«Proviamo a pensare ad un panino, sì, ad una comune michetta di pane. Una di quelle lavorate di notte e sfornate la mattina presto, che arrivano tra le mani ancora calde. Bene, facciamo un passo indietro: al panettiere che sta preparando l’impasto mentre fuori è buio. Qualcuno seguirà scrupolosamente la ricetta: l’insieme di ingredienti sarà perfetto e certamente il panino piacerà al cliente che lo porterà a tavola. Qualcuno, invece, farà delle modifiche: non casuali, assolutamente. Per esempio considererà l’umidità dell’aria e saprà che anche quella influirà sul sapore del pane, così aggiungerà un pizzico in più di qualche ingrediente piuttosto che un pizzico in meno di un altro. Chissà se il signore o la signora che assaggeranno quella michetta lo capiranno. Forse sì, forse no. Non è nemmeno questo l’importante. Di certo, però, la seconda tipologia di panettiere avrà fatto una cosa fondamentale: avrà ascoltato. Non si ascolta quel che si fa per un riconoscimento esterno, per la voce degli altri, lo si fa per una forma di rispetto verso ciò a cui si lavora». La descrizione di Claudio Rossi, General Store Manager del Trek Store di Massa, è così dettagliata che, nel primo pomeriggio della città, quasi ricerchiamo il profumo del pane fresco, in realtà, fra le pareti del negozio, si respira l’odore degli ingranaggi delle biciclette, ma il discorso non cambia e la parola, il verbo all’infinito è sempre quello: ascoltare. «La bicicletta va ascoltata, non c’è nulla da fare. Anche da come si fa cadere il manubrio si può capire se ci sono dei problemi. Il suono della catena, quando gira, rivela moltissime cose. La linea guida deve essere la base, poi c’è quello che ti scorre fra le mani e lì anche un quarto, persino un decimo, di giro di vite fa la differenza».
Si tratta di una conoscenza antica, che affonda le proprie radici nella pratica di qualunque ciclista. Anche Claudio Rossi, infatti, ha corso in bicicletta e ricorda con una sensazione di malessere il momento in cui, talvolta, i meccanici gli riconsegnavano la bicicletta e lui continuava ad avvertire qualcosa che non andava. Forse, proprio per questo, quando ha smesso, ha voluto comprare una propria bicicletta e quella ha cercato di conoscerla nel modo più profondo possibile: smontandola, rimontandola, guardando e toccando ogni singola parte, esplorandola. Mettendoci le mani, insomma, e provando la soddisfazione di aver risolto da solo il problema del proprio mezzo che, ora, poteva tornare in strada. Così Rossi non riesce proprio a capire quei ciclisti che non conoscono la propria bicicletta, che non l’ascoltano. Sarà che lui sin da bambino era praticamente incantato dall’oggetto bicicletta: «Ricordo che le osservavo muoversi in città e restavo stupefatto dai riflessi del sole sulle parti cromate: quel loro luccicare, nel movimento, mi ha sempre affascinato. Tanto da portarmi lontano da Como, dalla mia città natale». Sì, era il 2010 e Claudio Rossi si era appena licenziato dal suo vecchio lavoro, immaginando un luogo in cui quella passione potesse diventare un mestiere. Quel luogo è in Toscana, vicino al mare: si tratta di Massa, la città in cui Rossi ha scelto di vivere.
«Lo dico spesso: venite a Massa, sedetevi su una panchina, magari proprio sul lungomare, e guardate cosa succede. Biciclette che vanno e biciclette che vengono. Si percepisce la gioia dell’andare in bici da queste parti. In questo senso, Massa assomiglia a Como. Se chi arrivasse qui dovesse inventarsi un lavoro, penso che lavorare con le biciclette potrebbe essere una buona soluzione, una bella idea». In quei giorni, per la prima volta, Rossi sentiva dire spesso da qualche ciclista: «Mi si è rotto un razzo». Non capiva di cosa si trattasse, poi glielo hanno spiegato. Il razzo, per un toscano, è il raggio della ruota: «Sinceramente, se ci penso, rido di gusto ancora oggi. Ma, allo stesso tempo, il razzo mi ricorda qualcosa che va veloce, che va lontano. La bicicletta può avere senza dubbio queste due caratteristiche: quindi vada per il razzo». Siamo, allora, nel 2010 e Rossi “crea”, questo è il verbo scelto nella chiacchierata, il suo primo negozio di biciclette, con officina e servizio clienti. «Era un salto nel buio: chi avrebbe potuto dire come sarebbe andata? L’investimento era stato minimo: era uno spazio di quaranta metri quadrati, presto sono diventati centocinquanta metri quadrati ed ho inserito vari marchi di biciclette». Un agente Trek, qualche anno dopo, gli chiede se è interessato a rivendere biciclette Trek: lui accetta. Tutto diventa più grande, più importante, gli eventi si susseguono: nel 2016, quel negozio diventa il primo concept store Trek in Italia, successivamente sarà il primo negozio bandiera in Italia, con una sede ancora più grande, fino a divenire il primo negozio ufficiale di proprietà Trek, nel nostro paese. Non è solo uno scorrimento temporale, perché, in corrispondenza di ogni data, di ogni cambiamento, bisogna considerare il rapporto con i clienti, con chi torna in quei locali.
