Il motore della polivalenza

Tra i vari spunti nati durante l'Europeo appena concluso, il discorso sulla multidisciplinarità che coinvolge i protagonisti di (quasi) tutte le gare ha un'importanza centrale.
Volendo stringere il campo ai medagliati fa impressione come molti di loro abbiano in comune la pratica di altre discipline, o un passato che non si è cibato di sola strada e in alcuni casi nemmeno di solo ciclismo. Su 36 medaglie assegnate nelle prove individuali ben 22 affondano le radici altrove - e da questo dato abbiamo tenuto fuori Evenepoel, ex calciatore.
Si parla di corridori di elevata caratura, senza ombra di dubbio, ma un talento non è tale se non è coltivato e allenato, ed è così che grazie al lavoro al di fuori della strada (ciclocross, mtb, pista) migliora l'esplosività, la capacità di esprimersi fuori soglia, l'abilità nella guida del mezzo, il colpo d'occhio, persino la qualità della pedalata. E la capacità di portare nelle varie specialità ciò che si è assorbito altrove, e in alcuni casi non per forza solo nel ciclismo, è un'importante tema di dibattito.

Il podio della gara juniores maschile è formata da due che in inverno praticano ciclocross: Grégoire e Martinez. Se Grégoire - un predestinato assoluto del ciclismo mondiale - sceglie il fango più per allenarsi in inverno e non perdere il colpo di pedale, Martinez è attualmente vice campione nazionale nel cx tra gli junior. Carente ancora nella capacità di guida, è proprio insistendo nel fuoristrada che riuscirà a limare i propri difetti. Dello stesso avviso è Uijtdebroeks (argento nella crono), da molti considerato il più grande talento tra i 2003: l'anno prossimo salterà direttamente da junior al World Tour, ma prima di farlo ha già detto che gareggerà nel ciclocross per migliorare le sue capacità di guida.

In mezzo ai due francesi è arrivato il norvegese Hagenes, uno che d'inverno fa sci di fondo e lo ha fatto anche a buon livello tanto da dominare una gara di coppa di Norvegia lo scorso anno. Alla domanda se continuerà con entrambe le attività ci ha risposto che l'impegno su strada con la Jumbo-Visma Development Team l'anno prossimo sarà centrale, ma che d'inverno continuerà a infilarsi gli sci ai piedi per mantenere la forma. E aggiungiamo noi: per staccare, rilassarsi e poi tornare a divertirsi in bici, altro punto focale del discorso.
L'ungherese Vas tra tutti è l'esempio più eclatante: il suo motore è impressionante, le sue caratteristiche sono un vero trattato sulla multidisciplinarità. Vas è stata battuta da Zanardi (a proposito: campionessa europea su pista), ma poche settimane fa arrivava quarta a Tokyo nella prova di Cross Country di MTB dietro le dominatrici svizzere, mentre in inverno è una che, seppur giovanissima, un po' alla volta mette con profitto la sua bici in mezzo o davanti alle élite olandesi.

Due terzi del podio della crono maschile under 23 arriva da pista (Price-Pejtersen, Danimarca) e ciclocross (Waerenskjold, Norvegia). Se il danese continua l'attività nei velodromi, il norvegese, dopo aver vinto diversi titoli nazionali, ora nel ciclocross si cimenta più per tenersi allenato che per un fatto puramente agonistico.

Il podio della crono maschile non ha bisogno certo di presentazione: Ganna e Küng su pista hanno giusto qualche risultato importante, mentre tra le donne élite, Reusser (oro nella crono) arriva da Triathlon (come anche Segaert, oro nella crono junior maschile) e Bike Marathon, Muzic (bronzo in linea) la puoi trovare gareggiare, a volte, nel ciclocross.

