Pello Bilbao vuole migliorare ancora

In un momento in cui il mondo del ciclismo professionistico va a caccia di talenti sempre più giovani, sempre più giovani, sempre più giovani, giù giù, facendo scouting tra gli allievi, e dove ci si domanda quanto potranno durare le carriere di corridori che in maniera sempre più precoce si affacciano ai vertici (tendenza attuale, ma non una novità assoluta), da sottolineare le parole di Pello Bilbao rilasciate giorni fa a un quotidiano spagnolo.
Il corridore basco di Guernica, classe 1990, febbraio 1990, e che dunque entrerà nel momento caldo della stagione quando avrà già compiuto 33 anni, appartiene ancora a quella categoria di corridori che, usciti con calma, cresciuti anno dopo anno, sentono di avere ancora diverse stagioni davanti, ma soprattutto afferma: «Questa è stata la mia migliore annata è vero, ma il bello per me deve ancora arrivare».
Tre vittorie in un 2022 corso col solito piglio in discesa, la sempre solida resistenza in salita, lo spunto veloce, l’usuale regolarità su ogni terreno e con doti di fondo, il magrissimo corridore della Bahrain in stagione si è permesso il lusso di battere persino Alaphilippe allo sprint. Vero, non il miglior Alaphilippe mai visto, ma pur sempre un corridore che dell’esplosività ha fatto una delle sue armi migliori - e soprattutto che arrivava da un successo solo ventiquattro ore prima. «Ai Paesi Baschi ho provato a vincere in tutti i modi quel giorno: prima in discesa, poi attaccando ai meno quattro, poi ai meno due, poi allo sprint». Ha detto che la foto di quello sprint la metterà dentro a una cornice: «una di quelle vittorie che ti segnano». Dietro lui Alaphilippe, Vlasov, Gaudu, Mas, Roglič, Vingegaard, Uran, Evenepoel. La crema al via.
Per Bilbao i cambiamenti più significativi rispetto ai primi anni in cui correva arrivano da un modo diverso di interpretare ogni corsa in quanto «Prima si cercava un picco di forma specifico durante l’anno, ora devi andare sempre forte, da febbraio a ottobre. Sotto questo aspetto trovo similitudini con il calcio, uno sport dove devi essere costantemente ai massimi livelli per tutta la stagione» e a un modo di preparati differente «ci metti molta più qualità negli allenamenti sin da subito e già tra gennaio e febbraio devi essere in forma ma capace di dosare ogni sforzo».
Sostiene, Bilbao, quanto questo tipo di approccio possa essere sfiancante per qualcuno, ma come nel suo caso sia uno stimolo ulteriore: «Non riesco a pormi nessun obiettivo specifico durante l’anno: io voglio andare forte sempre».
E infatti lo puoi trovare davanti nelle brevi corse a tappe di inizio stagione: terzo all’UAE Tour, nei dieci alla Tirreno-Adriatico, quinto ai Paesi Baschi, quarto al Tour of The Alps vincendo anche lì una tappa, regolando anche lì un francese, Bardet, nella volata del gruppetto dei migliori. Oppure nelle grandi corse a tappe: al Giro è quinto, un Giro fatto di regolarità senza picchi - come ha spiegato - e con le già citate doti di regolarità e di fondo e con quelle battute che girano tra tifosi e addetti ai lavori: «Corridore da quarta settimana».
Fino a vederlo competitivo nella seconda metà di stagione, 3° al Giro di Polonia, 2° al Giro di Germania (dove arriva, sempre in uno sprint ristretto, la sua terza vittoria in stagione), in zona decimo posto nelle ultime due corse disputate, stavolta di un giorno, Grand Prix Quebec e Grand Prix Montreal. Chiudendo 17° il ranking UCI, 8° quello di Procyclingstats, 13° quello di First Cycling. Senza dimenticare quanto sia fondamentale il suo aiuto ai compagni di squadra. Landa, spesso, ma anche Caruso al Giro del 2021, ne sanno qualcosa.
Non è un caso che nel suo 2023 abbia messo nel mirino corse differenti a confermare il suo status di corridore ai vertici e il suo modo di intendere la stagione a tutta dall’inizio alla fine: «Punto a partire forte già al Tour Down Under, alla Strade Bianche e al Giro dei Paesi Baschi con obiettivo di essere competitivo anche sulle Ardenne». Senza dimenticare che quest’anno il Tour partirà praticamente da casa sua e anzi, non appare un dettaglio di poco conto che la città di partenza si chiami esattamente come lui (Bilbao, si capisce).Pello Bilbao vuole migliorare ancora e per farlo vuole dimostrare di andare forte ovunque.


