Le ultime settimane di Tim Declercq potrebbero far venire in mente la storia di Enrico Fiabeschi, personaggio creato da Andrea Pazienza, o di qualsiasi altro (celebre) studente fuori corso. Poche giorni fa infatti Tim, che noi abbiamo imparato ad apprezzare per essere “El Tractor” colui che prende in mano il gruppo e pare non mollarlo mai, si è laureato dopo «14 anni. Sia io che i miei genitori pensavamo potesse rimanere soltanto un sogno». Laurea con un master in educazione fisica, training option e coaching. «Era arrivato il tempo che mi muovessi un po’ per farlo: ho iniziato questo corso prima ancora di sapere se mai sarei diventato un corridore professionista».
E fa sorridere pensare a De Clercq magari un po’ impigrito e ingobbito sui libri dopo aver tirato il gruppo 200 km a corsa: perché quante volte lo abbiamo raccontato? Accendi la tv e l’unica sicurezza che c’è al mondo è quella di vedere prima o poi la sua sagoma, infinita come quella di una cisterna di birra nei sogni di un assetato, davanti a tirare. E quando lo fa non smette mai.
«La mia fortuna – racconta il 32enne belga di Leuven, campione nazionale tra gli Under 23 nel 2011 ma che in carriera deve ancora vincere la sua prima corsa tra i professionisti – è stata quella di aver presentato la parte pratica degli esami lavorando su uno studio fatto sui diversi ruoli e sulle diverse prestazioni dei miei compagni di squadra». Viene spontaneo chiedersi quanto i rapporti prestazionali studiati siano stati influenzati dalle menate di cui si rende protagonista in testa al gruppo. O chissà magari facevano proprio parte dei suoi test.
Ha avuto tempo, De Clercq, di raccontare una stagione che lo ha visto protagonista in prima persona dei maggiori successi di squadra. «Il momento più bello è stato il Fiandre: non c’è migliore soddisfazione di vedere i tuoi compagni che vincono e poi ti ringraziano per quello che hai fatto». Al Tour Declercq è stato vittima di una brutta caduta; ha sofferto come soffre solo chi cade e si fa male e poi è costretto a rialzarsi e continuare, e non c’è sole a picco, pioggia, montagna che possa mandarti a casa, «ma l’obiettivo di aiutare Cav a chiudere a Parigi in maglia verde lo abbiamo portato a casa». Mentre per l’anno prossimo, dopo aver appena disputato «e sofferto come una bestia, non riuscivo nemmeno stare seduto in sella» una Parigi Roubaix sotto la pioggia, spera che l’Inferno del Nord si possa di nuovo correre in primavera «e che gli dei del tempo siano clementi».
Di lui un giornalista belga scrisse anni fa: “Quando Declercq accelera, pare una vecchia lumaca”. Lui che c’ha messo 14 anni per laurearsi, non si scompone e rilancia. «Una vittoria personale sarebbe bella, ma se c’è una volata di sette corridori arrivo ottavo: il mio obiettivo principale resta quello di lavorare per la mia squadra». Un lavoro sporco che da oggi farà come laureato.