Di sloveni ubriachi, peli e sorrisi

IL SORRISO DI TADEJ

Pare che gli americani abbiano calcolato la grandezza di un asteroide passato nelle scorse ore vicino alla terra con la misura di sessantanove alligatori: chi siamo noi per non misurare la capacità di dominare una corsa in Pogačar?

Verrebbe da dire, anche: “questo ragazzo, Tadej Pogačar, è irreale”. Come definireste il suo impatto con il mondo del ciclismo? Da quando è cresciuto definitivamente in questo microcosmo sembra aver deciso di mettere per iscritto un regolamento tutto suo, ispirato a una civiltà in cui il cannibalismo era un rito, rappresentante quasi unico di un ciclismo dove si vince senza fare prigionieri e se possibile lo si fa con il sorriso stampato sul volto.

Prima era il ciuffo sbarazzino, poi la linguaccia sul traguardo de Il Lombardia rivolta a Mas o forse a se stesso e ai suoi tifosi, emblema di un modo di interpretare questo sport che di divertente sembrerebbe avere poco, in realtà, soprattutto nel momento in cui lo stai praticando; poi c'è stato quel momento durante la Parigi Nizza in cui, prima di stroncare Vingegaard e lasciarlo sul posto come un maleducato farebbe durante una passeggiata, in un sentiero, con una cartaccia, si volta verso la moto ripresa e sorride.

Ma più che irriverenza c’è consapevolezza; è l’affrontare la vita e il ciclismo così, come piace a noi, lui stacca o batte allo sprint - perché è notevole lo spunto veloce - gli avversari, e prova a farlo da febbraio a ottobre. Quest’anno non vuole mancare l’appuntamento caldo del Tour de France, con un successo finale, ma occhio anche a ciò che avverrà a breve perché dal 18 marzo al 23 aprile ci sono tre momenti segnati in grassetto, iniziando dalla Sanremo di domenica dove sarà costretto a gestire meglio, rispetto al 2022, la sua idea di fratricidio  - e siccome è una spugna lo farà - mettendo però giù corsa dura, forse pure durissima dalla Cipressa e gestendo gli attacchi, i suoi attacchi, sul Poggio. Magari non quattro, cinque di fila, ma uno ben assestato in uno dei punti focali sui quali si pone l'attenzione di tutti nella celebre salita prima della picchiata verso Sanremo.

Milano Sanremo 2022 - 113th Edition - Milano - Sanremo 293 km - 19/03/2022 - Tadej Pogacar (SLO - UAE Team Emirates) - Wout Van Aert (BEL - Team Jumbo - Visma) - photo POOL Fabio Ferrari/SprintCyclingAgency©2022

A qualcuno non piace il suo modo, oppure giudica insipido il suo rapporto con la stampa, un po’ freddo e banale, ma la gloria per Pogačar si raggiunge tagliando il traguardo per primo e basta: la vera novità per la nostra generazione di appassionati e osservatori è quella di trovarsi di fronte a un corridore che può vincere qualsiasi tipo di corsa, come accaduto poche volte in un passato ormai lontano.

Quello che importa non è quale storia abbia alle spalle, ma quale starà per scrivere: quando attaccherà e come; cosa si inventerà per vincere, in un momento storico nel quale la concorrenza è agguerrita su ogni percorso e varia, e dove lui è l'unica costante.

Pogačar non lascia nulla agli altri né al caso come nella penultima tappa di montagna alla Parigi-Nizza dove: «È stata dura, la prima vera giornata dura dell’anno ed è andata come previsto». Ovvero gol di Pogačar e palla al centro. Aveva bisogno di faticare e ha faticato e ha vinto. In quel modo leggero che conosce solo lui.

E siamo a quota 9 successi a marzo 2023 ovvero più della metà di tutto il 2021 (13) e di tutto il 2022 (16). Una crescita numerica inarrestabile.