«All’inizio c’è stata una fase di assestamento, forse anche di diffidenza perché chi mi conosceva, chi mi aveva visto tirare sù la serranda di quella prima officina, ora mi vedeva in un nuovo ruolo, come dipendente, e faceva fatica a capire. Anche i rapporti, le relazioni di ogni tipologia, sono fatte di ascolto e di dimostrazioni, di spiegazioni. Qui si incontrano persone, con il loro vissuto, la loro storia, e avviene uno scambio umano. Io la definisco proprio esperienza umana. Col passare dei giorni, tutti hanno capito che il rapporto era rimasto lo stesso». L’ospitalità disegna i confini delle cose: una forma di ospitalità che, fino a non molti anni fa, non era nemmeno immaginabile in un luogo in cui, di fatto, si vende, si aggiusta o si ripara: «Le persone devono essere sempre a proprio agio, se è così, tornano. Magari anche senza acquistare: tornano perché stanno bene in quell’ambiente. Si sentono a casa, si trattasse anche solo di chiedere un consiglio. La parola giusta è empatia». Lo stabile si affaccia su viale Roma e viale della stazione, siamo nel centro di Massa, non lontano dal mare: la struttura è industriale, il parcheggio è all’interno. L’ingresso è costituito da un’ampia vetrata, coperta da sticker ed immagini di ciclismo, guardando verso l’alto, all’interno, si nota il soffitto con travi di acciaio sospese, a cui è collegata l’illuminazione. Ci sono ingressi diversi per la vendita e per l’officina.
«Sai che, ogni tanto, mi capita di passare dal vecchio negozio, il primo, quello che ha segnato l’inizio di questa avventura: ora è sfitto, non utilizzato. Quando hai passato molto tempo in un posto, ti spiace vederlo così, vorresti ancora il movimento, l’andirivieni di persone. Io, però, cerco di ricordarmelo ancora com’era, perché è da lì che tutto è partito». In Toscana si usa il termine biciclettaio per chi vende o aggiusta biciclette, Rossi racconta che, visto il livello a cui si è arrivati oggi, fa strano quel termine, molto originario, genuino, allo stesso tempo, però, è bello, è legato alle radici, è importante: «La bicicletta deve essere fatta per durare, credo sia necessario raccontarlo. Nel processo di vendita non viene mai menzionato il prezzo, nonostante colui che acquista cerchi di focalizzarsi subito su questo aspetto. Si prova, invece, a mostrare la qualità del prodotto più bello nella categoria desiderata. Si beve un caffè assieme e se ne parla. Ma non ci si ferma qui: si può provare la bicicletta, farci un giro. L’importante è che la persona che è di fronte a te capisca il valore della bici, non solo il prezzo. Si tratta anche di un fatto di cultura».
Il valore si traduce, nella quotidianità, nel prendersene cura e nel farlo con determinate attenzioni: entro ventiquattro ore dall’ingresso in officina la bicicletta deve essere sistemata e tornare nelle mani del ciclista. In generale, Claudio Rossi parla di un controllo del mezzo un paio di volte l’anno, in ogni dettaglio, in ogni ingranaggio, una sorta di revisione. In quest’ottica Trek ha una filosofia ben chiara: il cliente è l’eroe, colui che compie il viaggio, l’impresa, mentre chi lavora sulla bicicletta è la guida, qualcuno che si mette a disposizione per permettere all’avventura di prendere il là. I dubbi ci sono anche in chi lavora, in chi mette le mani fra le viti e l’olio, fra la catena, la sella, il manubrio e l’importante è che questi dubbi vengano espressi, che ci si confronti: «Serve una sensibilità particolare anche per lavorare su una bicicletta, per accorgersi di un rumore strano, di una rigidità, di una vite da stringere. La sensibilità, però, si può imparare, a patto di chiedere, di fare affidamento sull’esperienza e di scambiarsi queste esperienze. Con i miei collaboratori lavoriamo in questa direzione». La buona notizia è che sempre più persone vogliono muoversi in bicicletta, anche in bicicletta elettrica, in città e questo è indubbiamente qualcosa di grande che permette di guardare verso le città del Nord Europa, il modello a cui ispirarsi, il futuro per quanto concerne le biciclette.
Il dialogo procede fitto fino a che l’attenzione si posa su un quadro, inviato a Claudio Rossi dal presidente di Trek, John Burke. L’immagine raffigura un grosso capanno rosso, poco più sopra una dedica con un pennarello nero, ancora più sù, stampato, un altro testo, anche questo in rosso, evocativo: “Vedi qualcosa di più grande”. Rossi ci spiega che si tratta di un estratto dal libro “filosofia” di Trek. «Tu vedi un capanno rosso, giusto? Anche io ed in effetti il capanno rosso c’è ed è ben chiaro, evidente. Questa è la situazione in cui ci troviamo tutti quando iniziamo a realizzare un progetto a cui abbiamo tanto pensato, che abbiamo tanto immaginato. Muovendo i primi passi abbiamo la sensazione che ci sia poco o nulla. Un capanno rosso, forse neanche quello. Quel quadro è un invito a ricordare che, quando saremo in quella situazione, avremo l’obbligo di guardare oltre, di cercare qualcosa di più grande: quello che potremo realizzare, con impegno, con costanza, con sacrificio, con fatica. Il punto è che per muovere il primo passo è necessario vedere oltre il capanno rosso. Nonostante ci sia, ci sia sempre». Fuori, vicino al mare, anche adesso c’è il fruscio delle ruote di biciclette che partono e ritornano. Bisognerebbe fermarsi su una panchina e limitarsi ad ascoltare, ad ascoltarle. A Massa, in Viale Roma 5.
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