Potrebbe essere una sera, una delle tante, in cui Genova ed il suo mare sono avvolti nel buio. Genova in un ritratto, come la narrava Giorgio Caproni, nella notte la pensiamo così: “Genova di solitudine, straducole, ebrietudine. Genova di limone. Di specchio. Di cannone. Genova da intravedere, mattoni, ghiaia, scogliere. Genova grigia e celeste. Ragazze. Bottiglie. Ceste. Genova di tufo e sole, rincorse, sassaiole”. Le finestre delle case sono quadri illuminati e chissà cosa accade dietro le tende, mentre il mare è mosso. Chissà la felicità, la paura, la stanchezza ed i pensieri. Chissà il giorno che nascerà, il domani, ora dov’è, come suona o risuona alle orecchie, come si compone nell’immaginazione. Da qualche parte c’è Marco Bragagnolo, già nel letto, è una delle sere in cui il sonno non vuole arrivare, turbato da qualche preoccupazione: «Ti giri e ti rigiri nel letto, non funziona. Qualcuno conta le pecore in questa circostanza, ognuno ha i propri trucchi. Personalmente mi visualizzo in bicicletta, da solo, tranquillo, con una leggera brezza che mi viene incontro, magari sull’Alta Via dei Monti Liguri, dove compaiono i pascoli e la natura regna sovrana. Riempio questa situazione di dettagli e, lentamente, le braccia di Morfeo mi avvolgono». Qualcosa di simile allo stare sdraiati sul letto, occhi al soffitto, dopo il click che spegne la luce in camera, a pensare ad un amore per ritrovare serenità. La bicicletta è un amore per Marco Bragagnolo, un amore nato presto, forse un poco “immaturo”, o solamente diverso, più forte, toccante, com’è nell’adolescenza, ed evolutosi negli anni, cresciuto con lui, migliorato come un buon vino, non più quel che “strazia”, che toglie la fame, ma che si deposita e resta.

«Era un sentimento morboso, che, dapprima, aveva molto a che fare anche con l’estetica dell’oggetto bicicletta, che mi affascinava, mi ammaliava. Mi piaceva andare a pedalare e su quell’istante si è costruito quel che c’è ancora oggi, perché quando prendo la bicicletta percepisco qualcosa di simile ai superpoteri. A cinquantotto anni posso ancora alzarmi dieci metri sopra il terreno e isolarmi da tutto il resto, dimenticarlo, metterlo all’angolo. Non servono grandi giri, anche il bike to work è sufficiente». La prima bicicletta è quella acquistata con tutti i risparmi di un’estate di lavoro, ai tempi della scuola, quella che pareva bellissima, unica, invece, con gli occhi degli adulti e con lo sguardo di oggi, era davvero modesta, “un cancello”, come si dice in gergo ciclistico. La prima mountain bike, invece, è arrivata all’inizio degli anni novanta, «quando prendevo e mi rifugiavo nei boschi a pedalare, per, poi, finire a fare portage, a portarla in spalla quella bici perchè, ad un certo punto, non avevo la forza per spingere sui pedali». Così, sulla terra, c’erano le orme della sua camminata e le tracce incise di quei copertoni. Traccia è una parola chiave, in questa storia, non solo perché “Tracce Bike Shop” è il nome del negozio di Marco, in via Monte Grappa 26r, a Genova. Si tratta di una parola importante perché può essere declinata in più modi: traccia come segno, come orma, come percorso da seguire, come indizio di un qualcosa da cercare, come ispirazione. Proprio per questo motivo Marco è legato a quel nome anche se, a dire il vero, non l’ha ideato lui, bensì il suo socio dei primi anni di attività, all’inizio degli anni duemila, «in un vero e proprio buco di trenta metri quadrati, con officina e abbigliamento all’interno». Bragagnolo aveva iniziato a lavorare in una videoteca e, nel tempo, anche quella era diventata una passione, ma il richiamo del primo negozio di biciclette a Genova era irresistibile: così forte da recarvisi sempre per dare una mano, appena poteva, ma i tempi non erano ancora maturi. Giusto qualche anno, la cessione della videoteca, un lavoro da rappresentante e questa nuova realtà che permetteva a quelle farfalle nello stomaco di trasformarsi in un mestiere, con al centro la mountain bike ed il gravel di cui Bragagnolo si prende cura da tanti anni.

«La videoteca aveva fatto germogliare una passione, un interesse, che prima non c’era. Nel caso delle biciclette è accaduto esattamente l’opposto: la passione ha costruito quel che c’è oggi. Non è facile perché la passione è un filo ossessione, tormento, qualcosa che non ti molla mai, che non ti concede respiro. Da quando lavoro con le biciclette, il mio mondo è tutto concentrato qui, pedalo molto meno, ogni tanto mi manca. Sono un lavoratore autonomo, lo sono sempre stato, e come tale non ho altra scelta che prendere il lavoro che c’è, anche se sono stanco, anche se è il periodo delle ferie. Non si va via finchè non è finita: la mia dimensione del dovere è questa». Nel 2007, il negozio viene ingrandito, ma quello che vediamo oggi è nato nel 2015: siamo sopra la stazione Brignole, il locale è esteticamente piacevole, non ci sono arredi standard, bensì molta artigianalità, oggetti pensati e realizzati da chi vi lavora, le lampade, ad esempio, costruite con vecchie ruote libere. Nel periodo dei lavori, della ristrutturazione, il negozio è restato chiuso solo dieci giorni e, se qualcuno fosse passato di lì, avrebbe visto proprio Marco ed i suoi dipendenti, la sua famiglia, a progettare, montare, smontare, ripulire, dopo aver girato per paesi e città e aver osservato altri negozi simili, qualche “bike cafè”, per raccogliere idee ed imparare. «Lo dico con fierezza ed un certo orgoglio: ovviamente non potevamo occuparci noi dei quadri elettrici, i professionisti erano necessari, ma direi che circa l’80% dei lavori è stato eseguito da me, parenti e amici. Qualcosa di simile ai tempi dell’alluvione». La ferita che si cela dietro il ricordo dell’alluvione è profonda, sottolineata da un inciso spiazzante e sincero: «Era già successo nel 2011, è ricapitato nel 2014. Ricordo come ora un dialogo con l’unico dipendente che avevo in quel periodo, che mi aveva anche aiutato nella strutturazione del locale: è stato il primo a dirmi che dovevamo cambiare luogo, andare via da lì». Quel signore sapeva che Marco da molte notti non dormiva più, controllava il cielo e, se qualche goccia d’acqua cadeva a terra, restava a controllare, temendo l’ennesimo disastro.