ALTRO SULLA PARIGI-NIZZA

Paris Nice 2023 - 81st Edition - 7th stage Nice - Col de la Couillole 142,9 km - 11/03/2023 - Jonas Vingegaard (DEN - Jumbo - Visma) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

C’è Vingegaard che rimbalza, solo che ora fa più rumore perché ha acquisito un nuovo status: lui è quello che ha battuto lo sloveno al Tour, che fa il capitano della squadra più forte e temuta, lui è quello che appare proprio il contrario del suo rivale e per tanti aspetti ed è interessante che la faccenda vada così: che se la sbrighi ognuno a modo proprio.

Perché se Pogačar c’ha quel sorriso stampato in faccia che lo si ama o ti irrita, Vingegaard, invece, è quello che dopo il Tour, travolto dalla popolarità e dallo stress, deve staccare e scappare, fino a quasi scomparire. È quello che non si pone al momento altri grossi obbiettivi a parte la grande corsa a tappe francese, pur correndo molto, per carità non entriamo nel dibattito; è quello che in bici pare un elemento freddo e distaccato mentre a fine gara si scioglie e cerca conforto al telefono parlando con sua moglie non appena finisce una corsa. È quello che nella prima tappa di montagna di questa Parigi Nizza ci prova, attacca, getta la sfida, ma si riduce a dare lo spunto a un Pogačar che forse, se possibile, è ancora più forte dello scorso anno. Vingegaard è quello che in Spagna solo pochi giorni prima faceva il Pogačar (ecco l'unità di misura) ma poi si stacca in Francia. «Andavano troppo forte per me» dirà in riferimento all’ultimo arrivo in salita quando, facendo l’elastico dietro Pogačar e Gaudu, riuscirà a rientrare salvo poi staccarsi durante lo sprint finale. Per luglio c'è tempo, avete voglia...

Paris Nice 2023 - 81st Edition - 4th stage Saint-Amand-Montrond - La Loge des Gardes 164,7 km - 08/03/2023 - David Gaudu (FRA - Groupama - FDJ) - photo Luca Bettini/SprintCyclingAgency©2023

E a proposito di luglio, status raggiunti e Tour de France: uno spettacolo vedere David Gaudu salito così tanto di livello da aver corso praticamente su quelli di Pogačar  Un bel vedere per il simpatico scalatore francese che ora, da qui all'estate dovrà cercare di superare il tritacarne mediatico d'oltralpe che rimarcherà un fatto: “potrà un francese vincere il Tour tot anni dopo Hinault?”.

Volate, in breve: bene Pedersen che sembra avere ancora con un po’ più di margine di miglioramento rispetto al 2023 e sarà tra gli outsider più credibili nei prossimi quattro week end di corse che vedranno la bellezza di quattro grandi classiche del ciclismo imperdibili (18 marzo, Milano-Sanremo, 26 marzo, Gent-Wevelgem, 2 aprile, Fiandre, 9 aprile, Paris-Roubaix); bene Merlier che si conferma il più forte velocista al mondo in questo momento dopo un anno così così; benissimo Kooij ormai una realtà tra gli sprinter puri; tanto da imparare invece per De Lie e per il suo treno, un corridore con abilità innate nello sgomitare al Nord ancora molto poco a suo agio (lui e il suo treno) nelle volate di gruppo soprattutto quando c'è ancora parecchia freschezza in giro.

IL LEAD OUT DI VAN DER POEL

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 7th stage San Benedetto del Tronto - San Benedetto del Tronto 154km - 12/03/2023 - Jasper Philipsen (BEL - Alpecin - Deceuninck) - Mathieu Van Der Poel (NED - Alpecin - Deceuninck) - photo Tommaso Pelagalli/SprintCyclingAgency©2023

Parlare di volate di gruppo ci dà il giusto lancio per introdurre la Tirreno-Adriatico e prima di parlare di dominio sloveno anche qui, ecco un accenno a van der Poel che lancia perfettamente Jasper Philipsen nella tappa di Foligno dopo aver sbagliato tutto il giorno prima a Follonica facendo a pezzi chi gli stava a ruota e favorendo il lancio per Jakobsen.

