Inizialmente “The Hills” non era nemmeno un’idea. Mattia De Marchi aveva semplicemente inviato un messaggio alla pagina instagram di una gara in mountain bike delle zone di Asiago, non lontano da casa sua: l’aveva incuriosito il fatto che qualche post parlasse della possibilità di introdurre una ride gravel affiancata alla gara vera e propria. Quel messaggio era un gioco, nulla più: al massimo una proposta e una provocazione. «Perché invece di una semplice ride non si organizza una gara vera e propria?»
«Parliamone» è la parola chiave nella risposta, ovvero l’input per un incontro. Accadrà in questo modo: settimane più tardi, De Marchi incontrerà Nicolò e Federico, l’addetto alla comunicazione e l’organizzatore di quella gara in mountain bike.

Il discorso intavolato da Mattia De Marchi è più ampio, in realtà: «La mia domanda riguarda il motivo per cui in Italia, salvo le occasioni collegate a Mondiali ed Europei, la disciplina gravel non venga mai considerata come un appuntamento fisso, ma, al contrario, come qualcosa di occasionale. In altri paesi non è così, guardiamo alla Spagna ad esempio, pensiamo a The Traka ed alla sua crescita costante di iscritti, e non c’è motivo per cui le cose non possano cambiare anche da noi».
Dall’incontro dei tre si è aperto un varco: Federico era stato contattato dal polo sportivo de “Le Bandie” per organizzare una gara gravel nel 2025 e le parole di Mattia sono state per lui un gancio a cui appigliarsi per sviluppare il progetto: «Posso farmi tranquillamente carico di ogni aspetto organizzativo, ma l’universo gravel per me è completamente nuovo, non conosco alcuna dinamica. Perché non mi porti quel che hai visto in giro per il mondo? Quelle esperienze saranno la nostra base». Un salto temporale di qualche tempo, l’apprezzamento per l’umiltà, per l’ammissione di non conoscere, tanto rara ai nostri tempi, ed è così che “The Hills”, che non era nemmeno un’idea, ha una data certa ed i numeri che ne costruiscono la carta d’identità: l’evento si terrà dal 28 al 30 marzo, e la gara, iscritta al circuito “gravel earth series”, si disputerà il 29 marzo, su un percorso di 170 chilometri e 2200 metri di dislivello, con partenza e arrivo al lago Le Bandie. Ma non è tutto.

