Le mani di Marianne Vos

Le mani della gente. Tantissime, rumorose, che salutano, che sbattono sulle transenne della salita finale. Le mani dei gendarmi, che indicano a tutti dove andare. Le mani di Elizabeth Holden, che mostra col palmo verso il busto, per far vedere come abbia scelto uno smalto rosa e azzurro in tinta coi colori della sua squadra. Le mani della lanterne rouge Martina Alzini che proprio non ce la fanno a stare ferme durante un’intervista mattutina. Le mani di Elisa Longo Borghini, aggrappate al manubrio della sua bici mentre prova a fare la differenza verso il traguardo di Provins, su un arrivo applaudito da tantissime altre mani.
Mani che sfregano sull’asfalto ruvido delle stradine di campagna (sensazione a cui non ci si abitua mai) e mani che festeggiano una vittoria, sensazione a cui sono abituate visto che è circa la trecentesima volta.
Non è un’iperbole: Marianne Vos ha vinto un numero talmente elevato di volte, in così tante discipline, che fornire un conto esatto è difficilissimo. Questa, però, le ha consentito di vestire la maglia gialla e non è difficile crederle quando dice che, di tutte, è la più bella. È arrivata al termine di svariate azioni sagge: prima ha fatto scatenare Wiebes e Kopecky sul traguardo volante, poi ha seguito un attacco di Balsamo, con cui la campionessa del mondo ha portato via un drappello di cinque atlete, diventate sei quando Balsamo, Longo Borghini, Vos, Niewiadoma e Persico (scusate se sono nomi da poco) hanno raggiunto la fuggitiva, la giovanissima Maike van der Duin. Vos ha dovuto «tenere a mente diversi possibili scenari» per il finale, sapendo che la più veloce di tutte forse è Balsamo ma sta lavorando per l’altra Elisa, che Niewiadoma proverà ad anticipare, che Persico ha una gamba incredibile.
Le mani le stanno per scivolare dal manubrio quando mette le ruote pericolosamente vicine ad un marciapiede a bordo strada, a circa trecento metri dall’arrivo. Ma lei è Marianne Vos, figurati se non sarà lei, anche oggi, ad alzare le braccia al cielo.


La Maglia Rosa e il duello Vos-Balsamo

Dicono che il primo giorno in cui indossi la maglia rosa è il giorno in cui te ne rendi conto. Anche se la sera prima l'hai tenuta distesa sul tuo letto. Sì, perché te la vedi addosso e gli altri ti vedono con quella maglia. Del giorno in cui la conquisti non hai una foto di gara con quella maglia e per sentirla vera devi poterti vedere in gruppo con quel colore, devi essere cercata fra le altre e individuata perché tu, proprio tu, sei la maglia rosa. Per Elisa Balsamo quel giorno è stato oggi. Aveva anche il casco e gli occhiali rosa, un richiamo. Si richiama ciò che vuoi ricordare, che vuoi far ricordare: l'orgoglio.
Dicono che, quando sei all'attacco e ti avvisano di essere maglia rosa virtuale, ovvero la maglia rosa del futuro, senza foto e senza colore, almeno per ora, trovi forze che non avresti mai trovato. Alessia Vigilia è stata quel futuro sospeso per diversi chilometri. Dicono che i genitori, a casa, provino ansia sin dal mattino quando sanno che sei in fuga perché in quella fuga rivedono ciò che solo loro sanno, ciò che solo loro hanno visto. E sono tutte cose vere, più che mai vere: gli sfoghi, le delusioni, i timori. E poi anche la felicità: loro, la tua felicità, la conoscono bene. La chiamano in tanti modi. A sera, a fine tappa, al telefono, la chiamano orgoglio. Quando ti hanno visto scattare e tornare a scattare col gruppo dietro, fiera.
Dicono che i fuoriclasse abbiano un'idea in più per ogni volta in cui non funziona. Anzi, dicono proprio che le idee arrivino più decise quando le cose non sono andate come avresti voluto. L'idea di tornare a fare esattamente la stessa cosa perché vuoi vincere e vuoi vincere così. Come gli ultimi ragazzini che lasciano il campo dopo aver provato a fare e rifare lo stesso tiro, fino a che non è riuscito. I fuoriclasse sono come quei ragazzini. Marianne Vos è come loro quando parte e cerca di anticipare Elisa Balsamo, come ieri. Elisa Balsamo è come quei ragazzini quando la vede con la coda dell'occhio e cerca di prenderle la ruota. Anche i genitori a casa assomigliano a quei ragazzini: la mamma di Charlotte Kool, oggi seconda, ad esempio, che l’ha messa in bicicletta per permetterle di andare a pattinare.
Marianne Vos tiene, Marianne Vos vince a Olbia. A Leuven aveva detto a Balsamo che era quasi arrabbiata, dalla tanta delusione e non avrebbe avuto voglia di parlare con nessuno, eppure era andata a dirle che era stata brava perché i campioni fanno così. Elisa Balsamo, sul traguardo, aveva lo sguardo fisso, pensieroso, quasi a chiedersi dove fosse il problema, perché quelle gambe oggi non siano state come ieri. È un piccolo dolore.
Eppure le idee arrivano così. In quel pensiero si intravedono tante idee. Domani al Giro Donne ci sarà riposo, quella stessa maglia rosa sarà distesa sul letto di Balsamo come ieri sera, mentre Vos in testa avrà la maglia rosa futura, quella che non c'è ancora da nessuna parte, se non in una fuga immaginata, in un abbuono, in un varco spazio temporale. Le idee, plasmate dall'orgoglio, verranno da lì. Lunedì, a Cesena, vedremo il resto.