Perfetto in terra umbra van der Poel: in un lead out che fa parlare perché arriva da uno dei corridori più amati dai tifosi e più forti del gruppo, perché lui sostanzialmente ha sempre fatto fatica in questo ruolo (e appunto il giorno prima…) ma come Pogačar, come tutti i fuoriclasse, ha un tratto distintivo che è la capacità di imparare subito dai propri errori e rimediare. E più o meno è simile ciò che accade nell’ultima tappa di San Benedetto del Tronto (a proposito, cari velocisti, massima stima per il vostro coraggio nell’affrontare arrivi di questo genere) anche qui pilota, con meno forza e meno precisione, ma è un bel vedere comunque, portando Philipsen e la sua squadra al successo numero due della stagione. Philipsen che batte Jakobsen per 2 a 1.

A proposito di Jakobsen: in questo inizio di stagione non sono mancate le vittorie, ma nemmeno i momenti in cui si vede che la paura prende il sopravvento. A San Benedetto del Tronto a un certo punto si rialza dalla ruota dei suoi compagni - invece loro perfetti nel portarsi davanti, ma appunto senza velocista al seguito. Normale dopo tutto quello che gli è successo, anzi per chi scrive resta come eccezione quello che è riuscito a fare negli anni dopo il grave incidente accorsogli al Giro di Polonia.

È stata una Tirreno Adriatico che ha vissuto sul vento contro e laterale che ha influenzato i finali di gara, soprattutto l’arrivo più importante, quello di Sassotetto; ha vissuto su un video che ha fatto il giro del mondo ciclistico e ci ha strappato un sorriso, soprattutto perché conseguenze non ce ne sono state, ma in realtà da ridere ci sarebbe poco nel vedere in diretta televisiva, mentre un corridore viene intervistato, un auto (dell’organizzazione?) che investe in pieno una bicicletta. Quel corridore, lo sapete tutti, è Ciccone, la bicicletta era la sua, e la reazione è un capolavoro di tempismo, tanto spontanea quanto empatica:c’è del genio nel salvataggio dello scattista abruzzese che riesce a censurare il finale di quella bestemmia entrando direttamente nella leggenda dei tormentoni di questo magnifico sport. Grazie Ciccone.

La Tirreno poi, ha vissuto momenti di dominio simili a quelli che avvenivano pochi chilometri più a nord ovest: uno sloveno su tutti anche qui, si tratta di Primož Roglič e anche qui di storie ce ne sarebbero da raccontare.

I PELI DI ROGLIČ

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 3rd stage Follonica - Foligno 216 km - 08/03/2023 - Primoz Roglic (SLO - Jumbo - Visma) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Non si può parlare sempre di contenuti tecnici, statistici, wattaggi, tattiche incomprensibili, corridori che dominano, giornalisti francesi che litigano su twitter, deve restare del tempo per Roglič che mostra fiero i peli delle gambe non depilati come ormai nemmeno più i ciclisti della domenica fanno (a parte chi scrive). Pare, si scoprirà dopo il primo dei tre successi di tappa consecutivi ottenuti nella corsa italiana, che lo sloveno della Jumbo Visma abbia fatto una scelta dettata dalla scaramanzia decidendo di non depilarsi fino al primo successo stagionale che è arrivato decisamente in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Roglič, infatti, sarebbe dovuto rientrare alla Volta Catalunya nei prossimi giorni, ma dopo essersi testato in allenamento aveva deciso di correre la Tirreno con i risultati che tutti abbiamo visto. Tre tappe, la classifica finale, quella a punti e quella dei GPM.

Tirreno Adriatico 2023 - 58th Edition - 5th stage Morro d'Oro - Sarnano - Sassotetto 168 km - 10/03/2023 - Primoz Roglic (SLO - Jumbo - Visma) - photo Roberto Bettini/SprintCyclingAgency©2023

Un Roglič che si dimostra ancora una volta pressocché imbattibile su certi arrivi - certo, la concorrenza sin troppo sorniona ne ha favorito l'esito - soprattutto quando c’è da sprintare in un gruppetto dopo una salita: siamo convinti che così non basterà per vincere il Giro, ma potrebbe avere ancora margine per migliorare. Ancora Rogla, poi, protagonista nel dietro le quinte come si può vedere da questo siparietto e dall'occhio lucido.

Se quest’anno la corsa non ha lanciato troppi spunti dal punto di vista tecnico, ha lasciato i veri fuochi d’artificio per altri momenti, il contorno, tra bestemmie, peli e sloveni ubriachi dopo le premiazioni, ha raggiunto picchi incredibili.

