Riuscirci comunque, crederci sempre

Qualche giorno fa, Cyclingtips ha scritto che meno dello 0,02% delle persone che vivono nei Paesi Bassi si chiama Taco: nei Paesi Bassi vivono circa 17,5 milioni di abitanti, il conto è presto fatto: 1300. E si chiama Taco proprio il vincitore della terza tappa del Giro d'Italia. Pensate che questo ragazzo, solo pochi mesi fa, avrebbe voluto smettere di correre in bicicletta. Già, pochi fronzoli per la testa e tanta serietà: serve un lavoro, se non può esserlo il ciclismo, si cercherà altro. Il suo mito è Graeme Obree, uno scozzese che è riuscito a battere il record dell'ora correndo su una bicicletta costruita con vecchie parti di lavatrici. Nulla a che vedere con quella di Taco e con i suoi studi sull'aerodinamica che lo hanno portato a vincere a Canale con soli quattro secondi di vantaggio sul gruppo.
Il motivo per cui siamo partiti da lui è semplice: perché la sua storia ciclistica avrebbe potuto finire ed invece continua che è un piacere. La sua squadra, la Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux di storie simili ne conosce tante. Come non parlare di Rein Taaramäe, ad esempio. Lui è nato in Estonia, a Vandra. Oggi, quando si parla di Taaramäe si pensa ad uno scalatore. Peccato che nella sua nazione la cima più alta scalabile sarebbe una passeggiata anche per un velocista. Taaramäe ha fatto come molti suoi compagni tra Estonia, Lettonia e Lituania, si è spostato in Francia ed ha iniziato a correre lì, con le categorie amatoriali, pur di poter diventare un ciclista.

Forse anche la sua storia avrebbe potuto non esserci, ma lui ha creduto al contrario ed è qui, al Giro. Spesso in fuga.
Riccardo Minali, a fine novembre dello scorso anno, era ancora senza squadra e non sapeva spiegarselo. Diceva che, alla fine, è ben strano questo mondo. Magari quando sei in giornata buona non ti vede nessuno ed invece quando ti stacchi e non riesci a muovere i pedali sono tutti a guardarti. Lì si fanno un'idea su di te e poi fargliela cambiare è quasi impossibile. Anche perché cambiare idea costa fatica e l'essere umano è conservatore per indole. Poi la squadra l'ha trovata, in Belgio. Sì, perché anche Minali è in Intermarché.

Vi potremmo parlare di tanti altri, ma vi parliamo di Andrea Pasqualon. Lui che ci ha sempre creduto, più di chiunque altro. Qualche tempo fa diceva: “Se fossi un direttore sportivo scommetterei su di me”. Difficile restare così sicuri quando le cose non vanno. Lui ci è riuscito. Pasqualon lo ha fatto con il ciclismo e quando, nel 2017, è tornato a vincere, dopo due anni di digiuno, piangeva come un bambino. Lì ha capito che fermarsi sarebbe stato un errore.
E via, avanti così perché qui le storie si somigliano tutte e hanno a che vedere con la fame, la voglia di riscatto. Hanno a che vedere con ciò che provi quando rischiano di strapparti via ciò in cui credevi mentre stavi crescendo.

Valerio Piva, direttore sportivo della squadra, spiega che in Wanty si fa così perché non c'è altra possibilità, perché non c'è un uomo di classifica. Noi vorremmo dire che il mondo non si divide fra chi può far classifica e chi no. Il mondo, forse, si divide tra chi ha già lasciato perdere e chi non smette di provarci. Loro non hanno smesso ed alla fine ci sono riusciti.

Foto: Luigi Sestili


Il mondo capovolto di Taco van der Hoorn

Chissà se qualcuno se lo ricorda quel 27 agosto del 2018. Schaal Sels, divertente semiclassica estiva belga nei dintorni di Anversa. Vinse un ragazzo di nome Taco van der Hoorn, alla sua prima vittoria, nella sua prima vera e propria stagione tra i professionisti.

Arrivò a braccia alzate con la faccia sporca di fango, dopo aver superato pavé e sterrati, e dopo aver beffato sul traguardo un certo Wout van Aert. Al terzo posto si classificò Tim Merlier in rimonta.

Il mondo si è poi capovolto: Taco ha faticato, è passato nel World Tour senza mai un vero acuto, mentre van Aert diventava van Aert e Merlier quel velocista capace di vincere ieri al Giro.

Il mondo di Taco van der Hoorn è sempre stato capovolto e un po' bizzarro: quest'anno lo vediamo correre senza occhiali, sempre; un paio di anni fa ha girato per un'estate intera con un furgoncino Volkswagen del 1982, battendo le strade delle classiche del Belgio e di quelle italiane. «L'ho fatto per imparare, prendere appunti, più avanti sarò troppo impegnato tra corse e allenamenti», raccontava.

Lo abbiamo visto provarci, quest'anno, con una nuova luce negli occhi. Spesso in fuga, lo abbiamo visto provarci anche alla Sanremo.

Lo abbiamo visto tentare oggi, gestirsi bene mentre i suoi compagni d'avventura si arrabattavano tra scatti e controscatti e traguardi parziali.
Lui ha tenuto duro, se n'è infischiato di maglie azzurre o traguardi estemporanei e li ha staccati - per ultimo Pellaud - ma sembrava segnata la sua fine come quella degli altri sette, col gruppo da dietro che rinveniva e tutti noi a spingerlo idealmente, urlando "Taco", a soffiare sullo schermo, a imparare bene quel suo nome, a ricordarci dove già lo avevamo sentito nominare.

Oggi 10 maggio 2021, quasi quattro anni dopo quel successo vicino Anversa davanti a van Aert e Merlier, Taco ha capovolto il mondo, regalando così la pietra più preziosa alla sua carriera e a quella della sua squadra, che fino a pochi minuti fa non aveva ancora conquistato un successo in stagione. Ogni tanto le fughe possono arrivare e se vince uno come Taco, il ciclismo ci piace ancora di più

Foto Dario Belingheri/BettiniPhoto