baffi, record, sterrati, ovvero Ashton Lambie

Dietro i baffoni a manubrio che gli danno un tono stile inizio '900, si nasconde la storia di uno dei più incredibili personaggi del ciclismo mondiale: Ashton Lambie. Prima di iniziare a sfidare Filippo Ganna su pista, correva nella scena gravel – e in realtà lo fa ancora.
«Il momento più duro della mia vita?» racconta in un'intervista a Bicycling.com «la Dirty Kanza del 2016». Solo, con il deragliatore rotto, distrutto dal caldo, arrivò a un passo dal ritiro. Concluse la corsa al sesto posto dopo aver telefonato alla moglie che lo convinse a non mollare.
Insieme alla moglie, insegnante di musica, vive in una fattoria nell'Arkansas; ha un dottorato in musica, suona il pianoforte e la fisarmonica, mette mano ai motori di auto e camion, ha una piccola segheria dove crea mobili e oggetti di ogni genere. A casa sua girano per le stanze due conigli d'angora: si chiamano Jacques e Marie.
Gravel, velodromi ma anche grass track. «La prima volta che ha visto una pista d'erba, ha preso in prestito una bici e ha stracciato tutti», raccontano, come fosse una leggenda, una storia di quel Tolkien che lui ama alla follia, tanto da ascoltare continuamente l'audiolibro del Signore degli Anelli nei suoi interminabili viaggi in bici.
Nel 2019 si è spezzato il suo sogno olimpico. Inizialmente non sapeva nemmeno cosa fosse il sogno olimpico. Ma gara dopo gara cresceva l'affiatamento e la voglia di trascinare il Team Usa dell'inseguimento verso Tokyo. Perso l'ultimo posto disponibile, superati dal quartetto svizzero, il giorno dopo quella gara di coppa del mondo in Scozia, Lambie prese la bici e organizzò un giro da Glasgow a Edimburgo.
Ma non è solo estro o racconto a metà tra realtà e finzione, Lambie è anche forza: un giorno in una gara a eliminazione su pista scattò al primo giro e doppiò tutti. Ha sfidato, perdendo, Filippo Ganna; ha fatto segnare il record del mondo dell'inseguimento, venendo poi superato nuovamente dall'italiano. La voglia di inseguirsi e acchiapparsi si evolve anche a distanza. Ha lanciato un programma di bike sharing, chiamato Bronco Bikes, e nel 2015 ha percorso, in Kansas, 400 miglia in 23 ore e 53 minuti.
Pochi giorni fa sui social ha svelato la sua nuova sfida: «Il 6 maggio 1954, Roger Bannister ha corso il miglio in meno di 4 minuti. Un'impresa che molti pensavano impossibile per decenni prima del suo tentativo. Ha resettato l'asticella nel mondo della corsa a piedi. Il 18 agosto 2021 cercherò di rompere la stessa barriera nel ciclismo su pista percorrendo 4 chilometri in meno di 4 minuti. Negli ultimi anni abbiamo costantemente abbassato il record mondiale di inseguimento, rendendo la barriera dei 4 minuti non un sogno, ma un fatto inevitabile». Un sognatore concreto si nasconde dietro quei baffi e gli intensi occhi azzurri. Lambie, carismatico pedalatore d'eccellenza a caccia di imprese.