Le corse ribaltate che ti portano a casa

In questo sport che va avanti a pedalate, per così dire, pensare come un finale possa rispondere per forza a delle regole già scritte appare molto spesso un'idea smentita dai fatti. Prendete i due vincitori delle gare di ieri, ma soprattutto i loro modi di vincere.

In Belgio, Scheldeprijs, o Gp de l'Escaut, insomma, il Gran Premio della Schelda, volessimo per forza di cose italianizzare tutto, c'è vento, freddo, poi persino pioggia nel finale. Non un metro di salita, ma è pur sempre Belgio. Media oraria altissima e quei benedetti (per lo spettacolo) ventagli che ormai stanno diventando momenti topici delle giornate di ogni appassionato di ciclismo.
Una fuga che va via dall'inizio con dentro nomi roventi dello sprint e che gli altri, dietro, non riusciranno più a riprendere. Per vincere si va per esclusione, perché dai diciassette che sono ne rimane solo uno. C'è chi cade (Thijssen), chi fora (Bol), chi salta per i crampi (Waerenskjold), chi (Bennett), dopo essere rimasto appeso per diversi chilometri, cede sull'ultimo settore in lastricato. Ha la lingua di fuori, corsa troppo dura anche per uno come lui che in queste zone, pur essendo irlandese, c'è cresciuto.

Rimane solo Alexander Kristoff, 35 anni a luglio, la fama del duro nel senso del fondista, che qui ha già vinto, ma in volata ovviamente. Uno che "più la corsa è lunga e impegnativa e più viene fuori"; velocista, non purissimo, ma a volte sì, uno che è stato disegnato apposta per correre nelle Fiandre e in particolare il Fiandre (che infatti ha vinto), grosso da far paura.
Kristoff parte da solo sul tratto ormai reso viscido dalla pioggia di Broekstraat, quando all'arrivo mancano sette chilometri. Parte e vince. Da solo. Per distacco. E fa già notizia così. Mentre dietro Alpecin si sacrifica per nulla (Merlier forse stava meglio di Philipsen), DSM resta di stucco con i suoi giovani, BORA in superiorità numerica si affida al regolarista van Poppel. E la Quick Step? È la Quick Step al nord di questo 2022: inconcludente, remissiva no, ma senza grandi gambe, né intuito, né capacità di incidere nella corsa.

Nei Paesi Baschi, invece, ciò che ci aspettavamo lo ribalta Pello Bilbao, su quelle che sono letteralmente le strade di casa sua. Bilbao, uno che pare debba il suo nome, Pello, alla passione della madre per il cantante del gruppo pop Wet Wet Wet. Bilbao, che se lo vedi vicino pare fatto di carta velina talmente è magro.
Velocino, sì, più che altro anche lui fondista, ma uno che in volata non vince, nemmeno una volata come quella di ieri di una dozzina di corridori. Uno che preferisce la cronometro, la salita, magari persino la discesa, guidatore a volte un po' folle.

Tappa nervosa, ieri, ai Paesi Baschi, salite, strappi duri e strade strette. Restano i migliori davanti, ci si prepara per uno sprint di un gruppetto. Evenepoel di nuovo in versione pesce pilota per Alaphilippe, sulla carta il più veloce e sembra di nuovo tutto messo giù, rotative comprese, con il titolo già scritto: "Alaphibis all'Itzulia!". E invece vince Bilbao. In volata. Su Alaphilippe.
Anche questo è il ciclismo. Il suo bello. Regole scritte cancellate. Mondo ribaltato, velocisti che vincono da soli e solisti che vincono in volata. Lo si ama anche per questo, così come Bilbao ha amato vincere a casa sua. Così come Kristoff non vede l'ora di staccare qualche giorno. «Ho attaccato nel finale perché avevo fretta di tornare a casa con l'aereo dopo due settimane in Belgio».


