Lungo la salita di Povo, Ellen van Dijk cerca lo sguardo di Soraya Paladin. La osserva soffrire ma diffida: «è il tipico teatro all’ italiana» – dirà sdrammatizzando a fine corsa. Ma in realtà Soraya, a tutta davvero, si stacca.

E mentre van Dijk se ne va un signore mi passa di fianco, andatura leggermente claudicante, mi intima di continuare a godere della corsa, dei corridori, di tutti quei colori, di tutta quella gente: «Tu resta qui, comodo, che io vado a prendere un po’ di burro: stasera speck e finferle con la polenta».

Digiuno, riacquisto forza e spirito di osservazione cercando di leggere bene le mosse delle inseguitrici di van Dijk, che tra energie residue e tattiche di gara perdono all’improvviso tutto il margine guadagnato dopo essere arrivate a tanto così dalla sua coda.

In mattinata, durante la prova degli Under 23, accendo Eurosport sul mio telefono; incontro lungo il percorso una ex ciclista della Repubblica Ceca, mi racconta di quando in pista ha sfidato Vos e insiste perché le faccia vedere a che punto sono i suoi compatrioti.

Cerca Toupalik con lo sguardo quando sente i telecronisti dire: «passa davanti un corridore della Repubblica Ceca»; cerca Toupalik con lo sguardo quando il gruppo ci passa davanti pochi minuti dopo a una velocità che sarebbe difficile quantificare a occhio nudo. Dice che per domani tiferà per Štybar (Repubblica Ceca), Sagan (Slovacchia) e «per Italia».

Prima del via cerco gli sguardi dei corridori tra i pullman, provo a capirne atteggiamenti e concentrazione. È ancora presto e un ragazzo polacco sbadiglia e si stropiccia gli occhi, mentre Van Tricht, Belgio, è un perfettino: prima di salire sui rulli e riscaldarsi si guarda intorno, si aggiusta il ciuffo, osserva attentamente la bici, se la fa sistemare; poi non è soddisfatto, se la fa sistemare di nuovo, la prende e ci fa un giro, la molla, entra nel camper e sparisce dagli sguardi dei curiosi – me compreso – attorno.

Ognuno gestisce a modo suo: Garofoli, fuori dal pullman dell’Italia, appare concentrato come stesse facendo una partita a scacchi, mentre Colnaghi alleggerisce la difesa esclamando: «ma guarda che bel popolo quello danese: portano il caffè ai loro corridori».

Il carico sale sulle spalle degli azzurri, corridori di casa, che da lì a poco metteranno in strada una gara (quasi) perfetta. Quel quasi sta per “argento a Baroncini”, mica male eh, però, parole sue: «Forse abbiamo sottovalutato la volata di Nys».

Thibaut Nys, che sono fiori nuovi che sbocciano mentre noi invecchiamo: conosciamo ogni giorno figli di leggende che abbiamo visto correre, ma nel caso del figlio di Nys significa aver già battuto (almeno su strada) il padre.

E su quel podio ci sale anche Ayuso, bronzo, che ha fatto fare gara selettiva: lo sguardo è teso a fine gara, è quello del campione che non vorrebbe perdere mai: «Almeno ho dimostrato di essere forte anche allo sprint».

La sua Spagna ha messo giù corsa dura dal primo metro, forse già dal foglio firma: il numero 33, Azparren, ha tirato a lungo. Poche ore dopo lo vedo vicino alle transenne con il sacchetto del rifornimento per le ragazze della nazionale spagnola. Incrociamo lo sguardo, poi lui guarda il gruppo passare, ma le connazionali si sono staccate. Dice qualcosa alla radio, si allontana. La gara per loro è finita da un po’, mentre Ellen van Dijk tutta solo arriva al traguardo.