E IN CHIAVE SANREMO?

Qualcuno si è nascosto o per meglio dire ha fatto dei lavori che torneranno utili più avanti: le sgasate di van der Poel in versione pesce pilota, le tirate di van Aert ad Osimo che hanno fatto arrabbiare pure Alaphilippe e ancora Ganna in alcuni finali di tappa, vanno in questo senso, mentre qualche dubbio resta sulla condizione di Bini Girmay, corridore che in Via Roma potrebbe arrivare a braccia alzate, ma che alla Tirreno non ha convinto fino in fondo - seppure un 3° e un 4° posto sono buoni risultati, ci mancherebbe. Probabilmente anche lui ha preferito nascondersi soprattutto negli arrivi più tortuosi, per poi farsi vedere solo nel momento giusto. Spesso nella Classicissima è quello che conta, a meno che non ti chiami Mohorič e vai in giro per il gruppo a canticchiare e a dire che in discesa stacchi tutti. Ma lo abbiamo detto: il ciclismo è pieno di gente forte, sì, ma anche meravigliosamente folle e geniale.

Foto in evidenza: ASO/Aurelien Vialatte


Non per magia, ma per disappunto

Uno sloveno è in cima al mondo - Pogačar au Sommet - intitolava stamattina L'Équipe. Un altro sloveno, invece, sembra che con le sue sfortune, lo alimenti.
Che la nostra esistenza sia toccata dalla magia come se stessimo in riva a un fiume che ogni tanto ci bagna i piedi non appare un'idea così folle, e così ci viene in mente che il triangolo tra Roglič, Pogačar e il Tour al suo interno abbia come qualcosa di appartenente a un campo inesplorabile, almeno per chi scrive, irrazionale, che tocca altre dimensioni.
Planche des Belles Filles 2020. Penultima tappa del Tour de France. Stiamo tutti ormai per celebrare il primo successo della storia di uno sloveno al Tour (che poi in effetti sarà così), quando succede qualcosa. Il giovane Tadej Pogačar, bello come sono belli tutti i predestinati che vestono la maglia bianca, corre una cronometro che lascia a bocca aperta tutti - ricordate la faccia di Dumoulin e van Aert, compagni di squadra di Roglič, al traguardo, mentre guardano il megaschermo?
Primož Roglič, partito dopo il giovane rivale e forte di un vantaggio in classifica intorno al minuto (basterà sicuramente si diceva), perde progressivamente, sembra persino soffrire fisicamente più del dovuto, mentre le immagini inchiodano la sua pena lungo la salita con gli occhi che diventavano fessure sempre più strette e quel casco pareva ballare sulla sua testa come uno spirito dispettoso sopra una tomba.
Roglič cede - di schianto oppure no, prova mostruosa dello sloveno giovane oppure tonfo di quello meno giovane non è questo il punto. E mentre Roglič cede Pogačar sale in cima alla classifica e vince il Tour de France che il giorno dopo arriva e si conclude come d'abitudine a Parigi.
Tour 2021, siamo alla terza tappa. Pogačar è nella sua - quasi di diritto - maglia bianca. C'è una curva verso sinistra, si sbanda, vanno giù in tanti - Haig, tra i protagonisti delle prime due tappe gli cade davanti e si ritira. Pogačar resta in piedi per miracolo, perde del tempo, insegue, recupera.
Il giorno dopo, manca ancora poco al traguardo e c'è un'altra sbandata. Roglič colpisce la ruota di Colbrelli e finisce a terra malamente. Riparte, tutto fasciato e chi ha buona memoria avrà in mente la foto di Roglič bendato e la sua frase sui social: "La situazione non è delle migliori. Ma ho sorriso leggendo tutti gli auguri e i pensieri positivi che mi avete inviato. La mummia partirà oggi e vedremo come andrà! Grazie". Durerà qualche ora ancora il suo Tour, quattro tappe di estrema sofferenza, ma nella giornata in cui Pogačar chiude la corsa attaccando sul Col de Romme e andando a vestire la maglia gialla, Roglič si ritira, straziato dai dolori.
Tour 2022... la sagra continua. Quella delle cadute di uno mentre dell'altro si raccontano gli aneddoti a scuola. Siamo alla tappa numero cinque, fresca fresca nella mente degli appassionati. Pogačar corre magnificamente su ogni settore fino ad attaccare in scia a Stuyven. Roglič, attento per tutta la tappa, in una rotonda colpisce una balla di fieno - doveva essere lì a protezione - finita in mezzo alla carreggiata perché colpita da una moto staffetta. Kung la sfiora appena, Roglič dietro lui no, e cade, ancora rovinosamente. Ci risiamo, come un anno fa. Come due anni fa quando la sua caduta fu più sportiva che altro. Le immagini ci mostrano Roglič estremamente sofferente a una spalla. Lussata, se l'è rimessa a posto da solo prima di salire in bici e concludere la tappa. Stoico non basta.
Il giorno dopo, che poi è ieri, Roglič sale in bici, e lo fa fino alla fine del giorno, e sullo strappo che conduce al traguardo è lui a dare il via al colpo finale con cui Pogačar prende a calci tutto il Tour. Nonostante i dolori e le contusioni (problemi, pare, anche all'anca) il corridore della Jumbo Visma è lì davanti a lanciare la volata mentre Pogačar salta tutti e vince. Roglič chiude nei dieci, non per magia, ma per disappunto. Non per chissà quale macabro gioco di forze misteriose, ma per volontà e gambe. Tuttavia ci viene da pensare: chissà se prima o poi arriverà il suo momento al Tour o ci sarà ancora qualche prezzo da pagare.