Una delle vittorie più imprevedibili della rassegna europea, quella di Thibau Nys, nasce proprio dalle brughiere, infangate o polverose a seconda del momento.
Di che leggenda del CX parliamo quando parliamo di suo padre Sven inutile dirlo, ma anche Thibau qualcosa ha fatto prima di sorprendere tutti nello sprint ristretto davanti al Duomo, incuriosendoci non tanto per la vittoria - fosse veloce si sapeva - quanto per essere riuscito a rimanere attaccato ai migliori: i limiti del classe 2002 belga sono ancora inesplorati e su strada potrà fare una carriera ancora superiore di quella accennata nel fuoristrada. Che continuerà comunque a praticare con profitto portando poi sull'asfalto tutto quello che avrà assorbito e imparato.

E ancora: Ivanchenko, oro nella crono junior femminile, ha dominato i recenti mondiali su pista di categoria con tre ori; Niedermaier, seconda, arriva dallo Sci Alpinismo, un mondo che continua a frequentare, mentre Uijen, terza, si difende bene anche su pista, come Le Huitouze, bronzo nella crono junior maschile, e Brennauer, bronzo élite femminile sempre contro il tempo.
Infine van Dijk, un oro e due argenti a Trento e un palmarès da favola a cronometro, ha iniziato la sua carriera sportiva nello speed skating praticato a buon livello - e buon livello per lo speed skating in Olanda significa avere una certa rilevanza.

 

Vuol dire poco o nulla, magari, in taluni casi, soprattutto se parliamo di attività svolte in età precoce, ma è evidente come questi motori abbiano iniziato a svilupparsi non solo lontano dalla strada, ma anche dalle due ruote. E così, all'apparenza, sembra male non faccia.

Anche l'Italia mostra qualcosa in ambito multidisciplinarità, pur rimanendo la pista ciò che dà maggiore impulso al movimento. Zanardi l'abbiamo già nominata, mentre Guazzini, campionessa europea a cronometro tra le Under 23 punta a diventare una big assoluta nei velodromi. E ci siamo fermati alle medaglie altrimenti l'elenco sarebbe sterminato.
Si iniziano anche a intravedere anche alcuni giovanissimi che partendo da esperienze maturate nel ciclocross (tre nomi: Realini, Masciarelli e Olivo, il quale va forte anche su pista) provano a ottenere risultati anche su strada. Qualcosa si muove anche da noi ed è arrivato il momento di investire ulteriormente e di spingere sull'acceleratore della polivalenza (che significa proprio il contrario dell'abbandonare un'attività a discapito dell'altra, soprattutto nel caso del ciclocross) che come abbiamo visto, può dare solo buoni frutti.

Foto: Bettini


Figli e famiglie - TRENTINO 2021 - DAY 4

"Per i figli questo e altro". La citazione arriva direttamente dalla mamma di un corridore norvegese, Sebastian Larsen, anche se in realtà lei me lo pronuncia in tutt'altro modo, tanto che devo controllore la lista di partenza per capire di chi sta parlando.

«Per i figli viaggiamo in lungo e largo». È sempre lei a dirlo e aggiunge, con un largo sorriso «Venire in Italia è sempre bello e sai perché? Per il cibo!» Ovviamente.
Settimana scorsa lei e il marito erano a La Spezia per il Giro della Lunigiana, ma hanno girato tutta l'Europa per sostenerlo. Sebastian qui rappresenta una delle squadre faro dell'intero movimento giovanile. «Ma la Norvegia oggi sarà tutta per Hagenes» mi confida. Così sarà.

Per i figli ci si concia in ogni modo. Ci sono quelli di Pinarello, con un cartello tricolore con su scritto: "Forza Pinna"; ci sono finlandesi con delle piume di struzzo biancocelesti in testa; ci sono quelli di Francesca Barale che quando lo speaker fa il suo nome tra quelle nel gruppo di testa urlano e battono sui cartelloni come fossero allo stadio.

Quelli di Marta Ciabocco, argento nella prova junior femminile, «Un po' sono a Trento, ma altri mi stanno spingendo da casa». Mentre Hagenes, argento nella prova maschile, qui ha padre e sorella, mi dice.

