“Per i figli questo e altro”. La citazione arriva direttamente dalla mamma di un corridore norvegese, Sebastian Larsen, anche se in realtà lei me lo pronuncia in tutt’altro modo, tanto che devo controllore la lista di partenza per capire di chi sta parlando.

«Per i figli viaggiamo in lungo e largo». È sempre lei a dirlo e aggiunge, con un largo sorriso «Venire in Italia è sempre bello e sai perché? Per il cibo!» Ovviamente.
Settimana scorsa lei e il marito erano a La Spezia per il Giro della Lunigiana, ma hanno girato tutta l’Europa per sostenerlo. Sebastian qui rappresenta una delle squadre faro dell’intero movimento giovanile. «Ma la Norvegia oggi sarà tutta per Hagenes» mi confida. Così sarà.

Per i figli ci si concia in ogni modo. Ci sono quelli di Pinarello, con un cartello tricolore con su scritto: “Forza Pinna”; ci sono finlandesi con delle piume di struzzo biancocelesti in testa; ci sono quelli di Francesca Barale che quando lo speaker fa il suo nome tra quelle nel gruppo di testa urlano e battono sui cartelloni come fossero allo stadio.

Quelli di Marta Ciabocco, argento nella prova junior femminile, «Un po’ sono a Trento, ma altri mi stanno spingendo da casa». Mentre Hagenes, argento nella prova maschile, qui ha padre e sorella, mi dice.

Alcuni tifosi austriaci hanno la faccia dipinta, mentre quelli di Pija Galof, da Kranj, dicono che per loro essere al seguito della figlia è adrenalina, e la definiscono come una sensazione magica. Ci sono i tifosi di Alec Segaert, pochi giorni fa vincitore della prova a cronometro junior, con uno stiloso cappellino da ciclista nero e la scritta oro. Chiedo se ne hanno uno da darmi, mi ridono in faccia.

Ci sono quelli di Romele che a ogni passaggio urlano «Forza Ale!». Che “Ale” sia davanti o dietro in quel momento non importa, l’importante comunque vada è arrivare: «Perché quando tagliano il traguardo – mi racconta la mamma di Vittoria Guazzini – è un sollievo. C’è sempre un po’ di ansia nel seguire le gare; per questo quando possiamo le stiamo vicino. Quando ci sono cadute si passano attimi che non augurerei a nessuno». E papà Guazzini lì vicino, aggiunge, scherzoso, con deciso accento toscano: «Forse l’era meglio la pallavolo».

Per i figli ciclisti c’è apprensione. «Abbiamo sempre un sacco di bende a casa» è la battuta con cui apre la mamma di Brennsaeter, altro ragazzo del nord. È pieno di genitori-tifosi norvegesi che riempiono tutte le vie lungo il circuito. «Ma noi seguiamo i nostri figli perché succede una sola volta nella vita di vederli difendere la maglia della nazionale. La sola idea mi mette i brividi». Più che paura di quello che potrà succedere domina il nervosismo nel seguire la gara: «D’altra parte non puoi avere paura: loro assorbono tutto».

I figli sono anche nipoti e difatti incontriamo il nonno di Barbara Malcotti. Barbara corre la prova Under 23 e la segue un club niente male che comprende intere generazioni: genitori, nonno, fratelli, zii e con loro un gruppetto numeroso di piccole cicliste con campanacci e trombette. Di fianco, “gli adulti” vestono tutti una maglia con scritto “Forza Barbara”. «Siamo venuti giù da Storo – mi dice, orgoglioso, spiegandomi dove si trova geograficamente – per far sentire la nostra vicinanza e far sentire un po’ di clima gara a questi ragazzi qua» indicando i piccoli ultras di Barbara.

E c’è un signore con una camicia a righe che negli ultimi chilometri della gara under 23 non riesce a stare fermo, si mette le mani tra i capelli, si guarda in giro nervoso. Quando Silvia Zanardi vince superando Blanka Vas sul traguardo, la piazza esplode, lui reagisce come si reagisce a un gol. Prende il telefono e piangendo riesce a dire solo: «Ha vinto! Ha vinto!». È lo zio della campionessa europea, mentre dall’altra parte del telefono, «la nonna che segue tutte le mie gare», mi rivela proprio Silvia Zanardi, tra il raggiante e il commosso.

Ci sono ragazzi, poi, che sono pura eredità ciclistica, come Lenny Martinez, bronzo tra gli junior e figlio della leggenda della mountain bike Miguel. Scherziamo, entrambi in un inglese più stentato che scolastico, sul fatto che lui e il papà sono due gocce d’acqua, ci fissiamo sul fatto che suo padre oggi non fosse presente, ma che lo consiglia sempre, soprattutto per migliorare tecnicamente nella guida del mezzo. «La corsa che vorrei vincere? Il Tour de France». Per inciso, suo nonno Mariano al Tour conquistò due tappe e la maglia a pois.

E questi figli ciclisti, poi, a fine gara vanno rincuorati come succede con Boris Reinderik. Piange a dirotto dopo il traguardo, viene consolato dai genitori e dalla sorella, si fanno fare una foto da un passante mostrando la bandiera dell’Acterhoek, la regione da dove arrivano. Vittoria o sconfitta, a fine gara, dopo un abbraccio e qualche parola torna il sorriso.

Foto: Bettini