Contava far parlare la bici

Primož Roglič: far parlare i fatti. Che sarebbe vederlo in bici sempre composto, agile, gli occhi che, man mano si sale e aumenta la fatica, gli diventano sempre più piccoli tra le orbite e con una forma che definiremmo a mandorla.
Citiamo il palmarès dello sloveno nelle corse a tappe perché più concreto di un elenco del genere resta poco per aiutarci a capire di chi e cosa stiamo parlando: 3 Vuelta, 2 Paesi Baschi, 2 Romandia, 1 Parigi Nizza, 1 Tirreno, 1 Delfinato (quello vinto ieri), 1 Uae Tour, mettiamoci dentro anche 2 Slovenia, visto che è la corsa di casa sua.
I fatti sono che arrivava al (Criterium del) Delfinato con più di un punto interrogativo per un problema fisico, qualcosa tra muscolo e ginocchio, qualcosa che ci faceva dire: non è lo stesso Roglič delle ultime stagioni, ma se qualcuno avesse avuto dei dubbi, quei dubbi sono stati fugati.
Ciò che contava era far parlare la bici, la cadenza a tratti assurda di pedalata in salita, il controllo totale da parte della sua squadra in corsa. Nelle ultime due frazioni di un Delfinato francamente bruttino e niente di più che di preparazione al Tour, Roglič cercava risposte; le cercava dal suo fisico, le cercava da dare a se stesso, perché poi è questo che conta principalmente; risposte da dare alla sua squadra perché c'è quel diavolo di un danese che spinge forte.
Verso Vaujany, mentre Carlos Verona si involava verso la prima vittoria dopo una lunga carriera spesa a essere gregario (quasi) di lusso, o fugaiolo in appoggio ai capitani, Roglič attaccava (seppur tardi per lo spettacolo, ma tant'è); attaccava tanto quanto bastava per farci temere un'altra situazione Roglič-Mäder, attaccava tanto quanto bastava per farci capire. Attaccava per leggersi dentro: ci sono, avrà pensato. Non al meglio, ma ci sono. Sono in crescita e al Tour ci sarò come volevo esserci. E così via.
Ieri verso il Plateau de Solaison di nuovo Vinegaard e Roglič a completare una giornata super di una vecchia conoscenza come Kruijswijk che in pochi chilometri si conquistava un posto tra gli Jumbo-Visma per il Tour, e non è che sarà una cosa di poco conto esserci visti gli altri sette a completare la squadra, oltre appunto al buon vecchio e caro corridore che in Francia chiamano "Le Cintre", ovvero l'appendiabiti, la gruccia. Corridore che trasmette simpatia amplificata ripensando a quella caduta in maglia rosa al Giro di qualche anno fa, in mezzo alla neve.
Beh, dopo l'opera kruijswijkiana, andava via la coppia sloveno-danese, così diversi, ma che saranno uniti dall'obiettivo di provare a battere l'altro sloveno sulle strade del Tour. «Io ci credo, proverò a vincere il Tour. Se ripenso al Ventoux del 2021 quando staccai Pogačar... so che posso farcela» ha detto Jonas Vingegaard a fine tappa ieri, dove per un attimo, forse qualcosa in più, misurabile in diverse centinaia di metri verso il traguardo, è parso persino rallentare per non mettere in difficoltà Roglič. «Al Tour partiremo alla pari» ha aggiunto.
Una prova di forza della squadra che sarà uno dei temi fondamentali fra qualche settimana: «Per quello che abbiamo fatto vedere qui, meritiamo di essere la squadra favorita in Francia», ha aggiunto il vincitore della maglia gialla ieri. E forse grazie a questi due e alla Jumbo Visma la corsa potrebbe restare aperta. La corsa potrebbe essere bellissima.