Alcuni tifosi austriaci hanno la faccia dipinta, mentre quelli di Pija Galof, da Kranj, dicono che per loro essere al seguito della figlia è adrenalina, e la definiscono come una sensazione magica. Ci sono i tifosi di Alec Segaert, pochi giorni fa vincitore della prova a cronometro junior, con uno stiloso cappellino da ciclista nero e la scritta oro. Chiedo se ne hanno uno da darmi, mi ridono in faccia.

Ci sono quelli di Romele che a ogni passaggio urlano «Forza Ale!». Che "Ale" sia davanti o dietro in quel momento non importa, l'importante comunque vada è arrivare: «Perché quando tagliano il traguardo - mi racconta la mamma di Vittoria Guazzini - è un sollievo. C'è sempre un po' di ansia nel seguire le gare; per questo quando possiamo le stiamo vicino. Quando ci sono cadute si passano attimi che non augurerei a nessuno». E papà Guazzini lì vicino, aggiunge, scherzoso, con deciso accento toscano: «Forse l'era meglio la pallavolo».

Per i figli ciclisti c'è apprensione. «Abbiamo sempre un sacco di bende a casa» è la battuta con cui apre la mamma di Brennsaeter, altro ragazzo del nord. È pieno di genitori-tifosi norvegesi che riempiono tutte le vie lungo il circuito. «Ma noi seguiamo i nostri figli perché succede una sola volta nella vita di vederli difendere la maglia della nazionale. La sola idea mi mette i brividi». Più che paura di quello che potrà succedere domina il nervosismo nel seguire la gara: «D'altra parte non puoi avere paura: loro assorbono tutto».

I figli sono anche nipoti e difatti incontriamo il nonno di Barbara Malcotti. Barbara corre la prova Under 23 e la segue un club niente male che comprende intere generazioni: genitori, nonno, fratelli, zii e con loro un gruppetto numeroso di piccole cicliste con campanacci e trombette. Di fianco, "gli adulti" vestono tutti una maglia con scritto "Forza Barbara". «Siamo venuti giù da Storo - mi dice, orgoglioso, spiegandomi dove si trova geograficamente - per far sentire la nostra vicinanza e far sentire un po' di clima gara a questi ragazzi qua» indicando i piccoli ultras di Barbara.

E c'è un signore con una camicia a righe che negli ultimi chilometri della gara under 23 non riesce a stare fermo, si mette le mani tra i capelli, si guarda in giro nervoso. Quando Silvia Zanardi vince superando Blanka Vas sul traguardo, la piazza esplode, lui reagisce come si reagisce a un gol. Prende il telefono e piangendo riesce a dire solo: «Ha vinto! Ha vinto!». È lo zio della campionessa europea, mentre dall'altra parte del telefono, «la nonna che segue tutte le mie gare», mi rivela proprio Silvia Zanardi, tra il raggiante e il commosso.

Ci sono ragazzi, poi, che sono pura eredità ciclistica, come Lenny Martinez, bronzo tra gli junior e figlio della leggenda della mountain bike Miguel. Scherziamo, entrambi in un inglese più stentato che scolastico, sul fatto che lui e il papà sono due gocce d'acqua, ci fissiamo sul fatto che suo padre oggi non fosse presente, ma che lo consiglia sempre, soprattutto per migliorare tecnicamente nella guida del mezzo. «La corsa che vorrei vincere? Il Tour de France». Per inciso, suo nonno Mariano al Tour conquistò due tappe e la maglia a pois.

E questi figli ciclisti, poi, a fine gara vanno rincuorati come succede con Boris Reinderik. Piange a dirotto dopo il traguardo, viene consolato dai genitori e dalla sorella, si fanno fare una foto da un passante mostrando la bandiera dell'Acterhoek, la regione da dove arrivano. Vittoria o sconfitta, a fine gara, dopo un abbraccio e qualche parola torna il sorriso.

Foto: Bettini