Una giornata particolare

È il giorno in cui bisogna dimostrare. Arriva in tutte le corse, questa volta arriva alla penultima tappa, da Naturno a Pieve di Bono, dopo Passo Castrin, Passo Magno e Boniprati, circa 4000 metri di dislivello, arriva soprattutto dopo una discesa a rotta di collo verso il traguardo.

Simon Yates ha dedicato solo a se stesso la vittoria nella seconda tappa, perché si può arrivare al traguardo mentre tutti ti attendono o arrivare quando nessuno più ti cerca, quando il vincitore sta già tornando in albergo e, se non sei tu ad aspettarti, rimani comunque da solo anche se attorno hai tanta gente. Andrea Vendrame lo ha imparato da ragazzino, quando il padre cercava di convincerlo a lasciar perdere il ciclismo: «Ora ci crede anche lui, ma ora è anche facile». Matteo Fabbro dice che l'unico modo per dimostrare è continuare a provare, anche se sbagli, come è accaduto alla BORA-Hansgrohe nei primi giorni. Chris Froome nella sua carriera ha già dimostrato e sa che non se ne può mai fare a meno. Questo intende quando dice: «Non chiederei mai a un mio gregario di fare qualcosa che io non farei per lui». Questo intendeva quando è scattato dopo la partenza, come uno dei tanti. Assieme a lui nomi a cavaturacciolo, scioglilingua pungenti: Pernsteiner, Ghebreigzabhier, Großschartener, tra gli altri.

Ogni gregario delle squadre che si sono messe in testa al gruppo ai quaranta chilometri dal traguardo sa bene cosa sia questo giorno. Qualcuno racconta: «Essere gregari è anche una scelta. Lo scegli, per esempio, quando ti rendi conto che la pressione ti schiaccia e rischi di smettere». Così si sfiniscono e quando si spostano a bordo strada quasi si fermano, cercando il respiro nelle viscere. Così ha fatto spesso Oliviero Troia, ultimo in classifica generale, a circa un'ora e oggi ritirato. C'è frenesia nel giorno in cui bisogna dimostrare, come il gruppo che si rimescola in preda alla follia della velocità, dopo aver ripreso la fuga, a pochi chilometri dall'attacco della salita di Boniprati, mentre gli uomini di classifica limano, si sfiorano, quasi si graffiano per trovare il proprio posto. Il giorno in cui devi dimostrare è anche il giorno in cui devi controllarti, tenerti calmo. Non c'è riuscito Pavel Sivakov che oggi è parso il più terribile dei masochisti. Il ritmo della sua squadra in salita lo ha cancellato, annientato. «Vai, non ce la faccio» dice a Dani Martìnez, suo ultimo uomo. Lui continua a guardarlo, prigioniero del senso del dovere, smarrito. È il buio.

Davanti impazza Vlasov, Quintana dapprima attende, poi cede. Simon Yates è la calma che siede sul trono. Guarda i suoi avversari che si azzannano come lupi attorno alla carcassa e li sfida con l'impassibilità, la freddezza. Fa male l'indifferenza, manda in tilt. Daniel Martin, alle loro spalle, sbanda una prima volta e cade sul brecciolino della discesa, a peso morto, senza sganciare il pedale, poi torna a cadere in preda alla paura. Non ha alcun timore, invece, Bilbao che si lancia come un kamikaze e si riporta su Yates e Vlasov, già convinti di averla scampata. A Yates va anche bene così, Vlasov prima è stizzito, poi staccato. Può solo tirare dritto e nascondere i dubbi dietro gli occhiali. Rientrerà mentre Bilbao starà per lanciare la volata e ripartirà ribaltandosi lo stomaco dalla foga negli ultimi duecento metri. Sarà secondo, lui che, se avesse vinto, avrebbe parlato di Michele Scarponi. Chiunque lo avrebbe fatto oggi. «Ci ricordiamo tutti di lui» dice Bilbao.

Stasera Yates penserà a domani, perché sarà un altro giorno in cui dimostrare, come ogni mattina in cui ti metti a fare ciò che hai scelto e hai sempre paura di aver scelto male. Così prendi una canzone triste e provi a farla bella. Questo dicevano i Beatles a Jude, sulle note di una canzone che esce da una macchina al traguardo. Questo dice Yates a chi anche oggi ha dovuto dimostrare e stasera torna a casa temendo di non esserci riuscito.

Foto: Ilario Biondi/BettiniPhoto