La Vuelta di Roglič è un pugno agli incubi

L'aria di novembre, ai quasi 2000 metri dell'Alto de la Covatilla, sagoma ogni volto mettendone in evidenza tagli spigolosi. Gli zigomi sono lunghi coltelli a fendere il freddo come schizzati da righe e squadre in un progetto geometrico appena abbozzato. Gli angoli dell'umanità sono acuti, aspri, rigidi come la natura delle montagne quando l'autunno dirada verso l'inverno. C'è questa realtà acuminata sullo sfondo e la dolorosa nenia delle ascese- Puerto del Portillo de las Batuecas-Alto de San Miguel de Valero-Alto de Cristòbal-Alto de Penacaballera-Alto de la Garganta- come aghi nelle gambe, quando Richard Carapaz scatta ai tre chilometri e mezzo dal traguardo e la corsa sembra precipitare in un vuoto temporale che isola, attrae e respinge. Il dolore in queste circostanze assume i contorni di una pietà trasfigurata. Il dolore trasfigura e viene trasfigurato quasi sfregiato, confondendo sensi e sensazioni in un turbine che toglie il fiato passando dalla vista o dalle gambe. Che annebbia la vista col bruciore di un sudore freddo che dopo pochi metri tramuta in brividi e si asciuga in salviette appese al collo come rimasugli di battaglie dimenticate. Che taglia in pezzi grossolani le gambe, stese su pedali che non scorrono più disobbedendo alla fisica, quasi con la forza dei conati di nausea che sente risalire nelle interiora chi non deve affrontare solo l'acredine della terra ma anche il risucchio dei fantasmi che si nutrono ingordi dell'odore d'autunno e pullulano fra le foglie cadute e i tronchi ricoperti dal muschio.

I fantasmi che Carapaz getta alle spalle e trapassa come loro stessi trapassano i muri, con la scia d'aria mossa dal suo alzarsi sui pedali, a puntare con occhi iniettati di volontà sanguinea il prossimo metro di strada. Primož Roglič, in quell'istante, sa di incubi di notti scure e di albe attese rivolgendo auspici verso quella falce di luna lontana che tanto profuma di Spagna e di tutta l'intensità della nazione iberica. Trasfigurare significa cambiare forma e stato, significa segnare e farsi segnare. La trasfigurazione in questo momento è simile all'attrito del tempo e dello spazio che corrodono tutto quello che mostra loro il sembiante, scagliando in chissà quale viscera volontà e desideri. Qui non bastano più. Qui è la paura a prenderti a morsi perché non c'è più un domani imminente, perché il futuro è lattescenza confusa. Carapaz e Roglič sono sul filo di questo scorrere di realtà e ci restano per pochi minuti ma sembra l'eternità.
I denti dell'illusione sembrano conficcarsi nella pelle di Roglič e invece lasciano una vecchia cicatrice ma feriscono Carapaz che ha solo addolcito qualche chilometro danzando su muscoli vivi e sperando Madrid. Gli incubi di quella luna bugiarda che Roglič aveva visto da Parigi sono gli spettri che per qualche notte Carapaz vedrà in ogni angolo del sonno. Roglic ha sentito ancora male, come se gli avessero disinfettato una ferita con alcool puro e senza sedazione, ha teso ogni centimetro di muscolo e per qualche istante ha come avuto la sensazione che quel vuoto fantasmagorico lo stesse invadendo, che quel muro di fantasmi lo avesse imprigionato ancora a pochi sospiri dal traguardo. Come la ricerca negli incubi, con la stessa frustrazione di quella delusione, di quella mancanza. Non questa volta, Roglič. Non questa volta in cui l'andatura è quel ramo sul filo di un burrone o la rete aperta sotto. Questa volta il tutto è qualcosa che lenisce e carezza. Questa volta il tutto è un respiro appoggiato sul diaframma e uno sguardo che vola alto. Questo tutto assomiglia a Madrid che domani sarà decadenza dimenticata e bellezza in divenire.