«Penso ad un contenitore, vorrei “The Hills” fosse questo. La gara ci sarà, tuttavia non può bastare, serve un pensiero ben più arioso: chiunque vorrà mettersi alla prova dovrà essere coinvolto. Che sia una sfida con la propria persona o con altri fa poca differenza. Immaginiamo “The Hills” come giorni e luoghi in cui ciascuno in una diversa categoria potrà girare in bicicletta, scoprire un posto, magari riviverlo, andarci con un amico, che, poi, a ben pensarci, è il bello della bicicletta e del gravel: la molteplicità di sfaccettature con cui possono far parte della nostra quotidianità. Per questo è necessario un villaggio sempre vivo che pulluli di attività correlate, nei giorni prima e anche nelle ore successive alla gara: lì potranno fermarsi le famiglie, i bambini ed il lago Le Bandie è perfetto perché il suo polo sportivo può radunare vari eventi, oltre al fatto che, attorno al lago, ci sarà posto per camper e tende. Insomma, la definizione perfetta di villaggio».
Il panorama sarà quindi quello delle colline del Prosecco, il percorso sarà a metà tra un circuito ed un “non circuito”: alcuni tratti verranno ripetuti più volte, anche al fine di rendere più sicura la gara. In questo senso l’UCI ha fatto molto nel tempo, pur se capita ancora di trovare situazioni rischiose, mal segnalate o non segnalate. Si proverà anche a lavorare sulla consapevolezza del territorio, comuni e prefetture, rispetto al gravel come modalità di promozione di paesi, città e ambienti naturali, qualcosa di cui non c’è ancora piena coscienza. Questa scelta permetterà inoltre di alternare un flow a volte lento, a volte più veloce, con scorci paesaggistici ed anche tratti più tecnici. Una costruzione completa, affinché nessuno si senta escluso.
«Le strade del Prosecco sono bellissime, ma trafficate, dense di paesi e paesini, tuttavia basta andare verso le colline perché si entri in una sorta di dimensione parallela, dove non ci sono più auto ma silenzio, fuori dal traffico, quasi isolati, una prospettiva diversa e rilassante. Ovviamente ci saranno punti difficili, faticosi ed è necessario che ci siano perché senza fatica non resta nulla, nemmeno il ricordo. Qualcosa sulle gambe te lo devi portare a casa, la troppa facilità non fa bene a nessuno. Il doppio passaggio l’abbiamo ideato in quest’ottica; la fatica spesso toglie la possibilità di guardarsi attorno, di vedere il paesaggio perché l’agonismo puro ha questo effetto. Bene, ci piace pensare che, in questo modo, magari al secondo transito, tutti possano alzare gli occhi e memorizzare un dettaglio, chissà». Il dato di fatto è che il livello si sta sempre più alzando ed è un bene perché aumenta l’interesse e le persone che vogliono partecipare in una sorta di volano, di circolo virtuoso che si autoalimenta. Secondo Mattia De Marchi chi vive per 365 giorni all’anno questo mondo ha il dovere di focalizzarsi sulla community e pensare a come fare per accrescerla e per tenerla unita altrimenti c’è il rischio di perderla. Da questo punto di vista, precisa che si può fare di più ed è una questione di trovare un equilibrio fra la performance ed il tempo libero, lo svago, il divertimento, due volti che si fatica a tenere assieme, ma nel gravel ci sono e sono indispensabili, perché non si corre e basta e tutti lo sanno.
De Marchi parla di podcast, di racconto, di narrazione di quel che si fa, poi apre una parentesi sulle atlete e sugli atleti che inviterà: «La proposta è quella di trascorrere giorni di corsa spensierata, senza alcuna preoccupazione per il risultato perché ad un professionista, in ogni caso, non cambierà nulla da quel punto di vista. Sono però certo che possa fare stare meglio un’esperienza simile, anzi, dico di più, credo che qualcuno proverà a ritagliarsi qualche giorno, qualche fine settimana libero per rivivere questa sensazione, per respirare e considerando la routine intensa degli atleti nel World Tour l’importanza è enorme, perché staccare aiuta anche a rendere meglio quando si riprende». Per questo l’interesse è papabile e anche Lachlan Morton ha chiesto informazioni, lui che spazia in ogni angolo del ciclismo quando lo interpreta con i suoi viaggi, le sue imprese. A Le Bandie ci sarà un hotel, messo a disposizione degli ospiti: un modo per far incontrare i vari mondi della bicicletta.

Sicuramente una marcia in più è identificata nell’appartenenza a “gravel earth series” per l’approccio aperto e pienamente in armonia con quella che è l’essenza del gravel, un altro passo sarà da fare nel tempo: «Si tratta di un discorso generale: non sono gli eventi a mancare, perché a ben analizzare la realtà, se è vero che mancano eventi assimilabili ad Europei e Mondiali, è altrettanto certo che sono davvero molte le competizioni o le ride organizzate sul territorio e questo potrebbe anche essere un bene. Il problema credo risieda nella qualità: che qualità si è in grado di mantenere? La buona volontà degli organizzatori non la metto in dubbio, ma è una domanda da farsi. Le persone magari scelgono questi eventi perché hanno un costo inferiore, ma davvero ci si può fermare al costo? Sarebbe necessario applicare un filtro ai vari eventi, quello della qualità. Lo sforzo organizzativo si paga, tuttavia è proprio questo a garantire la sicurezza».
Non è stato facile per Mattia De Marchi iniziare questo progetto e prenderne le redini in questo ruolo, soprattutto non è facile la responsabilità che comporta il “metterci la faccia”: alla fine si è risposto che non poteva fare altrimenti e che, forse, questa era una sorta di sua «restituzione» alla community di tutto ciò che il gravel gli ha consegnato, un suo modo di prendersene cura, magari mettendo da parte per un poco il lato agonistico a cui si dedica sempre e di cui, per come è cresciuto, non potrebbe fare a meno. Qualcuno gli ha detto che, in fondo, è proprio lui la chiave dell’evento e se ci pensa bene, in effetti, la sua storia ha ispirato molti nell’avvicinamento al gravel. «Di tutto ciò che c’è di bello, la cosa migliore è il fatto che “non ci saranno transenne” a dividere, non ci sarà una separazione tra top rider e altri. Saremo tutti ciclisti, tutti insieme, provando a cancellare barriere e differenze, perché anche questo è uno dei compiti della bicicletta».