Eppure, anche dopo l’alluvione del 2014, Tracce Bike Shop è ripartito e Bragagnolo ha progettato il nuovo negozio come mai aveva fatto prima, con una cura al dettaglio e al particolare che avrebbe ben potuto essere spazzata via da quell’acqua a fiotti e dal dover ricostruire tutto da capo, così chiedere “perché” viene spontaneo: «Il fango e la terra da quei locali non li abbiamo tolti da soli, sono venute tante persone ad aiutarci: amici, clienti, conoscenti, che non hanno esitato a sporcarsi le mani per noi. Abbiamo scoperto una vicinanza che non ricordavamo, che, forse, nemmeno sapevamo di avere. Quei sentimenti che si manifestano nei momenti più difficili. Allora siamo riusciti a trovare la forza per ripartire». A Genova, dove probabilmente il genovese puro non c’è nemmeno più, ma le sue caratteristiche, quelle stereotipate che strappano un sorriso, sono ben riconosciute e riconoscibili, oltre ad essere sintetizzate da un detto: “Sono di Genova, rido poco, stringo i denti e parlo chiaro” . A Genova, dove la bicicletta sta divenendo sempre più un mezzo di trasporto, dove si sono ampliate le ciclabili e si è investito su un nuovo tipo di mobilità, dove il clima è mite, la neve non c’è praticamente mai, e la natura è dietro al mare, ma la convivenza con gli automobilisti continua ad essere complessa e per quella serve solo il tempo, la cultura ed il reciproco rispetto, in un settore, quello delle biciclette, che, come dice Marco, ha ancora un mercato immaturo ed in periodi di difficoltà, come gli ultimi tempi, questo emerge: «Se dovessi narrare il mio lavoro tramite le soddisfazioni economiche, ti direi di lasciare perdere, di cambiare discorso. Invece non te lo dico, perché per descrivere il mio lavoro non c’è altro di meglio di raccontarti che, nonostante i sacrifici, le rinunce, non trovo, nemmeno nel pensiero, un mestiere in grado di farmi stare meglio e rendermi più felice di quanto lo sia oggi. A questo potrei aggiungerti la voglia di imparare, senza cui non avrebbe senso essere qui. Senza l’umiltà di cosa staremmo parlando?».

Da questa percezione deriva il bisogno, la necessità costante, di imparare, soprattutto rispetto alla bicicletta, un oggetto, un mezzo di cui la conoscenza difetta ancora oggi, pur con tutte le differenze date dalle varie tipologie di bici: la mountain bike, ad esempio, spiega Bragagnolo, è più un “gioco”, “alla buona”, qualcosa di rustico, diversa, in questo, dal professionismo su strada. In comune c’è sempre il senso di comunità, pur in qualcosa che è e resta molto personale, anche intimo, se vogliamo, perché l’esperienza in bici è, di fatto, qualcosa di unico per ciascuno. La possibilità di stare insieme deve diventare una chiave di lettura costante quando si parla di ciclismo: «Ci sarà sempre un negozio che avrà prodotti migliori, che venderà di più, a cui, in questo senso, non ci si potrà nemmeno raffrontare, perché se ne uscirebbe sconfitti, ma non deve essere questa la gara. Tracce vorrà organizzare sempre più eventi, incontri, permettere lo svilupparsi di quel dialogo, di quell’empatia, sempre difficile da raggiungere, anche perché i genovesi sono abbastanza freddi, diffidenti, devono conoscere prima di aprirsi. Ma è un fatto generale, l’empatia è essenziale per questo lavoro e per ogni rapporto umano che abbia una base solida, noi intendiamo dare questa interpretazione al nostro mestiere». Marco Bragagnolo torna con il ricordo ad una pedalata prima di Natale, organizzata dal negozio, che ha avvicinato molte persone in un momento no, è questo che intende: ritrovarsi e stare meglio. Ognuno con una propria lettura del ciclismo, per questo in “Tracce” ci sono quattro diverse generazioni a lavorare, sino ai più giovani, perché ciascuno traduce a proprio modo l’esperienza dei pedali e così la trasmette.

Ora la sera è davvero calata: “Genova città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita. Brezza e luce in salita”. In una camera, appena spenta la luce, qualcuno starà prendendo sonno e chissà che non pensi a un viaggio in bici, come Marco Bragagnolo da tanti anni a questa parte.