Come cristalli

Sembrerebbe sabbia, vista dall’alto. Magari di qualche spiaggia a ridosso del mare del Nord. Sono cristalli di neve, invece, a Vermiglio, in Val di Sole. Qualcuno racconta che ognuno abbia una forma particolare, diversa dagli altri, come le impronte digitali umane. Non ti aspetteresti biciclette da cross qui.
Se qualche giorno fa, vi avessimo raccontato la storia di Fem Van Empel, certamente vi sarebbe tornata in mente, vedendola davanti dall’inizio. Questa ragazza che giocava a calcio e provava qualunque ruolo perché le interessava correre, insistere. Il calcio l’ha lasciato perché ha capito che non tutti in campo davano il loro meglio, che c’era chi si risparmiava. Ha preso la bicicletta perché lì dipendeva tutto da lei. È stata una delle poche a riuscire, qualche volta, a saltare gli ostacoli in sella, senza scendere.
Non è facile con queste canaline che si formano tra la neve farinosa: c’è il rischio siano ghiacciate, puoi sprofondare, di certo sbandi, ne esci sbilenca, quasi scomposta, la prospettiva futurista di un corpo umano. Il sole qui arriva per poco tempo, il resto è ombra e luce biancastra che imbroglia.
Marianne Vos è quella di sempre, anche se ha un incidente meccanico e una scivolata che sembra impedirle di ritornare su Van Empel proprio dopo una rimonta incredibile.
Un brutto presagio come un malinconico tramonto, il sole che se ne va, poco dopo le due del pomeriggio. Dietro si continua a prendere la bici in spalla e rincorrere. Dopo cinque giri sembra di sentire il fiato che finisce e l’aria fredda che dalla bocca spalancata gela la trachea, si impossessa del respiro.
Vos e Van Empel arriverebbero allo sprint se non fosse per la neve o forse per un paletto in una curva che Vos non vede e frana a terra. Sembra infinito anche il tempo per rialzarsi qui, invece sono pochi secondi, quasi di agonia, perché scivoli e perché sai che l’altra se ne va.
Van Empel, a soli diciannove anni, vince davanti a colei che ha vinto tutto. Seguono Vos e Rochette, Eva Lechner è quarta, Alice Maria Arzuffi settima, Silvia Persico decima. C’è chi dice che Van Empel, dopo ciò che ha fatto, meritava la vittoria e chi sostiene che per quello che ha fatto Vos oggi è un peccato sia finita così. Forse sono vere entrambe le cose, com’è vero che, comunque vada, vince uno solo, giusto o meno che sia. Basta poco per una ciclista, dura e fragile come cristallo di neve.

Foto: Giacomo Podetti