Foto: Bettini


Primož Roglič: il mondo in un istante

Nel momento in cui tagliava il traguardo della cronometro de La Planche des Belles Filles al Tour, Primož Roglič aveva una faccia che non poteva generare alcun tipo di malinteso. I suoi pensieri non li potevamo conoscere, ma erano facili da intendere; la faccia non mentiva, mentre saliva a fatica, brutto da vedere sulla sua bici, come non si era mai visto prima, e non serviva essere dentro la sua testa – per altro coperta a fatica da un casco antiestetico che pareva andare da tutte le parti - per cercare di interpretarlo.

Il mondo, quello sportivo, pareva essergli crollato addosso in un istante. Tutto, insieme alle sue certezze e a quelle della sua squadra, sembrava assumere contorni nebulosi. Una scampagnata nei Vosgi trasformata in un martirio. Soccombeva a chi arrivava prima di lui al traguardo; dopo di lui, in una presunta linea temporale di nascita, a pochi chilometri di distanza, se invece tutto ciò vogliamo ridurlo a una storia di provenienza.
Una settimana dopo, Primož Roglič si batteva come poteva: dalla Francia a Imola, avremmo potuto intitolare. Pogačar, quel ragazzo più giovane e descritto sopra in poche righe, gli apriva la strada; lui cercava di tenere il ritmo dei migliori, chiudeva sesto, beffato in corsa e umiliato da fischi e critiche da chi, dal Belgio, ripeteva: «Ma come si è permesso di non aiutare van Aert dopo quello che van Aert ha fatto per lui al Tour?» E niente, forse per qualcuno lo stato delle gambe non contava, ma va beh.

E contavano, invece, gambe e facce, e tutto sembrava uno scritto occulto, ieri, sul traguardo di Liegi. Alaphilippe? Una saetta ubriaca. Scartava da tutte le parti con quel suo modo sempre febbrile di interpretare le corse, quelle sue sceneggiate in bicicletta che sono forza, ma a volte anche limiti. Metteva giù la testa, e quasi in modo metaforico sembrava puntare una bandiera slovena sventolante a bordo strada. A destra, poi a sinistra rischiando di far cadere “tutti”. Sul traguardo alzava le braccia per godersi quel momento e farlo suo, soltanto suo, ingannando se stesso e fotografi, ingannando una corsa che da oltre un secolo bacia la primavera belga – e per una volta fa l'amore con l'autunno.

Alzava le braccia, Alaphilippe, spadaccino infilzato da Primož Roglič che non aveva compreso la portata di quell'istintivo colpo di reni. “Istant Karma”, lo ha definito Tylor Phinney prendendosi gioco di Alaphilippe, pochi minuti dopo il verdetto dei giudici che declassavano il francese al quinto posto.
Dalla Francia al Belgio passando per Imola e dagli sberleffi belgi, quel destino ci ha messo un po' di tempo prima di ingraziarsi nuovamente il talento di Primož Roglič. Uno che faceva altri sport, che faceva l'amatore, che sembrava non avere nulla a che fare con il ciclismo: scambiato per sgraziato oppure per inscalfibile. Per una volta, dopo interminabili settimane, nuovamente cavaliere di ventura e col mondo ai suoi piedi.

Foto: Bettini